LA PEDAGOGISTA
Il figlio unico: un figlio più povero (seconda parte)
dal Numero 5 del 3 febbraio 2013
di Teresa Mancini

«D’altra parte, unico figlio della coppia, sola preoccupazione dei genitori, sola virtualità di risposta alle loro aspirazioni, il figlio unico è inevitabilmente un iperprotetto condannato al conformismo e alla soggezione e il regime che conosce è generalmente un miscuglio tipico di premure o di adulazione e di perfezionismo impenitente». I genitori hanno troppo tempo e troppe energie da indirizzare su di lui, per cui “lo spazio psicologico di libero movimento” si riduce spesso al lumicino: il figlio ha veramente poche occasioni di dare risposte autonome e personali agli stimoli che riceve dalla realtà esterna ed è costretto ad uniformarsi passivamente alle attese dei genitori, ai modellini posticci in cui questi lo inquadrano. Infatti la loro ansia verso questo oggetto prezioso è tale che non possono impedirsi di interferire costantemente in tutte le sue iniziative e di suggerirgli il comportamento che sembra loro migliore. Non è pertanto paradossale constatare nel figlio unico una intelligenza viva, che si alimenta al continuo contatto con l’adulto, ma unita a comportamenti vistosamente narcisisti, né ci sorprende trovare il figlio unico dipendente, indeciso, privo di iniziativa, puerile, sostanzialmente immaturo. Molti psicologi concordano nel cogliere nella paura di crescere, di diventare se stesso e di emanciparsi rispetto agli stereotipi genitoriali le principali caratteristiche di personalità del figlio unico. Solo apparentemente al figlio unico vengono risparmiate le rinunce, che secondo la mentalità comune incombono sulla prole della famiglia numerosa, considerata per definizione povera. La verità è un’altra. In realtà, il figlio unico vive spesso sotto una continua pressione: nella famiglia ristretta, dove è possibile solo uno schema triangolare di relazione, gli avvenimenti hanno un’eco affettiva molto più intensa che nella famiglia numerosa. Anche quando vi regna l’armonia, il bambino è forzatamente l’unico oggetto d’attenzione e i suoi successi come i suoi fallimenti sono costantemente sopravvalutati. Risulta molto interessante, a proposito, l’esito di una ricerca con test della personalità condotta su figli unici e non unici: è emerso che, secondo i figli non unici, i genitori amano i figli perché sono i loro figli e nulla di più, mentre per i figli unici l’amore parentale sembra condizionato dal comportamento del bambino. In un’altra ricerca sulla stessa tipologia di campioni, è emerso un altro dato molto significativo, che dà una chiave di lettura efficace e nuova a molte problematiche comportamentali delle nuove generazioni di giovani: i figli unici si differenziano rispetto ai non unici per risposte indicanti ansietà, colpevolezza e notevole aggressività, diretta, quest’ultima, soprattutto verso la figura materna avvertita come troppo prevaricante ed invadente. In altre parole, il figlio unico, ben lontano dal sentirsi privilegiato e felice della propria condizione, si sente invece vessato, abusato, sopraffatto dall’amore dei genitori, impoverito da esso.
Ritornando alla metafora della “famiglia orchestra”, ci sembra legittimo concludere che il rapporto tra fratelli offre al bambino esperienze di relazione inestimabili, di cui i figli unici sono deprivati; più cresce dunque il numero degli strumenti, più gradevole e completa è l’armonia che ne scaturisce, poiché un efficace e autentico ambiente di apprendimento ha la caratteristica di offrire occasioni di confronto, di cooperazione, di rinuncia in vista di un bene più alto…

Fine seconda parte

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