PASQUA
Vidit et credidit
dal Numero 14 del 5 aprile 2015
di Carlo Codega

Per la seconda volta nel Terzo Millennio cristiano verrà solennemente presentato alla venerazione dei fedeli il Sacro Lino che avvolse il corpo di Gesù nell’ombra del Sepolcro. Il contenuto scientifico e spirituale che si offre alla nostra attenzione e meditazione è, oggi più che mai, straordinariamente ricco.

La spiritualità della Sindone

Nonostante la mentalità moderna, attratta da un falso fideismo, tenda a diminuire notevolmente il loro valore, le reliquie risultano un aiuto utilissimo alla nostra crescita e ricerca spirituale. Ciò vale ancor di più per le reliquie della Passione di Nostro Signore le quali, in particolar modo, offrono un punto d’appoggio solidissimo per la fecondissima pratica di meditare la Passione e Morte del Redentore, meditazione raccomandata da tutti i santi come mezzo indispensabile per la santificazione. Da sempre la meditazione della Passione è infatti uno degli argomenti privilegiati della vita spirituale per la sua capacità di collegare in sé la Divinità e l’Umanità di Nostro Signore, i nostri peccati e la Redenzione, il senso della sofferenza nella vita umana e il destino della Gloria beata. Tra le reliquie della Passione, senza dubbio, la Sindone risulta la più efficace e affascinante, per la sua capacità di evocare immediatamente le scene della Passione, così come narrateci dalle parole del Santo Vangelo, e di approfondire con innumerevoli dettagli le sofferenze sofferte dall’amabile Nostro Salvatore per la nostra salvezza. Riguardo alla spiritualità della Sindone diceva san Giovanni Paolo II: «Provocazione all’intelligenza, specchio del Vangelo, immagine della sofferenza umana [...], immagine dell’amore di Dio oltre che del peccato dell’uomo» la Sindone ci offre una rappresentazione quanto mai efficace «del silenzio della morte, il silenzio coraggioso e fecondo del superamento dell’effimero, grazie all’immersione totale nell’eterno presente di Dio», invitandoci a «vivere ogni esperienza, compresa quella della sofferenza e dell’impotenza, nell’atteggiamento di chi crede che l’amore misericordioso di Dio vince ogni povertà, ogni condizionamento, ogni tentazione di disperazione».

Vere languores nostros tulit (Is 53,4)

Nei secoli la Santa Sindone è stata soprattutto guardata come la miglior rappresentazione della Passione e Morte di Nostro Signore: l’impronta di Cristo morto impressa sul sacro Lino, con tutti i raccapriccianti particolari della sua Passione furono un invito costante a tutte le anime devote ad apprezzare in maniera più concreta e icastica le sofferenze patite dal Redentore per la nostra salvezza.
Tra le anime accostatesi devotamente alla sacra Immagine vi fu anche il grande san Carlo Borromeo, recatosi a Torino in pellegrinaggio per sciogliere il voto in seguito alla fine della peste a Milano. La sola vista di quest’immagine non può infatti che evocare le profetiche e incisive parole di Isaia sul «disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire» (Is 53,3), oppure quelle del re Davide sul «verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente» (Sal 22 [21],7). Ben più che le asciutte e compendiarie narrazioni evangeliche, il telo della Sindone ci fornisce infatti un quadro dettagliato e plastico, concreto ed evocativo di ogni singola sofferenza patita da Nostro Signore: il naso rotto e la ferita sulla spalla, i segni del flagrum e quelli della corona di spine, i polsi trafitti e il costato aperto dalla lancia. La Sindone più che un’istantanea della Morte risulta essere un vero e proprio “documentario” della Passione, documentario che va però saputo svolgere, leggere e decifrare.
Nel corso del XX secolo, a questo scopo, le varie scienze (dalla medicina alla fisica, dall’antropometria alla criminologia, dalla filologia all’archeologia) si sono messe al servizio della nostra vita spirituale e, attraverso lo studio dettagliato della Sindone, ci hanno aiutato a meditare la Passione di Nostro Signore, aggiungendo particolari su particolari, spesso invero persino raccapriccianti e commoventi, alla sobrietà del dettato evangelico: la sindonologia e i sindonologi, portando avanti con onestà e scientificità i loro studi, ci prestano così aiuto a leggere nel mistero della Santa Sindone e svolgono un ruolo fondamentale nella crescita della nostra vita spirituale, fornendo così un bel modello di come anche le scienze, persino quelle più esatte e positive, debbano ricondurci al fondamento e al fine di ogni scienza, Gesù Cristo il Verbo del Padre. Come scriveva il grande sindonologo mons. Giulio Ricci: «Per noi che conosciamo il valore immenso delle sofferenze del Redentore che hanno operato la nostra salvezza, un’indagine che parta da un dato scientifico accertato, perché meglio analizzato, della santa Sindone, mentre ci allarga ancor più gli orizzonti sconfinati dell’amore di Cristo paziente, c’induce ad una riflessione amorosa dei suoi indescrivibili dolori».
La Sindone, se vogliamo, è una prova in più, o meglio una prova più rappresentativa e più efficace, che Cristo ha «veramente» (Is 53,4) sofferto per noi, come vere e innegabili sono le cruente tracce della Passione lasciate su quel benedetto Telo.

