PADRE PIO
La trasverberazione di padre Pio confrontata con quella di S. Veronica e S. Teresa
dal Numero 31 del 5 agosto 2018
di Suor M. Immacolata Savanelli, FI

Il confronto della trasverberazione di padre Pio con quella di due grandi sante della storia mette in rilievo analogie e differenze che evidenziano la specificità della missione affidata da Dio al Santo cappuccino.

Dopo aver letto le fonti autorevoli sulla trasverberazione di padre Pio è possibile anche confrontare il fenomeno da lui sperimentato con quello di santa Teresa d’Avila e santa Veronica Giuliani. L’accostamento della trasverberazione di padre Pio a quella della Santa d’Avila è «d’obbligo, perché quando si parla di trasverberazione il pensiero va necessariamente a lei, la grande mistica, che nella storia della spiritualità cristiana è il rappresentante di tale esperienza» (1), e il confronto tra la trasverberazione di padre Pio e quella di santa Veronica Giuliani è utile per comprendere le somiglianze e le divergenze di questo fenomeno in due santi non solo entrambi francescani e cappuccini, ma anche ambedue stimmatizzati e associati in modo peculiare al mistero della redenzione. Questa riflessione permetterà di comprendere quello che è specifico in padre Pio da Pietrelcina, il primo sacerdote stimmatizzato che la storia menzioni. Prima di operare questo confronto riassumiamo nei sei seguenti punti, alla luce delle fonti esaminate, le caratteristiche del fenomeno della trasverberazione di padre Pio:
1) il Santo sperimentò il fenomeno della trasverberazione attraverso una visione intellettuale mentre amministrava il sacramento della Penitenza, in occasione della ricorrenza liturgica della Trasfigurazione del Signore;
2) il personaggio celeste che gli apparve era Gesù;
3) padre Pio si sentì morire per la sofferenza che sperimentò. Scrisse, infatti, di essere stato ferito a morte;
4) la ferita gli fu aperta nel più intimo dell’anima e rimase sempre aperta, facendolo spasimare continuamente;
5) l’operazione del personaggio celeste, anche se non più visto dall’occhio dell’intelligenza, durò dalle ore 17.00 del giorno 5, fino al mattino del giorno 7;
6) anche le “viscere” e in particolare il cuore e il costato vennero interessati da tale fenomeno.
Santa Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada (1515-1582), comunemente conosciuta come santa Teresa di Gesù o santa Teresa d’Avila, perché nata ad Avila, cittadina spagnola, fu riformatrice dell’Ordine carmelitano e perciò fondatrice dell’Ordine dei carmelitani scalzi. Proclamata santa nel 1622, è stata la prima donna ad essere insignita del titolo di Dottore della Chiesa (nel 1970) perché, come affermò il papa Paolo VI nel giorno della proclamazione, «ella ha avuto il privilegio e il merito» di conoscere i segreti dell’orazione «per via di esperienza, vissuta nella santità d’una vita consacrata alla contemplazione e simultaneamente impegnata nell’azione, e di esperienza insieme patita e goduta nell’effusione di straordinari carismi spirituali» e nello stesso tempo «ha avuto l’arte di esporli questi medesimi segreti, tanto da classificarsi fra i sommi maestri della vita spirituale» (2).
Questa eccezionale Santa, dunque, che ha avuto il dono particolare di saper esporre i segreti dell’orazione, descrive così il fenomeno della trasverberazione da lei sperimentato: «Il Signore [...] volle alcune volte favorirmi di questa visione: vedevo vicino a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea, cosa che non mi accade di vedere se non per caso raro. Benché, infatti, spesso mi si presentino angeli, non li vedo materialmente, ma come nella visione di cui ho parlato in precedenza. In questa visione piacque al Signore che lo vedessi così: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare che brucino tutti in ardore divino: credo che siano quelli chiamati cherubini, perché i nomi non me li dicono, ma ben vedo che nel cielo c’è tanta differenza tra angeli e angeli, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto. È un idillio così soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che mento. I giorni in cui durava questo stato ero come trasognata: non avrei voluto vedere né parlare con alcuno, ma tenermi stretta alla mia pena che per me era la beatitudine più grande di quante ve ne siano nel creato» (3).
Se si paragona il fenomeno sperimentato da padre Pio alla trasverberazione di santa Teresa d’Avila, appena ricordata, come ha fatto l’Adnès, gesuita e teologo francese che si è occupato soprattutto di teologia spirituale, si notano alcune sostanziali differenze.
