I FIORETTI
Il “pitturì” di padre Pio
dal Numero 24 del 18 giugno 2023

«Devo tutto a padre Pio. È merito del suo aiuto se ho potuto dedicare la vita all’arte. Guai se non ci fosse stato lui».
Così mi dice il maestro Antonio Ciccone, nel suo studio nel centro di Firenze. E continua: «Da bambino facevo il pastore a San Giovanni Rotondo ma a 7 anni scoprii la magia del disegno. Da quel momento non pensai ad altro che a diventare un pittore. La mia famiglia però non aveva i soldi per farmi studiare e allora chiesi consiglio a padre Pio. Lui sorrise e mi disse: “Presto la divina Provvidenza ti aiuterà”. E così è stato. In un modo eclatante e puntuale».
È un onore essere con il maestro Ciccone. Mi accoglie in un sottotetto inondato di luce e stracolmo di quadri. I suoi dipinti e i suoi disegni sono dappertutto. Li vedo appoggiati alle pareti, impilati a terra, sistemati lungo gli stretti corridoi, nelle stanze. Antonio Ciccone invece sta seduto alla sua postazione di lavoro, immerso in una foresta di pennelli e matite colorate. Accanto a lui un grande ritratto di padre Pio con in mano la corona del Rosario. 
Il maestro è un uomo minuto, dallo sguardo penetrante. Ed emana un carisma che scalda come un fuoco. Nato a San Giovanni Rotondo nel 1939, è un artista di fama internazionale. Allievo del leggendario Pietro Annigoni, ha tenuto più di duecento mostre personali in Europa e negli Stati Uniti, dove ha vissuto per quasi quindici anni. Gran parte della sua produzione riguarda proprio padre Pio. Molte sue opere che ritraggono il Santo si trovano a Casa Sollievo della Sofferenza, nel convento dei cappuccini e in diversi altri punti di San Giovanni Rotondo. E poi in importanti collezioni in Inghilterra e in America. Tra il 1986 e il 1987 ha presentato anche un’importate mostra itinerante in Inghilterra e in Irlanda dedicata proprio a padre Pio e alla natura del Gargano. 
«Ho cominciato a ritrarre il Padre agli inizi degli anni Cinquanta – mi racconta Ciccone –. Lo spiavo durante la Messa, studiavo il suo volto quando andavo a confessarmi e poi, una volta a casa, lo disegnavo. Spesso [dipingevo] mentre stavo nella stalla e allora mi ricordo che testimone di quei miei primi lavori era la nostra asina. Una volta andai a confessarmi dal Padre e lui, prima ancora che mi inginocchiassi, mi cacciò via. Aveva capito che ero andato da lui solamente per osservarlo da vicino e poi ritrarlo. Il Padre è stato per me un punto di riferimento, forse il più importante della mia vita. Mi sono sempre rivolto a lui per un consiglio o per farlo partecipe dei miei progressi. Anche quando vivevo negli USA, ogni anno andavo a San Giovanni Rotondo a trovarlo. Mi voleva bene e mi chiamava “pitturì”. Quando gli parlavo della mia carriera di artista mi incoraggiava sempre e mi diceva: “Mi raccomando uagliò! Non farmi fare brutta figura!”».
I ritratti di padre Pio eseguiti dal maestro che riempiono il suo studio sono quasi tutti realizzati a carboncino. Colpisce immediatamente lo sguardo del Frate: uno sguardo profondo, folgorante che raramente si incontra in ritratti di altri artisti. Si capisce subito che, quello sguardo, Ciccone lo ha avuto realmente di fronte a sé e poi non lo ha più dimenticato. «Però, padre Pio non si metteva mai in posa. Perciò lo dovevo osservare con attenzione. Una sola volta, dopo grande insistenza, accettò di posare ma lo fece solo per accontentarmi e non vedeva l’ora che finissi».
«La mia maestra di prima e seconda elementare si chiamava Elvira Serritelli, ed era una figlia spirituale di padre Pio. Lei mi portava a Messa al mattino presto e così potevo vedere quel Frate di cui tutti parlavano. Da lui, cominciai poi ad andare per confessarmi. Era molto dolce, ma a volte diventava severo e metteva quasi paura. Un giorno, nel confessionale, mi guardò come per incenerirmi e mi disse: “Erano buone le ciliegie?”. Mi sentii sprofondare. In campagna, mentre pascolavo le bestie, avevo rubato delle ciliegie e ne avevo fatto una scorpacciata. Non mi aveva visto nessuno, eppure il Padre sapeva tutto.
Come ho detto, ad un certo punto nacque in me la passione per il disegno. Disegnavo in continuazione, ovunque, con qualsiasi cosa dai pezzi di carbone ai frammenti di mattone. Un giorno, raccolsi qualche disegno, alcuni acquerelli e degli schizzi, e li portai a padre Pio per un consiglio. Io volevo studiare pittura ma la mia famiglia non poteva permetterselo. Tra i disegni, c’era anche una copia che avevo fatto di un Crocifisso del Guercino. Padre Pio lo guardò con intensità. Poi mise la mano sulla mia testa e mi disse: “Uagliò, porta pazienza e vedrai che molto presto la Divina Provvidenza ti aiuterà. Tu intanto prega il Signore”. 
Passò un anno. C’era un prete originario di San Giovanni Rotondo, don Benedetto Ricci, che era parroco a Firenze. Accettò di portare con sé alcuni miei disegni, tra cui un ritratto di padre Pio dipinto con colori a smalto, da mostrare a qualche intenditore d’arte fiorentino. Un giorno, andarono a casa sua i coniugi Fancelli, che erano figli spirituali di padre Pio. Videro sul tavolo il mio ritratto e ne rimasero colpiti. Chiesero chi fosse l’autore e don Ricci raccontò loro che si trattava di un giovane ragazzo di San Giovanni Rotondo che avrebbe tanto voluto studiare arte. I Fancelli si offrirono allora di portare i miei disegni a Pietro Annigoni, il grande artista milanese che al tempo era già famosissimo. Guardando i miei lavori, Annigoni disse: “Qualcosa c’è. Ma il ragazzo deve dimenticare tutto e cominciare da zero”. I coniugi Fancelli decisero di farmi vivere a casa loro a Firenze, così avrei potuto studiare. Prima però ne parlarono con padre Pio per essere sicuri che fosse la strada giusta. Lui rispose: “Certo! Dio vi benedica!”. 
Per me era una favola. Firenze era la capitale dell’arte, era tutto ciò che potevo desiderare. Ricordo che andai a salutare padre Pio, prima di partire. Volevo ringraziarlo perché sapevo che aveva tanto pregato per me. Mi disse: “Hai visto che la divina Provvidenza ti ha aiutato? Vai e che lu Signore ti benedica. Compòrtate sempre bbene!”. Era il 1954. 
A Firenze studiai anche con la professoressa Nerina Simi, figlia del grande pittore Filadelfo Simi. E allo stesso tempo venni accolto nella bottega di Annigoni. Fu il coronamento di un sogno. Era una scuola molto dura ma nello stesso tempo straordinaria. Negli anni Sessanta, poi, venni scoperto da un gallerista di Palm Beach, in Florida. Portò con sé alcuni miei quadri e vide che il pubblico americano li apprezzava molto. Così mi invitò a fare una mostra negli Stati Uniti e cominciai ad acquistare popolarità in quel paese. Quando andai a dire a padre Pio che partivo per l’America, benedicendomi mi avvertì paternamente: “Statte attento, uagliò!”.
Tenni sempre i contatti con lui. Andavo a trovarlo ogni anno e quando mi vedeva mi chiedeva: “Come và, pitturì?”. I frati di San Giovanni mi incaricarono anche di eseguire degli affreschi nel convento. Ricordo un fatto particolare: stavo lavorando sulla parete più alta di un enorme salone, su un ponteggio. Ad un certo punto, misi male un piede e persi l’equilibrio. Mi sarei dovuto sfracellare a terra ma accadde qualcosa di strano. Mi sentii sicuro, per nulla spaventato. E con un agile movimento, come se fossi stato un acrobata, allungai il braccio e mi afferrai saldamente. Non capivo come avevo potuto compiere quel gesto, ma poi guardai verso il basso e lì c’era padre Pio che mi fissava. Ecco, era tutto chiaro. Lui mi aveva protetto, ne sono sicuro. Posso dire di avere sempre sentito accanto a me la sua presenza. E spesso ho avvertito anche il suo profumo. Quando studiavo a Firenze lontano da casa, ad esempio, oppure quando ero negli USA. Nei momenti di sconforto, di dolore o di difficoltà, avvertivo il suo tipico profumo inebriante, soave, che faceva sparire ogni paura e mi dava la carica per ripartire con fiducia. 
Quando il Padre morì, ero a Southampton (New York). Seppi la notizia dai giornali. Fu un’emozione incredibile, molto difficile ora da descrivere. Ero addolorato, ma ancora più forte del senso di perdita era la netta sensazione che padre Pio fosse lì, al mio fianco. Una percezione talmente viva che mi si accapponò la pelle. Da quel momento, il mio modo di dipingere e di ritrarre il Padre non è più stato lo stesso. Ha acquistato un senso di maturità, di grande profondità spirituale. Proprio come se padre Pio fosse sempre accanto a me, a guidarmi e a incoraggiarmi con la sua forza cristiana».  

di Roberto Allegri, Il Settimanale di Padre Pio, N. 25/2023

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