Et vidit et credidit (Gv 20,8): il caso della fotografia

Gli studi moderni di sindonologia tuttavia non ci hanno offerto solo un approfondimento dei dettagli della Passione di Nostro Signore, ma ci hanno aiutato a scoprire una dimensione del tutto nuova e precedentemente celata del santo Lenzuolo conservato a Torino. Non fu tanto una causalità quanto la mano della Provvidenza divina a farci scoprire la vera natura dell’Immagine sindonica e ad aprire un filone di ricerca, destinato ad accostarsi a quello dello studio dettagliato dei singoli elementi della Passione.
Nel 1898 in occasione del matrimonio del principe Vittorio Emanuele con la principessa montenegrina Elena Petrovic, la casa Savoia, proprietaria della Reliquia, dispose come consuetudine per gli eventi fausti l’ostensione del sacro Lenzuolo. Il salesiano don Natale Noguier de Malijay, personalmente devoto e appassionato della Reliquia, propose di effettuare una fotografia della Santa Sindone, per meglio studiarla e diffonderne la devozione; nonostante alcune reticenze alla fine il re Umberto I accettò la proposta e ne affidò l’esecuzione al fotografo dilettante Secondo Pia. Superando numerose difficoltà tecniche, il Pia riuscì a portare a termine il difficile compito ma, come racconta emozionato nelle sue Memorie, una volta immersa la lastra fotografica nel bagno di sviluppo si accorse della natura sconvolgente della Sindone: il negativo fotografico dava in realtà l’immagine positiva dell’uomo della Sindone, il che significava che la Sindone stessa non era altro che un negativo “fotografico” della realtà che rappresentava. Scoperta sconvolgente ed emozionante che avrebbe per sempre cambiato la natura degli studi della Sindone che, da pia reliquia tra le altre, diveniva uno sconvolgente documento del mistero pasquale. Un grande studioso della Sindone, Giovanni Judica Cordiglia, che avrebbe ripetuto la foto oltre cinquant’anni dopo, affermava che la meraviglia di Secondo Pia non doveva essere stata molto diversa dalla meraviglia che di fronte al sepolcro vuoto e alla Sindone deposta aveva avuto l’apostolo Giovanni: «Vide e credette» (Gv 20,8).

Testimone della Risurrezione

Se la precedente affermazione pare esagerata e addirittura dissacrante, bisogna in realtà valutare la vera portata della scoperta “casuale” (o meglio “provvidenziale”) di Secondo Pia: il fatto che la Sindone risulti un’immagine al negativo non è solo un invincibile argomento apologetico nei confronti della veridicità della Reliquia, in quanto nessun falsario medievale o rinascimentale (neppure Leonardo da Vinci, come qualche pseudo-studioso ipotizza) avrebbe potuto conoscere e riprodurre un negativo fotografico, ma esso apre una serie d’interrogativi sul modo in cui l’Immagine sindonica si è prodotta e sul suo legame con la Risurrezione di Nostro Signore. Di fatto la Santa Sindone non è solo una dettagliata registrazione documentaria della Passione e Morte di Nostro Signore ma, come già diceva san Cirillo di Gerusalemme nelle sue Catechesi, è uno degli unici testimoni della sua Risurrezione, anzi, aggiungiamo noi, il più autorevole ed eloquente testimone. Vero è che per cogliere la presenza di Gesù risorto nel suo telo sepolcrale dobbiamo, da una parte, aguzzare l’ingegno e seguire pazientemente le tracce aperte dalle accurate indagini scientifiche dei sindonologi, e dall’altra parte cogliere l’unità del Mistero pasquale, evitando di distaccare nettamente la dolorosa Passione e Morte dalla sua gloriosa Risurrezione, per comprendere come il documento che più trasmette l’inaudita sofferenza del Cristo possa anche essere la celebrazione del suo trionfo sulla morte.

Vidit posita linteamina (Gv 20,5)

Una prima domanda che gli studiosi si sono posti accostandosi in maniera seriosa al testo del Vangelo di Giovanni che ci racconta la visita di san Pietro e dell’Apostolo prediletto al sepolcro vuoto, è l’interrogativo su quale sia il segno che susciti la risposta di fede immediata di san Giovanni: vidit et credidit. La risposta che i Padri della Chiesa davano, ponendo l’attenzione sul fatto che i lini sepolcrali erano stati ripiegati in ordine, era che quest’ordine dei teli (cioè la sindone, con le fasce e il sudario) non ammetteva in alcun modo che il corpo di Gesù fosse stato rubato dai suoi discepoli, come avrebbe poi sostenuto la malizia ebraica, perché nessun ladro avrebbe pensato di ripiegare i lini, mentre alle soglie del sepolcro due soldati romani dormivano. Più recentemente è stato sostenuto che questo in realtà non spiegherebbe adeguatamente la narrazione del Vangelo, il quale ci mostra san Giovanni che prima guarda (in greco blépei), poi contempla (theórei) e, infine, vedendo pienamente (eíden), finalmente crede con tutta certezza. Questo perché san Giovanni e san Pietro non si sarebbero trovati di fronte ad una mera prova indiretta della Risurrezione (cioè alla prova che il cadavere non era stato rubato) ma ad una vera e propria prova diretta del prodigioso avvenimento: i due infatti avrebbero trovato non i teli sepolcrali piegati l’uno separatamente dall’altro ordinatamente, bensì si sarebbero trovati davanti alla commovente vista dei teli nel medesimo ordine in cui avevano avvolto Gesù (cioè la Sindone, a diretto contatto del corpo, coperta dalle fasce e dal sudario), ma, in modo umanamente inconcepibile, svuotate del loro contenuto. In altre parole Gesù, risorgendo, non avrebbe avuto bisogno di qualcuno (gli Angeli) che lo sciogliesse prima o dopo la Risurrezione, dalle fasce, bensì le trapassò col suo Corpo glorioso, lasciandole per il resto nella stessa maniera in cui erano state poste dai pii seppellitori e imprimendole con la sua figura. Cosa c’entra questo con la Sindone? La Sindone sarebbe la registrazione esatta, l’effetto secondario e naturale, del fenomeno soprannaturale della Risurrezione: una “foto” del Corpo di Gesù nel passaggio dalla morte alla vita nuova, un negativo fotografico di quel momento miracoloso in cui il Redentore, trionfando sulla morte, dischiuse a tutti le porte del Paradiso, dove andò ad abitare col suo Corpo glorioso.
Ancor più emozionante è l’intuizione dello studioso John Jackson di Albuquerque che, riflettendo sulle varie intensità cromatiche, comprese nel 1975 che la Sindone non è una semplice foto bidimensionale, come quelle normali (dove l’illuminazione ambientale non permette di ricostruire le reali profondità degli oggetti), ma un’immagine “stereografica” o, in altre parole, una fotografia tridimensionale, paragonabile a quelle stellari, dove l’assenza di luce ambientale permette di poter ricostruire precisamente le distanze in profondità in base alla differenza d’illuminazione. Ma, ci potremmo chiedere, a che cosa ci servono queste complicate riflessioni scientifiche e filologiche?

Erat lux vera (Gv 1,9)

Tiriamo i fili del discorso, la Sindone è una sorta di negativo fotografico, “scattato” in un ambiente privo d’illuminazione e in grado quindi di essere una fotografia tridimensionale, cioè di restituirci la fisionomia esatta dell’amabile viso e corpo del Redentore. Cosa ne possiamo dedurre? Lo “scatto fotografico” non può che essere avvenuto dall’interno dei lenzuoli funerari, in piena oscurità, usando la stessa Sindone come lastra fotografica, il che la renderebbe il negativo fotografico. Ma ancora: una fotografia esige una fonte luminosa intensa, in questo caso intensissima. Da dove proviene questa fonte luminosa? In realtà con questa domanda apriamo l’interessante ma discusso capitolo sull’origine dell’Immagine sindonica, capitolo che vede, tra gli stessi convinti sostenitori dell’autenticità della Reliquia, notevoli disaccordi. Esclusa razionalmente la teoria della copia d’arte o del calco, gli studiosi hanno provato a dare varie spiegazioni naturali del processo che ha portato a imprimere il Corpo di Gesù sul sacro Lenzuolo: nessuna teoria è però, fino ad ora, in grado di dar completa soddisfazione ai dati fisico-chimici emersi dalle indagini sulla Sindone. Tra queste però la proposta scientifica di Jean Baptiste Rinaudo sembra singolarmente accordarsi con i dati e con l’intuito della nostra stessa fede. Secondo il Biofisico francese l’immagine dell’uomo della Sindone non può essere spiegata solo come un processo chimico naturale causato dalla mistura di aloe e mirra di cui era impregnato il tessuto, ma sarebbe l’effetto di un irradiamento di protoni emessi dal Corpo del Salvatore, sotto l’effetto dell’apporto di un’energia di origine sconosciuta, un’energia non casuale ma «finemente dosata per darci un’immagine di quest’uomo crocifisso che sia leggibile nella nostra epoca scientifica».
Senza voler operare forzature e guardandoci dal ridurre la Risurrezione dei corpi a un mero fenomeno nucleare, ci è impossibile non guardare la singolare armonia tra fede e scienza, tra natura e soprannaturale che potrebbe emergere da queste ipotesi scientifiche. È vero, nulla sappiamo sugli effetti naturali della Risurrezione dei corpi, ma come non pensare che il passaggio dal corpo materiale a quello glorificato di Nostro Signore non avesse potuto produrre quei cambiamenti profondi dei corpi, fin nella loro struttura atomica e nucleare, che avrebbero dato origine a quest’emissione straordinaria d’energia che spiegherebbe il mistero della Sindone!  