Come si ricorderà padre Pio nel parlare della sua trasverberazione ai direttori spirituali, non descrive alcuna dolcezza ineffabile, ma le uniche parole che utilizza sono quelle con le quali cerca di descrivere le sofferenze che prova in un periodo «sì luttuoso», ovvero, le espressioni: martirio, ferro, oceano di fuoco, sangue, viscere strappate e stiracchiate. L’Adnès giunge, così, alla conclusione che la piaga al costato fu preludio alla stigmatizzazione vera e propria, che avvenne circa due mesi dopo e si protrasse per quasi cinquant’anni (4). In effetti, sembra che il fenomeno sperimentato da padre Pio possa anche definirsi una stimmatizzazione parziale (5), mentre il fenomeno descritto dalla Santa d’Avila sembra trovare maggiore riscontro con quello sperimentato da padre Pio, nel 1915, durante il suo soggiorno a Pietrelcina, quando il Santo aveva 27 anni, e così descritto a padre Benedetto: «Sembrami come se tutte le ossa mi si scerpassero. Sentomi, senza punto vederlo con gli occhi del corpo, ma ben vedendolo io con quelli dello spirito, immergermi da costui a volta a volta un coltello, con una punta ben affilata e quasi gettando fuoco, attraverso il cuore che lo approfonda fino nelle viscere, indi a viva forza lo ritrae per poi di lì a poco ripetere l’operazione. Il tutto lascia, al moltiplicarsi di questi colpi, sempre maggiormente divampare l’anima di grandissimo amore di Dio. Il dolore intanto che producemi tal ferita, che da lui mi viene aperta, e la soavità che in pari tempo mi si fa sentire, sono così vivi che adombrarli mi torna impossibile. Ma, padre mio, detto dolore, come detta soavità sono del tutto spirituali, sebbene sia pur vero che non lascino anche il corpo di parteciparvi, anche in alto grado» (Ep. I, p. 522). La conseguenza principale di questa “ferita” per padre Pio come anche per santa Teresa d’Avila è il sentirsi infiammato d’amore per Dio da cui deriva sia un grande desiderio di Lui, sia un grande desiderio di servirlo. Il Di Flumeri legge l’esperienza riferita da padre Pio il 24 gennaio 1915 come «una piaga interna e invisibile nell’anima» (6) del Santo in quanto non abbiamo alcuna documentazione che ci attesti una probabile ferita fisica del cuore. In realtà, però, a nostro avviso non possiamo essere sicuri neppure per la Santa d’Avila, il cui cuore, che fu possibile esaminare solo dopo la sua morte, apparve ferito in più parti e intorno alle trafitture mostrava segni evidenti di bruciature (7). In effetti, la Santa d’Avila, come ci ricorda il padre carmelitano Roberto Moretti, parla di un simile fenomeno anche nel Castello interiore (libro scritto dalla Santa nel 1577) in riferimento alle Seste Mansioni, quando l’anima giunge all’unione con Dio. La Santa, infatti, descrivendo «anonimamente se stessa nel capitolo secondo e nel capitolo undicesimo delle Seste Mansioni parla di operazioni divine, di pene mortali, di desideri insaziabili, con le stesse immagini usate nel descrivere la trasverberazione, poc’anzi ricordata. L’anima sente di essere ferita. Una ferita preziosa da cui non si desidera guarire. Parla di pena intensissima, ma deliziosa e soave, di una saetta che nell’asportarla si porta anche le viscere» (8). Nel capitolo undicesimo di queste Seste Mansioni, santa Teresa indica chiaramente che «le potenze si sentono così impacciate da non essere più capaci di nulla, eccetto di quelle cose che possono aumentare il tormento [...]. La persona che ne soffre finisce col prorompere in alte grida, senza potersi contenere, neppure se molto paziente e abituata a grandi sofferenze» (9).
Si può affermare, però, che anche in questo caso non si giunge alla veemenza del dolore descritto da padre Pio nell’indicare il fenomeno sperimentato il 5 agosto, tanto più che il Santo non associa a questo dolore alcun tipo di gaudio. Il De Flumeri, sebbene non si sia soffermato a considerare anche la descrizione riportata dalla Santa d’Avila nel Castello interiore, né tantomeno la somiglianza di tale racconto a quello sperimentato dal Santo nel 1915, considera il contesto sacramentale nel quale è avvenuta la transverberazione di padre Pio – mentre il Santo stava confessando – ed afferma, pertanto, che «la trasverberazione di padre Pio del 5-7 agosto è apostolica» (10), quella di santa Teresa, invece, «aveva lo scopo di far crescere l’amore divino nella Santa» (11). L’Adnès, invece, spiega la divergenza tra la trasverberazione di padre Pio e quella di santa Teresa d’Avila, riflettendo sulla trasverberazione di santa Veronica Giuliani, cosa che noi faremo nel prossimo numero con la seconda parte di questo articolo.      
