SPIRITUALITÀ
Il mio amico Marcellino
dal Numero 29 del 21 luglio 2013
di Paolo Risso

Un’incantevole storia risalente all’epoca dell’invasione napoleonica della Spagna, tratta dal romanzo scritto nel 1953 dallo spagnolo Josè Maria Sanchez Silva, mostra la dolcezza della vita con Gesù, al contrario di molte storie che invece hanno bandito la sfera del soprannaturale. Cristo dev’essere restituito alla nostra gioventù!

Sono sempre stato un bravo bambino. Anche in quarta elementare lo ero. Ma un fatto mi dava fastidio, quasi mi infuriava: quando il maestro a scuola leggeva ad alta voce e commentava, regolarmente due volte alla settimana, il libro Cuore di Edmondo De Amicis. Cuore vuole essere il diario delle vicende di una classe elementare nell’anno scolastico 1881-’82 nella scuola statale Moncenisio a Torino. Si raccontano episodi di ragazzi e delle loro famiglie, da Derossi, il primo della classe, che è “un signorino” cui non manca nulla, neppure le buone maniere, al “muratorino” che già si guadagna il pane per vivere con il lavoro. Sullo sfondo c’è la Torino e l’Italia dell’epoca, con i suoi “eroi”, quali re Vittorio, Cavour, Garibaldi e Mazzini, e i patrioti che “hanno fatto” l’Italia, tutti permeati dal senso del dovere fino a sacrificare la vita per la Patria, ecc... Ogni mese, poi, c’era il racconto mensile, i cui protagonisti con le loro storie di “buoni sentimenti” e altrettanto “buone azioni” avrebbero dovuto strappar lacrime e impegni a essere “buoni cittadini”.

Franti, che simpatico!

La prima cosa di cui mi accorsi è che De Amicis era riuscito a raccontare di un intero anno scolastico senza mai citare Natale e Pasqua, le Solennità cristiane per eccellenza. Mai si parlava, in quella noiosissima classe, di Dio e della sua Legge. Nel Cuore di De Amicis, Gesù, l’Uomo-Dio, proprio non c’era, e io non mi davo pace.
Eppure si diceva di dover imitare Derossi, “il più bravo”, o, se si era poveri, il “muratorino”, il più sacrificato, o se poco dotati, almeno si imitasse Garrone che era un buon figliuolo e generoso, anche se zuccone, e via dicendo. Ma per me, questi ragazzi erano assai antipatici e non capivo come potessero essere dei modelli, essendo senza Dio e senza Cristo.
Infine era fastidioso il culto di questi “eroi” sopra citati che avevano perseguitato la mia Chiesa Cattolica, e pure il Papa, l’angelico Pio IX, come già da un po’, almeno velatamente, mi risultava dal libro di storia, tanto più che un vecchio prete molto schietto mi aveva narrato di loro secondo verità. Così invece di commuovermi, mi irritavo dentro come un bufalo.
Quando poi mi si proponeva tutta una serie di sacrifici per questo o per quello, per il presente o per l’avvenire, per la società, per la Patria per cui avrei dovuto marciare entusiasta prestando servizio militare come si mangia un gelato d’estate, fino a morire per essa – cosa bella e gioconda, ohibò! –, mi ribellavo dentro, pensando che io, sì, i sacrifici li avrei fatti, ma per Gesù in persona e anche per gli altri, ma solo per amor suo. Dentro di me pensavo che una società costruita in quel modo era una brutta società; che una scuola fatta per una società così era davvero una brutta scuola, insopportabile lo starci dentro, il frequentarla tutti i giorni. Con tutto il mio cuore, detestavo il libro Cuore e il suo Autore e i suoi protagonisti.
Un giorno, il maestro lesse la storia di Franti, il discolo della classe, che diceva parolacce all’insegnante e pure al direttore didattico, arrivando a minacciar loro qualche calcio negli stinchi (Franti deriva da frangere, cioè “rompere”). Secondo la buona morale, avrei dovuto detestare Franti, il “cattivo”, invece a me rimase subito simpatico assai, perché una scuola senza Cristo e senza Dio né Legge divina, non merita forse in fondo solo di essere presa a calci? Frequentarla è pericoloso, perché sarebbe come mandare i teneri agnellini a scuola dai lupi!
Lo dissi alla mia mamma la quale mi diede ragione, ma mi consigliò di non dirlo ad alta voce, perché avrei rischiato di fare la fine di Franti, cacciato da scuola. Sono passati più di 50 anni da allora, ma anche oggi, proprio oggi, non può esistere né educazione né scuola senza Cristo, perché, ricordate, “solo Cristo edifica umanamente – anzi, divinamente – l’uomo”.
Aprano gli occhi i genitori, gli educatori che vogliono essere cristiani e cattolici, e anche i preti cui stia ancora a cuore la Salvezza dei ragazzi e dei giovani. Aprire gli occhi oggi, aprirli bene, e farli aprire a chi li avesse ancora chiusi o non volesse vedere.

Un bambino e Gesù

Vittorio Messori ha scritto con cognizione di causa: «Cuore è un manuale di massoneria per il popolo... è provato che De Amicis era “un fratello” a pieno titolo della Gran Loggia torinese. L’aspetto di manuale divulgativo dell’ideologia del massone De Amicis è evidentissimo: la “morale” sembra cristiana, ma non è basata sulla fede nel Cristo, del Quale mai si parla, né sull’attesa della Vita eterna, bensì sulla fede nell’Umanità e nel Progresso. Il processo di svuotamento e di sostituzione è completo. Le feste cristiane sono sostituite da quelle civili; il Vangelo dallo Statuto e dai Codici; i Santi dai padri della Patria (re Vittorio, Garibaldi, Cavour, Mazzini); gli Ordini religiosi dall’esercito visto come fucina di virtù; l’impegno ascetico dalle virtù del cittadino; il Decalogo e il Discorso della Montagna dai buoni sentimenti su cui tutti concordano...».
Si trattava di un libro senza Cristo, di una scuola senza Cristo, destinata a scristianizzare e a “scattolicizzare” la società, in fondo a mettere al posto della Fede cattolica la disperazione, come succede a molti ragazzi d’oggi la cui fede viene tolta dagli insegnanti della scuola di Stato, in questi nostri tristissimi anni.
Quando uscì Cuore e si diffuse assai perché molti cattolici, ingenui come al solito, non capirono l’inganno, i Salesiani di Torino misero in campo il loro don Viglietti che scrisse un libro simile, intitolandolo Vita di collegio, riportando Gesù Cristo al centro dell’educazione, della scuola, dei ragazzi in crescita, affinché partano per la vita non soli e orfani, ma accompagnati da Lui, Gesù. Don Bosco, ormai vecchio, ma più lucido che mai, letto Cuore esclamò ironicamente: «Bello, peccato però che non funzioni. Come ci si può riconoscere fratelli e comportarsi da fratelli, senza riconoscere come Padre comune Dio che è Padre?».
Ed è così che a me ragazzo decenne, un altro libro piaceva assai fino a leggerlo e rileggerlo non so quante volte: Marcellino, pane e vino. Nel 1955 era uscito il bellissimo film con questo titolo, per la regia dell’ungherese Ladislao Vajda, in cui il protagonista, Marcellino appunto, un simpatico bambino, era interpretato magistralmente da Pablito Calvo, dalla faccia di angioletto un po’ monello. Era un’incantevole storia risalente all’epoca dell’invasione napoleonica della Spagna, tratta dal romanzo scritto nel 1953 dallo spagnolo Josè Maria Sanchez Silva, che narrava l’avventura di un piccino abbandonato alla nascita presso la porta di un convento di frati francescani: questi lo raccolgono come un tesoro preziosissimo e subito vanno a cercare chi sia la madre. Non trovando nessuno dei suoi parenti, i frati lo battezzano con il nome di Marcellino e lo allevano con il latte della capra e mille premure. Gli insegnano a conoscere, amare e pregare Gesù, come il più grande Amico, ma gli lasciano pure la libertà di giocare e di esplorare il mondo nelle frequenti uscite con loro, di crescere vero e schietto come tutti i bambini.
Una cosa sola gli proibiscono i frati: di andare sulla soffitta del convento, perché è pericoloso per lui. Ma Marcellino, sei anni di età, disubbidisce e ci va armandosi di un bastone... e lassù, si trova davanti a un grande Crocifisso, di dimensioni naturali: lo contempla con gli occhi sgranati e se ne innamora. Gli rivolge la parola, perché sa che Lui è l’Amico... e il Crocifisso gli risponde in un colloquio meraviglioso di amore.
Anch’io vidi il film e ne fui estasiato: Marcellino era un bambino vero, con carne e cuore di carne, capace di ridere, di pensare, di far marachelle, di giocare, di appassionarsi ai suoi amici e ancora di più all’Amico per eccellenza, Gesù: non un manichino come i vari Derossi, Precossi, Garrone e soci di Cuore sempre pronti a scattare sull’attenti come soldati di cartapesta davanti a pretesi doveri civili.
Costrinsi il mio papà a comperarmi il libro che leggo e rileggo ancora adesso, trovandolo sempre più affascinante perché lì, come nel Vangelo, si scopre il senso della vita e si trova la Compagnia per la Quale, unica al mondo, ha senso vivere: appunto Gesù.

“Gesù lo strinse a sé”

Scoprii in seguito che l’Autore era nato a Madrid l’11 novembre 1911 (cento anni fa, occorre ricordarlo). A 9 anni, si ritrovò orfano di madre e andò in orfanotrofio dove imparò a scrivere a macchina. A 17 anni già lavorava in un municipio come dattilografo e stenografo. A 23 scrisse il primo romanzo e durante la “guerra di Spagna” (1936-’39) fu giornalista, da buon cattolico, dalla parte di Francisco Franco, la qual cosa non gli verrà mai perdonata dalla critica successiva. Nonostante abbia scritto 50 libri e ricevuto nel 1968 la Medaglia d’oro Andersen, piccolo Nobel per la letteratura d’infanzia, la sua fama ingiustamente è quasi spenta. Quando morirà il 15 gennaio 2002, a più di 90 anni, anche in Spagna, il suo nome non dirà quasi nulla, ma un critico ebbe l’onestà di definirlo «un eccellente scrittore».
Il suo capolavoro, si sa, è Marcellino, pane e vino, di cui all’inizio scrisse: «Ho pensato che di fronte alle vane fantasticherie che vanno di moda oggi, sarebbe utile raccontare ai ragazzi... una delicata storia cristiana piena di tenerezza e dolcemente impregnata dell’idea della morte. Mi sembra necessario tentare di opporre a questo mondo di pugni, di spari e di torbidi intrighi, una narrazione semplice e pura, né antica né moderna, che ci stia a dire se ancora esista o meno una qualche lacrima da offrire in omaggio all’amore di Dio che qui è descritto da uno che non è né prete né frate e neppure chierichetto».
Insomma, una narrazione, quella di Marcellino, dove non si nasconde – qui sta il suo fascino – il problema fondamentale, anche per un bambino, il senso della vita, del dolore e della morte (“Chi sono io? Da dove vengo? Dove vado? Perché vivere, soffrire e morire?”) e si annuncia che la risposta è una Persona viva, Gesù, l’Uomo-Dio, offrendo in Lui una mirabile Compagnia che soltanto rende bella, grande, lieta e santa la vita.
Marcellino è un piccolo orfano, che cerca la Compagnia, la letizia del cuore, la gioia. E chi non è così, pur avendo tutto dall’esistenza? Gesù si rivela a Marcellino, per un dono di grazia, così come fa a ogni ragazzo, a ogni uomo che lo cerchi nella verità, e si stabilisce un colloquio, una storia d’amore, una “vita a due”, tra Gesù e Marcellino, due amici. Qui sta il senso e la gioia della vita.
Alla fine – citiamo dalla conclusione del bellissimo libro – «Gesù tornò a insistere: “Che cosa vuoi, Marcellino? Vuoi farti frate? Vuoi che torni a te il gatto Mochito o che non muoia mai la tua capra? Vuoi dei giocattoli?”. Marcellino rispondeva sempre di no. “Che cosa vuoi allora?” – gli chiese il Signore. E Marcellino, con gli occhi fissi negli occhi del Signore, rispose: “Voglio solo vedere la mia mamma e poi anche la tua”. Il Signore allora lo strinse a sé e lo fece sedere sulle sue ginocchia. Poi gli poggiò una mano sugli occhi e soavemente gli disse: “Allora, dormi, Marcellino”».
Ecco dunque indicati il compito e la missione: l’unica cosa da fare nella nostra fuggevole esistenza è lasciarci stringere e accarezzare tra le braccia e sul Cuore di Gesù, vivere in intimità con Lui, e giunta la nostra ultima ora, andare tra le sue braccia a rivedere i nostri cari, e Lui, Gesù in persona, il suo Volto radioso di amore e di gloria. Come il mio amico Marcellino, con gli occhi sgranati di stupore e di dedizione a Gesù, il Paradiso che già comincia su questa terra e domani rivela nel suo splendore.

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits