SPIRITUALITÀ
PASSIONE | Con un bacio... Gesù tradito dall’amico
dal Numero 13 del 28 marzo 2021
di Don Eugenio Bernardi

«Noi siamo stati presenti al dramma dell’Orto e vi abbiamo portato un contributo di dolore, del quale noi, e noi soli, portiamo la personale responsabilità. Gesù ci ha visti, ci ha riconosciuti e ha sopportato l’oltraggio senza maledirci, ma gemendo e struggendosi d’angoscia al pensiero dell’amicizia da noi vilmente tradita. Gesù non mi ha dato motivo di odiarlo, ma io purtroppo ho avuto dei motivi per tradirlo. Motivi che non ho il coraggio di confessare a me stesso. Motivi vili e bassi: la soddisfazione dell’orgoglio, della vanità, del risentimento, della carne. Non ho chiesto di più. Una piccola soddisfazione mi è bastata per dimenticare tutto e tradire il più grande Amico».

Con queste parole forti, vere, drammatiche, l’autore dispone il nostro animo a un sincero esame di coscienza, perché la seguente meditazione vi cada come semente su terreno buono, e al pentimento del cuore si unisca il proposito di mai più tradire Gesù con il peccato.

Siamo nell’orto. La spedizione mandata per arrestare Gesù rimane fuori dal recinto, come in attesa. Ed ecco un uomo valicare il muro di cinta, ed avanzare rapidamente verso il Maestro. È Giuda. L’incontro non poteva essere più cordiale. L’ex discepolo, con una faccia di bronzo deturpata da un orribile sorriso che mal si conciliava con l’ipocrita atteggiamento esterno, gettò le braccia attorno al collo di Gesù abbracciandolo con effusione (katefilesen autòn = lo abbracciò ripetutamente e lo strinse a lungo al petto. Questo verbo è più espressivo che il semplice filèin = baciare).

A questo punto bisogna che torniamo un po’ indietro per conoscere gli antecedenti dell’odioso gesto compiuto da Giuda. San Giovanni ci dice che Giuda, conoscendo per esperienza il luogo del recapito notturno di Gesù, «avendo preso una coorte (un manipolo = duecento uomini di truppa), e da parte dei principi e dei farisei un buon nerbo di guardie del tempio, venne colà con lanterne e fiaccole ed armi» (Gv 18,3) [...].

A tutti costoro (cioè alle truppe e ai loro capi) Giuda aveva proposto come segno indicatore per riconoscere la persona di Gesù, il bacio. «Quello che bacerò è lui, arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta» (Mc 14,44). Quello che io avrò baciato è appunto colui che voi cercate. Impadronitevi di Lui e conducetelo (via) solidamente (legato). Questa traduzione italiana del latino della Vulgata corrisponde perfettamente al testo greco. Le ultime parole, «sotto buona scorta», non devono essere intese nel senso di “conducetelo cautamente o con precauzione”, ma bensì in quello di “conducetelo saldamente o solidamente (sottintendi: legato)”.

Ci domandiamo se tutte queste misure precauzionali (in verità, ben esagerate!) per impadronirsi di Gesù siano dovute alle suggestioni di Giuda. La risposta non può essere che congetturale perché il Testo sacro non si spiega chiaramente. Stando alle parole di san Giovanni, sembrerebbe di sì («Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei», Gv 18,3). Il testo sembra attribuire a Giuda l’iniziativa [...].

Non è affatto inverosimile che quelle misure siano state ispirate, almeno in parte, dalle suggestioni di Giuda il quale sapeva benissimo che Gesù in condizioni analoghe era riuscito a sfuggire ai suoi nemici in modo del tutto strano se non miracoloso. Egli ricordava senza dubbio il caso di Nazareth quando i compatrioti di Gesù volevano precipitarlo dal monte, e come il Maestro fosse passato impunemente in mezzo alla folla ammutinata («ma egli passando in mezzo a loro se ne andò»; Lc 4,30); e quello del portico di Salomone, quando i suoi avversari volevano addirittura lapidario ed «Egli sfuggì dalle loro mani» (Gv 10,39). Senza contare il caso, anche troppo noto ai pontefici, di quando le guardie mandate per arrestarlo se ne dovettero ritornare a mani vuote dicendo: «mai un uomo ha parlato come questo uomo» (Gv 7,46). Tutte queste ragioni dovettero persuadere i membri del sinedrio a prendere tutte le precauzioni perché questa volta Gesù non potesse sfuggire.

Quello che in ogni modo si deve attribuire unicamente allo zelo di Giuda è il suggerimento di legare Gesù strettamente (asfalòs) e di circondarlo di un buon nerbo di soldati. Il miserabile sapeva anche troppo bene che il suo ex Maestro aveva a disposizione una forza misteriosa. Che fosse magia o potenza diabolica, Gesù era riuscito a compiere cose assolutamente al di sopra del potere normale degli uomini: aveva calmato la tempesta infuriata sul lago, aveva dominato l’indemoniato di Gerasa, aveva moltiplicato i pani, resuscitato i morti... Il suo potere era dunque straordinario e, ciò posto, il nerbo di soldati romani era tutt’altro che superfluo.

L’incredibile accanimento usato da Giuda per far riuscire la sua losca impresa parrebbe addirittura inesplicabile se non si pensasse che molto probabilmente i sommi sacerdoti pattuirono con lui di effettuare il versamento della somma promessa solo a cose compiute. Il fascino del denaro continua dunque ad abbacinare il miserabile e gli fa dimenticare tutto il resto. Dimentica l’Amico, le sue attenzioni, la fiducia dimostratagli; dimentica gli avvisi, i richiami, le minacce; dimentica la dottrina così elevata (che, ahimè, egli non comprese mai), i miracoli, tutto... E, a sangue freddo, con un odioso calcolo lungamente premeditato, dispone, ordina, formula il suo piano d’attacco, prende tutte le precauzioni possibili, perché l’Amico di una volta cada nelle mani dei suoi più accaniti avversari che certo non lo risparmieranno.

Per arrivare fino a un tal punto bisogna senz’altro ammettere che Giuda avesse completamente perduto la fede. Come avrebbe potuto altrimenti pensare che le catene o le truppe romane fossero in grado di mettere un limite alla potenza del Figlio di Dio? San Paolo dice che né i sommi sacerdoti né i capi della sinagoga avrebbero crocifisso Gesù se l’avessero riconosciuto come il Signore della gloria («se l’avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria», 1Cor 2,8). Questo si può ben dire anche di Giuda, ma tutto ciò non attenua la colpa né dei capi del popolo né di Giuda, perché non vollero conoscere il Signore della gloria. La loro cecità era tutt’altro che involontaria: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane» (Gv 9,41).

Così come a Giuda, avviene a tutti i peccatori. Il peccato è dovuto a un indebolimento della fede. Indebolimento momentaneo o abituale che oscura le verità rivelate di modo che sulla volontà oscillante ha presa solo la visione di un bene transitorio. Lasciando da parte le tremende verità d’oltretomba, noi ci domandiamo: come potrebbe essere possibile il peccato grave per colui che sa con certezza che il peccato grave è un crocifiggere il Signore della gloria? O, come dice san Paolo in un altro passo, è crocifiggere in se stessi il Figlio di Dio e colmarlo di contumelie (cf. Eb 6,6)? Come potrebbe essere possibile il peccato grave per un credente che sa con tutta sicurezza di infliggere con esso un’atroce tortura al Cuore del più buono, del più affettuoso degli amici? In verità, per compiere una simile enormità, bisogna incominciare col non credere più.

Si può compatire chi, in un atto di passione e senza riflettere, cade in peccato. Non è escluso che il turbamento della ragione, lì per lì, tolga anche l’avvertenza almeno in parte. Ma come scusare chi con piena conoscenza di causa commette il peccato? Costui assomiglia a Giuda che con sangue freddo e con premeditazione, predisponendo tutti gli elementi necessari per l’effettuazione del piano concepito già in antecedenza, vende Gesù ai suoi nemici con un maledetto bacio traditore. Ora, la piena conoscenza si può ben supporre in chi è stato educato cristianamente.

Ma non solo il peccato mortale è inconcepibile in un uomo che vive e opera nella piena luce della fede, ma anche lo stesso peccato veniale pienamente avvertito sembra inammissibile in chi sa quello che esso significa. Se Giuda ha ferito a morte Gesù col suo tradimento, certamente anche gli Apostoli lo hanno profondamente rattristato con le loro negligenze e con la loro assenza nell’ora dell’agonia. E il peccato veniale assomiglia anche troppo a queste negligenze e a questa assenza. Con che cuore un’anima che crede potrebbe affliggere il grande Amico accasciato a morte per colpa dei nostri peccati?

Giuda ha perduto completamente la fede, ma insieme con la fede ha perduto anche quel sentimento di umanità che è innato nel cuore dell’uomo. In lui non ci sono più il rispetto dell’amicizia, il sentimento della riconoscenza, il più elementare palpito dell’umana pietà. Vende senza il minimo scrupolo il sangue di un Giusto. Tutto crolla, quando si spegne la luce della fede e l’uomo è trasformato in belva.

L’infelice discepolo si avvicina al Maestro. Nessuna esitazione in lui. Sa benissimo la parte che deve sostenere, e la gioca. Ha il coraggio di gettare le braccia al collo di Gesù che lo guarda senza ira e senza sdegno; ha il coraggio di stringerlo ripetutamente sul cuore e di baciarlo sulle gote. Poi gli dice: «Salve, Rabbi!». E dopo tutto ciò, non batte ciglio, le pulsazioni del suo cuore non si sono accelerate di un’unità, la sua fronte impassibile e la sua faccia di bronzo impenetrabile. Forse abbozza un sorriso che fa orrore perché assomiglia a un ghigno diabolico. È come il serpente che guarda col suo occhio vitreo il piccolo innocente uccellino prima di scagliarsi contro di lui. È orribile. Eppure è storia d’ogni giorno!

* * *

Bisogna, alla fin fine, che anch’io mi metta di fronte alla realtà. Credo o non credo? Credo che il peccato è l’imperversare dell’uomo contro l’Amico per eccellenza, e non un imperversare metaforico ma reale? Che Gesù abbia patito per i miei peccati, questo è di fede. «È stato schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53,5); «Portava il peccato di molti» (Is 12). Ma che abbia patito per ogni peccato nostro una particolare pena fino a morirne, questo non è propriamente di fede, ma è una conseguenza logica di premesse certe. E non c’è dubbio che i documenti pontifici (ad esempio l’enciclica Miserentissimus Redemptor), le preghiere della Chiesa (per esempio nel Venerdì Santo), le conclusioni dei teologi e le intuizioni dei santi ci confermano in questa ferma credenza.
Credo o non credo?
Tutto è qui.


Amico, perché sei venuto? 

Noi ci domandiamo quale reazione ci fu in Gesù all’avvicinarsi del traditore. Non c’è dubbio che il Signore non poté lasciarsi ingannare. Egli conosceva benissimo quali erano le disposizioni del miserabile e di questa conoscenza Egli aveva dato prove abbondanti nei giorni passati. Come accolse dunque Gesù il traditore, dal momento che Egli conosceva perfettamente quale oscena commedia stesse rappresentando? [...].

Come uomo, Gesù non poteva non sentire umanamente. Quel complesso mostruoso di calcolata malizia e di spietata crudeltà che Egli vedeva nel tradimento di Giuda non poteva non ferirlo crudelmente. In modo speciale doveva affliggerlo, fin nel più intimo del Cuore, la nera ingratitudine dell’ex discepolo. E di ciò abbiamo una prova nel salmo 40 che è certamente messianico. Ecco dunque come suonano le parole del salmo che si debbono attribuire a Gesù: «Anche il mio amico del quale mi ero fidato, che mangia il pane con me, ha mosso contro di me il suo calcagno!». In quel “anche il mio amico” vi è uno stupore doloroso che trafigge il cuore. Nel salmo 54, che però non è messianico ma che pare riflettere la medesima situazione, questo sentimento di disgusto per il tradimento dell’amico è ancora più accentuato. Questo salmo è espressione dell’indicibile amarezza provata dall’autore di fronte al tradimento dell’amico teneramente amato e lungamente beneficato. Amarezza tutta umana, e, come tale, propria anche di Gesù. «Se il mio nemico mi avesse maledetto – dice il salmista –, l’avrei sopportato, / se colui che mi odia fosse insorto contro di me, mi sarei nascosto. / Ma eri tu, compagno mio, amico mio e mio familiare / tu col quale ebbi comune la vita e col quale ero solito andare al tempio tra la folla in festa». Certo, tutti questi sentimenti così umani, così naturali, così istintivi dovette provarli anche Gesù, che era uomo come noi.

Ma la somiglianza tra Gesù e il salmista finisce qui. Perché, mentre quest’ultimo conclude il suo lamento con grido terribile d’ira, imprecando sopra l’amico traditore tutte le maledizioni, Gesù invece risponde al più odioso dei tradimenti con la voce accorata e affettuosa di un amico sempre pronto a dimenticare tutto. Il contrasto è vivissimo. Basta accostare le parole del salmista, che è un semplice uomo incapace di trascendere i confini di una pura, per quanto fondatissima, giustizia e le parole di Gesù che di un colpo ci trasporta nel mondo di un infinito amore. Ecco dunque le parole del salmista: «Cada la morte sopra di loro, ancora vivi siano precipitati negli inferi perché la cattiveria è entrata nelle loro case, in mezzo a loro!». Ed ecco le parole di Gesù a Giuda: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?» (Lc 22,48). E immediatamente dopo, con un tono di indicibile strazio: «O amico, sei venuto per questo!». Questa versione modificata del latino corrisponde al testo greco che non contiene certamente una domanda (“perché sei venuto?”), ma un rimprovero stupito e doloroso: «È per questo che sei venuto!».

Ed ora cerchiamo di fermare la nostra attenzione sulle parole di Gesù: amico, è per questo che sei venuto (cioè per tradirmi)! Certo queste parole contengono un rimprovero, ma quanto delicato e discreto! Non è che un richiamo, un accenno rapido, perché il tempo stringe e i soldati – riconosciuto il segnale – hanno già valicato il muro di cinta; un richiamo, un accenno però che lasciano un ampio campo di riflessione. Era come dire: Giuda, amico mio, dove sei arrivato! A quel punto ti ha portato la passione! C’è però ancora tempo, rientra in te stesso. Io voglio ancora essere per te l’amico e compagno. Giuda, amico mio!

Queste ultime, incredibili parole sono un documento di primaria importanza per comprendere i sentimenti di Gesù di fronte a Giuda. Non c’è il minimo dubbio (Dio ci guardi dal pensare il contrario!) che esse sono l’espressione della verità. Gesù intende rimanere, per quanto lo riguarda, sempre l’amico di Giuda. Nulla dovrà essere cambiato tra Lui e Giuda, purché lo sciagurato discepolo voglia almeno rispondere al suo invito. Giuda, amico mio! Era come dire: tu mi vendi con un bacio di morte ai miei nemici, io sono pronto ad offrirti il bacio della vera amicizia e della vita. Tu mi odi, ma io ti amo. Tu vuoi perdermi, ma io ti voglio salvare! C’è ancora tempo, Giuda, amico mio!

Gesù desidera sul serio e con tutte le forze di salvare Giuda e di ristabilirlo nella sua amicizia. Noi non abbiamo udito le meravigliose parole dette da Lui al traditore in quella notte di agonia, ma ci par di udirle pronunciare con accento straziante, impregnate di pianto: Giuda, amico mio! È come un ultimo appello angosciato, quasi disperato, all’amico che sta definitivamente perdendosi perché impenetrabile al richiamo della grazia.

Quelle parole, che per il momento passarono quasi inavvertite all’infelice discepolo, dovettero più tardi ritornare alla memoria di Giuda come un ricordo insopportabile, come un rimorso acuto e penetrante, perché poche ore dopo il traditore lo rivediamo in uno stato di agitazione incontenibile. Quel denaro che aveva tanto agognato, non lo vuole più. Gli scotta nelle mani. È una maledizione. In preda a un’eccitazione straordinaria, Giuda ritorna al sinedrio, riporta il denaro ai capi del popolo, tenta di disfare l’obbrobrioso contratto: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente!» (Mt 27,4). Certamente Giuda non riflette più perché altrimenti mai avrebbe immaginato che quei politicanti senza scrupoli fossero disposti a distruggere quello che avevano raggiunto con tanti e reiterati sforzi. «Che ci riguarda? Veditela tu» (Mt 27,4). Giuda perde la testa. Con un gesto disperato getta i denari nel tempio e va a impiccarsi. Come spiegare quell’improvviso cambiamento di Giuda? E come spiegare quella strana e intollerabile agitazione?

Come spiegare il gesto da pazzo e la funesta e lugubre conclusione? Non è inverosimile credere che le parole di Gesù, piene di dolcezza e di perdono, abbiano risuonato nell’anima del traditore come un rimorso e nello stesso tempo come speranza. Amico! Amico! È per questo che sei venuto! Giuda, amico mio, con un bacio! Sono gli ultimi bagliori della grazia, ai quali segue la visione fosca di un delitto che, ora, anche allo stesso Giuda, sembra imperdonabile! L’infelice ha la testa in fiamme. Noi non ci arrischiamo, neppure in via di semplice ipotesi, ad analizzare la tragedia di quell’anima. Ma questo è appunto il mistero del male, che l’uomo trasforma la grazia che dovrebbe salvarlo in perdizione. Gesù perseguita l’anima col suo implacabile amore fino agli ultimi momenti, fino sull’orlo dell’eternità, e l’anima lo respinge un’ultima volta e si precipita nella rovina senza rimedio. Questo è il mistero del peccatore che si perde. Il mistero tremendo, impressionante, di Giuda.

Noi non disprezzeremo quest’uomo, perché il disprezzare non è proprio di un cristiano, ma non potremo dimenticare che il principio della rovina è il raffreddarsi nell’amicizia con Gesù, e l’ultimo epilogo è il respingere quest’amicizia definitivamente. Tutta la vita del cristiano deve essere vista in funzione di questa santa e divina amicizia. «Se qualcuno non ama il Signore nostro Gesù Cristo sia anatema!» (1Cor 16,22).
* * *

Se tutte le volte che la passione turba e lusinga l’uomo di carne, mi ricordassi le parole del Maestro: «Amico, per questo sei venuto!». Amico, sei venuto dunque per vendermi, e... a quale prezzo! Se mi ricordassi di quelle parole, potrei passare avanti e consumare (ch’io ne abbia la coscienza o no) il tradimento di Giuda?  


tratto da La Passione di Gesù

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