Un’ulteriore luce sulla trasverberazione avuta da padre Pio si riceve, come ha fatto l’Adnès, nel considerare la trasverberazione di santa Veronica Giuliani (1660-1727), clarissa cappuccina, “mistica dell’espiazione”. Il noto teologo gesuita francese, infatti, operando tale accostamento, rileva anche nella Santa tifernate la mancanza della fenomenologia descritta da santa Teresa d’Avila. Santa Veronica, sebbene sia stata trafitta dal Bambin Gesù con un dardo d’amore, sperimenta, come padre Pio, estremo dolore, e non descrive alcun godimento particolare. Ecco come si esprime la Santa:
«Parmi di ricordare che pochi anni sono [1696] la notte del Santo Natale, dopo partite le monache di chiesa, io me n’andai ivi alla capanna del presepio. Parvemi vedere in un tratto il Bambino del presepio tutto splendori e come creatura vivente. Io lo pregavo, ma di cuore: lo pigliavo per mano. [...]. Parevami che Esso mi mutasse tutta in un’altra. In un subito fui elevata dai propri sensi e parvemi capire che Gesù voleva farmi grazia di ferire il mio cuore. Oh! Dio! qui sì che non posso con la penna dire niente di quello che provai in quel punto. Solo mi ricordo che Gesù bambino aveva in mano come un arco con una freccia e parvemi che la mandasse a dirittura al mio cuore. Sentii gran pena. In quel mentre ritornai in me, trovai che il cuore era ferito, faceva sangue. Non posso colla penna né con parole dire cosa alcuna di quello che il Signore mi comunicò in quel punto. Solo mi ricordo che ebbi intima unione con essolui; e fecemi capire che questa ferita sarebbe niente [in confronto] a quella che mi voleva fare fra poco. Contuttociò vi avevo dolore grande, ma questo dolore mi accendeva a brama di tutte le pene. Parevami che per me fosse voce che di continuo chiedesse il patire. Durò a fare sangue per un pezzo, e stiede detta ferita aperta per molti giorni; e bene spesso usciva sangue. Di continuo vi avevo quell’eccessivo dolore. Poco tempo stavo in me: tutto quello che facevo non mi accorgevo di niente, sentivo come una fiamma dentro detta ferita, che mi accendeva in modo, che non trovavo riposo né dì né notte. Nemmeno potevo stare sul letto parte pel dolore, ma più per la continua applicazione della mia mente in Dio. Di continuo restava in me cognizione dell’infinito amore e del mio niente. Quando delle volte cresceva la pena e il dolore, anche mi pareva che crescesse il desiderio di più patire» (12).
Da questa comparazione, pertanto, l’Adnès deduce che la sofferenza connessa alla trasverberazione presente in san Pio e santa Veronica sia parte integrante della loro specifica missione espiatrice (13).
È da ricordare, però, un elemento significativo della trasverberazione di padre Pio, come rilevato dal Di Flumeri che, da quanto ci risulta, non si trova nella trasverberazione di nessun santo: padre Pio ricevette questo fenomeno mistico, nella cella numero 5 – sul cui stipite c’è la frase di san Bernardo: «Maria è tutta la ragione della mia speranza» –, mentre amministrava il sacramento della Confessione, mentre, cioè, riversava sul penitente l’amore misericordioso di Dio che perdona e ricrea. I Sacramenti, si sa, vengono simboleggiati da quel sangue ed acqua usciti dal costato trafitto del Redentore crocifisso; il cuore di padre Pio trasverberato il 5 agosto 1918 sembra quindi rappresentare plasticamente l’amore redentore del Cuore di Cristo che si riversa sulle anime al momento dell’assoluzione sacramentale. Padre Pio divenne così, si potrebbe dire, anche fisicamente strumento vivo di Cristo nell’opera della redenzione. In effetti, padre Benedetto, proprio in riferimento a questo fenomeno sperimentato da padre Pio, scrive al Nostro che tutto ciò che avveniva in lui era «effetto di amore, [...] prova, [...] vocazione a corredimere» (Ep. I, p. 1068). Il contesto sacramentale nel quale è avvenuta la trasverberazione è, dunque, importante. «Il gesto per eccellenza dell’amore totale e sempre trasformante di Dio» (14), qual è la trasverberazione, «diventa la mistagogia di quella misericordia divina che non ha fine e, nello stesso tempo, dell’amore sofferto e mai sazio di Dio per la pecorella smarrita» (15), perché «padre Pio sarà il confessore per antonomasia, tutta la sua vita sarà impiegata a sciogliere le anime dalle catene di Satana» (16).
Nell’approfondire, perciò, l’accostamento fatto dall’Adnès e poco sopra ricordato, tra la sofferenza connessa alla trasverberazione in santa Veronica e in san Pio, si può dire che, sebbene tale sofferenza possa essere dettata in entrambi dalla loro comune e specifica missione espiatrice, vi è anche una sostanziale differenza. Padre Pio doveva cooperare alla redenzione delle anime soprattutto mediante l’esercizio del ministero sacerdotale e in modo peculiare nell’amministrare il sacramento della riconciliazione; santa Veronica attraverso il patire. Ciò potrebbe forse intravedersi non solo dalle circostanze in cui il Santo fu trasverberato (mentre confessava), ma anche dalle seguenti parole di san Pio scritte a padre Benedetto sempre il 21 agosto 1918, dopo la descrizione della sua trasverberazione: «Non l’è questa una nuova punizione inflittami dalla giustizia divina? Giudicatelo voi quanta verità sia contenuta in questo e se io non ho tutte le ragioni di temere e di essere in una estrema angoscia» (Ep. I, pp. 1065-1066). Padre Pio si sentiva peccatore e considerava il fenomeno da lui sperimentato come una sofferenza espiatrice per i suoi peccati. Non può passare sotto silenzio, in effetti, la particolare situazione spirituale nella quale il Santo del Gargano ha ricevuto il dono della trasverberazione: l’intensificarsi della notte oscura. Dopo l’offerta di sé che il Santo rinnovò durante l’offertorio della festa del Corpus Domini, il 30 maggio 1918, la descrizione della notte oscura acquista una terminologia che fa comprendere la drammaticità dell’abbandono che il Santo sperimenta (cf. Ep. I, pp. 1026-1031, 1033-1041, 1048-1056). Già a partire dalla lettera del 4 giugno 1918 (cf. ivi, pp. 1026-1031), «l’idea del rifiuto da parte di Dio si è fatta più nitida [...]. Fa comparsa “la giustizia di Dio” come anche il tema della punizione divina col senso di rigetto che l’anima sperimenta da parte di Dio. [...]. All’infuori di questo abbandono l’anima ignora ogni cosa» (17). Diverse volte, pertanto, in queste lettere il Santo ripete l’acuto grido del Salmo 21: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (cf. Ep. I, pp. 1029, 1037, 1051, 1056) che il Crocifisso pronunciò prima della sua morte. Ciò fa comprendere, perché egli intese il fenomeno della trasverberazione come «una nuova punizione» della «giustizia di Dio». È da dire, però, che il 7 giugno e perciò prima della trasverberazione, padre Benedetto gli aveva offerto la chiave ermeneutica dell’abbandono che sperimentava: «Non è giustizia, ma l’amore crocifisso che ti crocifigge e ti vuole associato alle sue pene amarissime senza conforto e senz’altro sostegno che quello delle ansie desolate. La giustizia non ha nulla da vendicare in te, ma in altri, e tu, vittima, devi pei fratelli quello che manca alla passione di Gesù Cristo. [...]. Ripeto che il Signore è con te, ed è lui che per amore ti sospende sul duro patibolo della sua croce» (ivi, p. 1031). Padre Pio viveva, questo particolare stato spirituale, dunque, per espiare e meritare soprattutto ai suoi penitenti, il pentimento e la grazia del perdono divino, soffrendo al loro posto l’abbandono divino.
Come, però, si evince dalle parole di padre Pio dopo la trasverberazione, le assicurazioni di padre Benedetto, che esprimono concetti teologici importanti e che fanno leggere il ricorso al Salmo 21 non tanto come semplice preghiera, ma come «ingresso nella passione di Cristo e nell’economia della croce» (18), non hanno fatto scemare le ansie del discepolo. Lo stesso padre Benedetto ne aveva consapevolezza, nella medesima lettera, infatti, gli aveva anche scritto: «Non so veramente che cosa consigliarti per alleviare il martirio, ed è inutile, perché l’onnipotente ti vuole in olocausto» (Ep. I, p. 1032).