Negativo e positivo, Passione e Risurrezione: l’insegnamento della Sindone

Le osservazioni precedenti, più che altro scientifiche e razionali, devono però spingerci soprattutto a coglierne il “soprannaturale senso logico”, il significato spirituale che incrementa la nostra vita di grazia e la porta ad amare e glorificare ancor più il mistero dell’Uomo-Dio, centrale nella nostra Fede e così straordinariamente impresso sul telo della Sindone. Solo in questo modo, infatti, la Sindone può essere inquadrata nel disegno provvidenziale di Dio, che non ce l’ha certo donata come uno sterile oggetto di eruditi studi scientifici e archeologici, ma come reliquia per aumentare la nostra devozione verso l’amabilissimo Redentore e la nostra penetrazione del mistero di Cristo morto e risorto. È la stessa incredibile storia della Sindone, che qui non possiamo ripercorrere, a darci la prova di come la mano provvidente di Dio, Signore degli uomini e della storia, ci aiuti a comprenderne sempre più il valore e il significato. Quella che per secoli è stata (solo) la più preziosa reliquia della Passione, una fotografia quanto mai precisa e dettagliata delle raccapriccianti pene e dell’ingloriosa morte subita dal Nazareno, scopre in realtà una profondità inaudita e un’apertura all’intero mistero della Pasqua, soprattutto alla Risurrezione e glorificazione di Nostro Signore.
Come attorno alla Croce possiamo accostare e moltiplicare i nostri affetti verso il Cristo sofferente, contemplando tutte le sue piaghe e tutti i suoi dolori, come cani che leccano le ferite sanguinose, avrebbe detto santa Camilla Battista da Varano; così possiamo veramente fermarci utilmente a decifrare tutti i segni della Passione che la Santa Sindone ci trasmette. Eppure ciò non esaurisce ancora il significato spirituale né della Croce, né della Sindone. La Croce di per sé segno d’ignominia e di sconfitta, in quanto abbracciata da Nostro Signore e imbevuta dal suo Preziosissimo Sangue, diviene nella visione di Fede, «guardando Gesù crocifisso con gli occhi del cuore» (san Leone Magno), segno di trionfo e gloria: il ruvido legno diviene regale oro finissimo, impreziosito dalle gocce del Preziosissimo Sangue di Gesù, come rubini incastonati in essa. Solo se sappiamo, con gli occhi della Fede, strappare il velo della morte e dell’abbassamento inglorioso di Cristo, solo se sappiamo cogliere la sua grandezza nella sua profonda umiltà, possiamo comprendere il mistero della Redenzione, nel quale il Re dei re ha deciso di subire la morte destinata al peggiore degli assassini, sottomettendosi con la «stoltezza della Croce» (1Cor 1,18-22) a tutti i saggi e i principi della terra. Solo la vita può affrontare la morte e solo dalla morte ci può ridare la vita, come canta l’inno Vexilla Regis: «Qua vita mortem pertulit e morte vitam protulit» (Attraverso [la croce] la Vita, Nostro Signore, subì la morte e con la morte ci guadagnò la vita).
Allo stesso modo solo questo sguardo ci permette di capire come la Sindone, fotografia e reliquia della Passione, sia allo stesso tempo testimone e “reliquia” della Risurrezione: anzi come non possa essere l’una senza l’altra. Senza la Risurrezione, che ha impresso sul sacro Lenzuolo, il Corpo martirizzato di Gesù non avremmo quest’impressionante documento della Passione, ma d’altronde alla Risurrezione gloriosa, si può giungere solo tramite il velo della Passione, così come Mosè, folgorato dalla luce divina in viso, non poteva essere guardato dagli ebrei se non tramite il sudario che gli copriva il volto.
Scrive il sindonologo Mario Cappi: «Nel momento della Resurrezione quel sudario, negativo della luce divina, resterà come folgorato da quella radiazione luminosa che lo trapasserà, per cui i lineamenti del Salvatore resteranno indelebilmente impressi e per diciannove secoli leggibili solo come simboli di passione e di morte».
L’insegnamento della Sindone, anche approfondita in questa luce, non può d’altronde che essere quello di non separare mai, ad esempio di Cristo, la Croce portata per amore, la sofferenza anche martiriale, dalla speranza della gloria futura: solo tramite la Croce si giunge alla beatitudine senza fine ma solo la gloria del Paradiso giustifica e autorizza la Croce. Come nel Corpo glorioso di Cristo le piaghe della Passione rimasero come strumento di Redenzione per i fratelli (cf. Gv 20,26-29), come sulla Sindone le piaghe impresse dalla luce della Risurrezione rimangono come prove del suo amore per noi, così nella nostra vita in Paradiso le sofferenze sopportate per amore di Dio diventeranno distintivi della nostra gloria celeste. Diceva a proposito Benedetto XVI: «La morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, [...] questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini».

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