SPIRITUALITÀ
I tre Pastorelli di Fatima
dal numero 8 del 18 febbraio 2024
di Padre Giammaria de Bassolis

Il 20 febbraio ricorre la memoria dei Pastorelli di Fatima. Vogliamo scoprirne la figura tanto semplice quanto eroica; guardando a loro comprendiamo come la santità sia fatta di cose semplici compiute con generosità e costanza.

Il 20 febbraio ricorre la memoria liturgica dei santi Francesco († 1919) e Giacinta Marto 
(† 1920), canonizzati il 13 maggio 2017. Auspichiamo che presto al loro nome si aggiunga anche quello della loro cugina, la venerabile Lucia dos Santos († 2005), universalmente conosciuta come suor Lucia di Fatima. Sono i tre Pastorelli di Fatima: assieme hanno visto la Santissima Vergine Maria, assieme hanno dato fedele testimonianza di quello che hanno visto, assieme la Chiesa li ricorderà per sempre nella memoria devozionale e, lo speriamo, anche in quella liturgica.
Dio prepara gli strumenti predestinati per le sue opere e li arricchisce di grazie speciali proporzionate alla loro missione: così ha fatto in primis con la Vergine Maria, san Giuseppe, gli Apostoli, i grandi fondatori degli Ordini religiosi, ecc. Così fece con i tre veggenti di Fatima, prescelti dall’Immacolata per una missione di portata mondiale. Sono grandi, nella loro umana “piccolezza”, per la fedeltà eroica con la quale hanno corrisposto agli insigni doni soprannaturali loro concessi dalla divina Provvidenza.


Ci sono molti aspetti che li accomunano:
1) erano portoghesi. Il Portogallo fu consacrato all’Immacolata nel 1646 dal re Giovanni IV, il quale depose la sua corona ai piedi della Madonna. Come segno di questa consegna del potere regale alla Vergine Maria, nessun re portoghese ha più portato la corona, a partire da allora. La vera regina del Portogallo è l’Immacolata. Ecco la potenza della consacrazione alla Vergine Maria, effettuata dalle massime autorità di una nazione; apparendo ai tre Pastorelli nel 1917, la Vergine santa è venuta a riprendere possesso del suo regno, mentre in Portogallo infuriava una sanguinosa rivoluzione anticlericale di stampo socialcomunista, scoppiata nel 1910; 
2) appartenevano tutti a famiglie di contadini, che vivevano in una condizione di dignitosa povertà. La povertà evangelica, ossia, la vita semplice e laboriosa, senza lussi e senza superfluità, aiuta l’esercizio delle virtù e allontana dalla superbia e dall’ozio, padre di ogni vizio; 
3) appartenevano a famiglie cattoliche praticanti, che non mancavano mai di santificare le feste di precetto con la partecipazione alla Santa Messa, né mancavano alla preghiera quotidiana comune, soprattutto alla recita del santo Rosario; 
4) esercitavano la pastorizia. Questa attività è sempre stata prediletta da Dio. Infatti Abele, Abramo, Isacco, Giacobbe e Davide erano pastori. Gesù stesso si paragona al Buon Pastore e affida a san Pietro il compito di “pascere le sue pecore e i suoi agnelli” (cf Gv 21,15-17). Più recentemente, erano pastori i veggenti di Laus, La Salette, Lourdes. Perché? Possiamo supporre che il contatto con la natura, lontano dalla corruzione morale delle grandi città, favorisca lo spirito di contemplazione di Dio riflesso nelle bellezze del creato; inoltre, l’esempio della docilità delle pecore con i loro agnellini alla volontà del pastore aiuta a formare nel pastore un carattere docile alla volontà di Dio;
5) erano tutti e tre analfabeti, e l’unica cultura ricevuta con l’educazione famigliare riguardava la dottrina cattolica e i lavori domestici nonché pastorizi. Insegnamento implicito: meglio essere analfabeti, poveri di cultura ma ricchi di virtù cristiane, piuttosto che plurilaureati, ricchi di presunzione e senza Dio;
6) erano dei bambini, nell’età della puerizia, età determinante per la formazione del carattere, nella quale normalmente non si sentono ancora gli impulsi veementi della concupiscenza disordinata. Si suppone che fossero tutti innocenti. «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite» (Mc 10,14): nella puerizia i bambini hanno un forte senso di Dio, e in questa età apprendono le cose della religione quasi per connaturalità. È uno sbaglio non parlare loro di Dio, dei vizi e della virtù, della pena e della gloria con il pretesto che potrebbero impressionarsi. La Madonna nell’apparizione del 13 luglio 1917 non ha esitato a mostrare ai Pastorelli l’inferno, per suscitare in essi l’orrore del peccato e la generosità nel sacrificio per la conversione dei “poveri peccatori”;
7) erano gli ultimi figli di famiglie numerose: Lucia era la settima di Antonio dos Santos e Maria Rosa; Francesco e Giacinta erano rispettivamente il sesto e la settima di Manuel Marto e Olimpia (sorella di Antonio dos Santos). Anche qui vediamo una predilezione divina per gli “ultimi arrivati”. Così fu per Giacobbe, Davide, san Giovanni evangelista. Nella Chiesa è eclatante l’esempio di santa Caterina da Siena, ultima di 23 figli. C’è da chiedersi, perciò: quanti santi sono stati rifiutati dalle nostre famiglie, egoisticamente chiuse alla vita? È famoso il caso di quella donna che confessando a padre Pio il peccato di aborto si è sentita dire: «Il bambino che hai ucciso nel tuo seno nei disegni di Dio doveva diventare papa!».
A queste disposizioni naturali comuni, si aggiungano le grazie straordinarie alle quali i tre Pastorelli hanno corrisposto fedelmente, portandoli ad una santità esemplare. Non erano, però, “fatti con lo stampino”: ognuno di essi aveva un temperamento e un carattere diverso. Più chiuso, quasi flemmatico, Francesco; più volitiva Giacinta; più comunicativa e perspicace Lucia. Ma la grande differenza è stata messa in luce il 13 giugno 1917, quando la Madonna ha indicato ai Pastorelli le due differenti vocazioni: Francesco e Giacinta erano destinati a salire presto in Paradiso, Lucia era destinata a prolungare “per un po’ di tempo” la sua missione sulla terra. Quel “po’ di tempo”, in realtà, è durato 85 anni, a conferma che «davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno» (2Pt 3,8).


La Madonna ha formato, in questo modo, i due santi confessori – non martiri – più giovani della storia e, speriamo, una delle sante più anziane. Francesco, infatti è morto a 11 anni, Giacinta a 10, suor Lucia a 97. Anche qui l’insegnamento è provvidenziale: le vie del Signore sono infinite e in Paradiso ci vanno “gli operai di tutte le ore”, sia quelli che hanno lavorato nella vigna del Signore per tutte le ore del giorno, sia quelli che ci hanno lavorato per un’ora soltanto (cf Mt 20,1-16). 
Ci si potrebbe chiedere: in Paradiso, i tre Pastorelli potrebbero godere dello stesso grado di gloria, nonostante questa vistosa differenza temporale? Stando alla parabola evangelica sopra citata, dobbiamo rispondere di sì, almeno in linea di principio, senza voler nulla asserire con certezza circa la loro condizione di fatto. 


L’Imitazione di Cristo ci ammonisce a non interessarci di queste questioni, ma di saper trarre da ogni santo un insegnamento utile per la nostra santità: «Non devi indagare e discutere dei meriti dei beati: chi sia più santo o chi sia più grande nel regno dei cieli [...]. Sono cose che, a volerle conoscere ed indagare, non portano alcun frutto».
Per questo parliamo in linea di principio, perché ci interessa sapere quanto la lunghezza della vita terrena possa condizionare la santità, in modo da ben valutare la prima in funzione della seconda e, così, prendere le giuste distanze dal salutismo pagano oggi imperante.


Ebbene, qui ci viene ancora incontro la parabola dei vignaioli di tutte le ore, la quale si riferisce principalmente al popolo ebraico (operai della prima ora) e ai pagani (operai dell’ultima ora), ma può esser applicata estensivamente anche ai santi che, nonostante la diversa lunghezza della loro vita terrena, possono aver conseguito la stessa gloria in cielo, rappresentata, nella parabola, dal “denaro” con il quale il padrone della vigna retribuisce i suoi lavoratori. Ciò che conta per il padrone della vigna è che gli operai abbiano compiuto il lavoro loro assegnato, e lo abbiano compiuto con tutta la fedeltà e l’impegno di cui sono capaci. Tradotto in termini più teologici: un solo merito di massima intensità equivale a molti meriti meno intensi. Per fare un paragone sportivo: Francesco e Giacinta hanno vinto i 100 metri, suor Lucia la maratona, ma tutti e tre hanno preso la stessa medaglia d’oro della santità. 
L’offerta sacrificale di Francesco e Giacinta, con la quale hanno offerto generosamente a Dio la loro giovane vita, le loro legittime aspirazioni, tutti i progetti e i sogni della vita ha potuto avere davanti a Dio lo stesso valore delle migliaia di preghiere e offerte che suor Lucia ha dato a Dio, negli 85 anni che è vissuta in più rispetto ai due santi cuginetti. L’insegnamento per noi è questo: non preoccupiamoci di una vita breve o lunga su questa terra, ma preoccupiamoci di viverla sempre corrispondendo alla grazia ricevuta al massimo grado a noi possibile, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria.

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