SPIRITUALITÀ
Anche Tiberio, “testimone di Gesù”
dal Numero 36 del 13 settembre 2015
di Paolo Risso

Svetonio, Plinio il giovane, Tacito: sono nomi noti e importanti della Roma dei primi secoli dopo Cristo; nomi di personaggi che testimoniano la veridicità storica della vicenda di Gesù Cristo. Con essi la voce più eclatante dell’Imperatore romano Tiberio.

L’abbiamo scritto più volte su queste pagine: su Gesù – sua Esistenza, sua Vita, Dottrina, Opere, Morte e Risurrezione – c’è una documentazione eccezionale, che nessun altro personaggio storico ha. Ma gli “intellettuali” novatori, sfidando l’evidenza, giungono a dire che su Gesù c’è solo un assordante silentium saeculi: il mondo del suo tempo non avrebbe parlato di Lui.
Costoro prima hanno ridotto i Vangeli e i testi cristiani a pure confessioni di fede senza fondamento storico, ma non potendo reggere questa affermazione per la mole dei documenti, sono giunti a dire: “Il mondo della grande cultura greca e romana del I secolo è rimasto estraneo alle origini del Fatto cristiano”. “Gli autori non cristiani dei secoli I-II tacciono quasi tutti e quasi del tutto su Gesù”. Ma noi sappiamo che è vero il contrario e qui lo raccontiamo.

Gesù negli “Annali”

Innanzitutto lo storico Svetonio, nelle sue Vite dei Cesari racconta che l’Imperatore Claudio (41-54) intervenne con mano pesante per mettere fine agli screzi tra Giudei e Cristiani avvenuti a Roma nel 48 d.C., “impulsore Christo”, cioè a causa di Gesù. Svetonio scrive attorno al 120 d.C. di fatti avvenuti una settantina di anni prima.
Ancora prima nel 112 d.C. Plinio il giovane, Governatore della Bitinia (Asia Minore), chiede per lettera all’Imperatore Traiano, «per sapersi regolare nei confronti dei Cristiani, che si radunano ogni settimana nel giorno del sole [= la domenica] per cantare inni a Cristo come a un Dio». È evidente che questo “cantare inni a Cristo, come a Dio”, null’altro è che la «fractio panis», la Santa Messa domenicale, di cui più volte hanno già parlato gli Atti degli Apostoli (cf. 2,46).
Bastano questi due nomi di Svetonio e di Plinio, per affermare che Gesù e i suoi Discepoli, i Cristiani, fin da subito, fin dall’inizio avevano dato problemi agli stessi Imperatori, costretti, vogliano o non vogliano, a essere a loro modo “testimoni” e assertori di Gesù stesso, anche come persecutori o comunque ostili a Lui. Ma questo discorso si amplia quando noi leggiamo gli Annali di Tacito (54-119).
Costui, uno dei principali Storici romani dell’Impero, nei suoi Annali, appunto (attorno al 112 d.C.), racconta l’incendio che devastò Roma per opera di Nerone nel 64 d.C., e spiega la reazione dell’Imperatore per trovare altri “colpevoli” dell’infame azione da lui compiuta. Tacito scrive: «Per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottopose a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli per le loro nefandezze [quali?], denominava i Cristiani. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l’Impero di Tiberio, era stato condannato al supplizio della croce dal procuratore Ponzio Pilato; e momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione, di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di più turpe e di vergognoso».
Questa pagina famosa di Tacito riassume il fatto storico: con Gesù di Nazareth, chiamato “Cristo”, che fu condannato a morte a Gerusalemme da Pilato, non solo non sparisce, ma si diffonde un movimento come per un inarrestabile contagio, arrivando a Roma, dove pochi anni dopo la Crocifissione, nel 64, i Suoi seguaci sono già così numerosi e ingiustamente perseguitati.

Gesù nel “Pantheon”?

Dallo stile degli Annali, opera storica, si intuisce che Tacito ha attirato le sue informazioni su Gesù dai “protocolli del Senato romano”. Il “caso Gesù” arriva al Senato di Roma nell’anno 35, a poca distanza dall’esecuzione capitale del Maestro di Nazareth, mentre sono ancora in vita e in carica Caifa, Pilato e soci di quel processo infame.
L’Imperatore Tiberio, tutt’altro che uno stinco di santo, in quell’anno 35 ha chiesto al Senato di Roma di accettare tra le altre religioni dell’Impero anche la nuova religione “cristiana”, di riconoscere pertanto quel Gesù, crocifisso da Caifa e da Pilato, come “dio”. Come sappiamo questo?
Giustino di Nablus, filosofo, convertito a Cristo, nella sua Apologia scritta attorno al 150 d.C., narra che Pilato fece relazione a Tiberio sulla vicenda di Gesù: pertanto Giustino rinvia i suoi contemporanei agli archivi imperiali, affinché dai medesimi sappiano senza smentita alcuna, di Gesù stesso, della sua vita, predicazione, morte in croce e risurrezione. Così impariamo che Pilato fornì da Gerusalemme informazioni circa la vicenda e la divinità di questo Gesù che si stava diffondendo in Palestina, dove secondo molti, il Nazareno crocifisso il 7 aprile del 30 (secondo il calcolo comune degli storici), era dato per risorto!
Così Tiberio, rispettoso della religione dei popoli sottomessi all’Impero, chiese al Senato di riconoscere Gesù come “dio”. Ciò dimostra che Tiberio di Gesù era informato e di Lui aveva altissima stima così da proporlo nel “Pantheon” romano, tra gli dèi tutelari dell’Impero.
Questo accadeva già nel 35 d.C. Tutt’altro che uno sconosciuto questo Gesù di Nazareth, se a breve distanza dalla sua dipartita da noi, l’Imperatore di Roma vuole porlo tra le divinità dell’Impero. A suo modo, anche Tiberio testimonia Gesù.
Noi sappiamo dal Vangelo di Matteo che le guardie messe dal sinedrio a vigilare sulla tomba di Gesù relazionarono a Caifa, sommo sacerdote del giudaismo, e a Ponzio Pilato, Procuratore romano, che Gesù era risorto e, per questo, ebbero la tangente dal sinedrio perché tacessero al riguardo del Risorto e dicessero che i Discepoli di Gesù, mentre esse dormivano, avevano portato via il suo corpo (cf. Mt 28,11-15).
Ciò che Pilato trasmise pertanto a Tiberio dovette essere impressionante, perché Tiberio, «sotto il cui regno il Nome di Cristo ha fatto il suo ingresso nel mondo – secondo il giurista Tertulliano – trasmise al Senato dando per primo il suo voto favorevole, tutto quanto gli era stato comunicato dalla Palestina e che dimostrava la divinità di Gesù. Il Senato, però – aggiunge Tertulliano – non avendo esso stesso verificato questi fatti [di Gesù], votò contro». Così il Senato rifiutò di proclamare “dio” Gesù di Nazareth, e il Cristianesimo, per quel Senatoconsulto, diventò superstizione illecita. Ma Tiberio – comandava lui o no? – proibì di perseguitare i Cristiani: lo sarebbero stati, dei perseguitati a morte, solo 30 anni dopo, sotto Nerone.
Tiberio intanto andò per conto suo: egli voleva riconoscere la nuova “setta giudaico-messianica” (= il Cristianesimo), ma non anti-romana, già diffusa in Giudea e sottrarre a quei fanatici del sinedrio ogni potere su di essa, come già aveva fatto con i samaritani.

Dimissionati dall’Imperatore!

Dopo la bocciatura del Senato, Tiberio mandò in Oriente il suo Luogotenente Lucio Vitellio che nel 36-37 depose Caifa da sommo sacerdote dei giudei, colui che aveva giudicato Gesù reo di morte (cf. Mt 26,57-66) e richiamò Pilato a Roma. Così la beffa fu somma: Caifa, che aveva urlato a Pilato: «Se liberi costui [Gesù] non sei amico di Cesare, perché chiunque si fa re, si mette contro Cesare» (Gv 19,12), e Pilato che aveva avuto paura di perdere la seggiola di politico se avesse liberato Gesù, furono entrambi dimissionati e sollevati dall’incarico per aver mandato a morte Gesù, dallo stesso Imperatore.
Insomma, la condanna inflitta a Gesù, l’Innocente per eccellenza, invece di mantenerli sicuri al loro posto, gli ha ottenuto la destituzione.
In quello stesso anno 36, tra l’Imperatore Tiberio e il “re” di Edessa nell’Osroene (Asia Minore), Abgar il Nero, ci fu uno scambio epistolare di brevi lettere, in cui Abgar prega Tiberio di intervenire contro i Giudei per punire i responsabili della Crocifissione di Gesù, e Tiberio risponde di aver già provveduto, destituendo Caifa e Pilato, e promette di prendere ancora altri provvedimenti appena possibile.
Per ora non andiamo oltre. Ci fermiamo alla richiesta da parte di Tiberio di far riconoscere da parte del Senato di Roma, Gesù come dio. Questa proposta imperiale documenta che Gesù fin dall’inizio era adorato come Dio, già dai suoi contemporanei, nei suoi stessi anni, dai suoi seguaci, al punto che l’Imperatore voleva far accettare la sua divinità dal Senato di Roma.
Dunque, non c’è stata, come dicono i novatori di ieri e di oggi, una “divinizzazione” successiva di Gesù da parte dei posteri. Non c’è mai stato, come sosteneva Bultmann, un “Gesù storico” di cui sappiamo quasi nulla, “un uomo soltanto marginale”, “un popolano qualsiasi”, e poi un “Cristo della fede”, inventato decenni dopo da comunità anonime ed effervescenti. Fin da subito Gesù è stato riconosciuto “Cristo”, cioè il Consacrato, il Messia, anzi adorato come Dio fatto uomo.
«Gesù appare immediatamente e senza genesi, posto su un piano di uguaglianza con Jahvè. Gesù è Dio stesso». Così scrivono gli storici e gli esegeti davvero seri e oggettivi. Così fin dall’inizio, Gesù fece parlare di sé non solo la cultura di Roma, come testimoniano Svetonio, Plinio e Tacito (e quanti altri di cui presto scriveremo), ma coinvolse lo stesso Imperatore Tiberio con argomenti e autorità così eclatanti da farsi riconoscere Dio. Non c’è mai stato su di Lui il silenzio del mondo (“silentium saeculi”), ma il fragore del mondo attorno a Lui.
Con buona pace dei novatori e dei loro maestri, e per la gloria di Cristo.  

* Tratto da: Marta Sordi, I cristiani e l’impero romano, Jaca Book, Milano 2004; Ilaria Ramelli, Un quindicennio di studi sulla prima diffusione dell’annuncio cristiano, in: I. Ramelli – E. Innocenti, Gesù a Roma, Sacra Fraternitas aurigarum, Roma 2007; A. Socci, La guerra contro Gesù, Rizzoli, Milano 2011.

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