A differenza di padre Pio, che viveva la trasverberazione come una nuova punizione della giustizia divina, la Santa tifernate, invece, considerò la ferita «voce che di continuo chiedesse il patire» (19). Il dolore sperimentato durante questo fenomeno, infatti, accese in lei la «brama di tutte le pene» (20), cosa che si verificò ogni volta che la piaga si apriva. In questi momenti, inoltre, la Santa capiva anche che il Signore le avrebbe concesso qualunque grazia gli avesse chiesto, ma che gradiva molto «che si pregasse per la conversione delle anime» (21). Santa Veronica, in effetti, collaborò in modo precipuo alla salvezza delle anime mediante la sofferenza e la preghiera; solo in quest’ottica si possono comprendere sia l’ardente sete di patire della Santa, sia tutte le penitenze straordinarie che faceva.
Veramente appropriate, dunque, sono le parole di padre Benedetto, direttore spirituale di padre Pio: «il fatto della ferita compie la passione vostra come compì quella dell’amato sulla croce» (Ep. I, p. 1069). La piaga inflitta dal personaggio celeste dà compimento alla passione di padre Pio come la piaga del costato e del Cuore aperta dalla lancia del soldato l’aveva data alla passione del Redentore e sta ad indicare l’unione dolorosa di questo sacerdote con Cristo crocifisso che lo chiama a collaborare con lui all’umana redenzione riversando sui penitenti quell’amore divino che nel piagare anche visibilmente il suo cuore mentre amministrava il sacramento della confessione, voleva associarlo in modo peculiare al mistero salvifico delle anime da attuare proprio nell’amministrare il sacramento della riconciliazione.  


NOTE
1) R. Moretti, La trasverberazione di padre Pio, in G. Di Flumeri (a cura di), Atti del Convegno di studio sulle stimmate del servo di Dio padre Pio di Pietrelcina (San Giovanni Rotondo, 16-20 settembre 1987), p. 303.
2) Beato Paolo VI, Omelia, 27 settembre 1970, in occasione della proclamazione di santa Teresa d’Avila dottore della Chiesa.
3) Santa Teresa d’Avila, Vita, 29, 13-14.
4) Cf. P. Adnès, Transverbération, in Dictionnaire de Spiritualité ascétique et mystique. Doctrine et histoire, 15 (1991) coll. 1174-1184.
5) Cf. Idem, Stigmates, in Dictionnaire de spiritualité 14 (1990) coll. 1211-1243, qui col. 1226.
6) Cf. G. Di Flumeri, La trasverberazione di padre Pio da Pietrelcina, Edizioni «Padre Pio da Pietrelcina», San Giovanni Rotondo 1985, p. 49.
7) Cf. ivi, p. 20. Il cadavere di santa Teresa fu sottoposto ad autopsia e il suo cuore venne posto, in seguito, in un reliquiario, dove tuttora si conserva (cf. ibidem).
8) R. Moretti, La trasverberazione di padre Pio, in G. Di Flumeri (a cura di), Atti del Convegno di studio sulle stimmate del servo di Dio padre Pio di Pietrelcina, p. 308.
9) Santa Teresa d’Avila, Castello interiore, Mansione 6, 11, 2-3.
10) Ibidem.
11) Ivi, p. 78.
12) Santa Veronica Giuliani, Un tesoro nascosto, ossia Diario di santa Veronica Giuliani, religiosa clarissa cappuccina in Città di Castello, scritto da lei medesima, vol. I, Città di Castello 19692, pp. 66-67.
13) Cf. P. Adnès, Transverbération, in Dictionnaire de Spiritualité ascétique et mystique. Doctrine et histoire 15 (1991) coll. 1174-1184, qui col. 1184.
14) L. Lotti, L’Epistolario di padre Pio. Una lettura mistagogica, Tesi in teologia spirituale discussa al Teresianum, Edizioni «Padre Pio da Pietrelcina», San Giovanni Rotondo 2006, p. 319.
15) Ibidem.
16) Ibidem.
17) L. Lavecchia, L’itinerario di fede di padre Pio da Pietrelcina nell’Epistolario, San Giovanni Rotondo 2004, pp. 37-38.
18) Ivi, p. 39.
19) Santa Veronica Giuliani, Un tesoro nascosto, vol. I, p. 67.
20) Ibidem.
21) Ivi, p. 69.

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits