SPIRITUALITÀ
Il piccolo zar
dal Numero 19 del 13 maggio 2018
di Paolo Risso

Cento anni fa, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, fu decretata la fine della famiglia imperiale dei Romanov ad opera dei comunisti di Lenin. Dopo aver assistito all’assassinio dello Zar suo padre, anche il piccolo erede al trono, Alessio Romanov, morì, pregando il suo Gesù.

Il 12 agosto 1904, a Peterhof (Russia) nacque Alessio Romanov, figlio dello Zar di Russia, Nicola Romanov, e della zarina Alessandra, sposi da 10 anni e già genitori di 4 bambine, Olga, Tatiana, Maria e Anastasia. I Romanov sono di religione cristiana ortodossa e così viene battezzato il bambino il 3 settembre 1904, a pochi giorni dalla nascita. Nessuno oggi ricorda più il “piccolo zar”, lo “zarewitch”, ma noi lo vogliamo ricordare nel centenario del suo assassinio da parte dei comunisti di Lenin.

Bello e sofferente

Dalla sua nascita, Alessio mostra i segni patologici dell’emofilia. Sua madre veglia con angoscia sui movimenti del bambino, affinché eviti, più che può, le cadute, i graffi, gli ematomi, che gli provocano dolori intensi, dei forti mal di testa e febbre alta. A volte, è costretto a muoversi in carrozzella. Cresce, così, segnato dal dolore, e spesso nella sua preghiera chiede: «Mio Dio, prendimi con Te, così non soffro più».
Crede in Gesù, in Gesù che soffre e redime dalla croce, e che lo guarda, bello e maestoso, dalle icone. Bambino, è più che cosciente della sua debolezza, e all’inizio è un tipo difficile, collerico e autoritario. Quando sta meglio, si rivela un ragazzino amabile e sincero, capace di chiedere perdono per quanto ha detto o fatto nel dolore. È bellissimo e colpisce tutti per le sue fattezze di piccolo angelo, furbo e audace. Ha appreso dai medici che la sua vita non sarà lunga, al massimo potrà raggiungere i 20 anni, ma non dispera, accetta le permissioni di Dio: «Noi dobbiamo sempre compiere la sua volontà».
Nel 1912, durante il soggiorno di caccia della sua famiglia, a Spala, Alessio, caduto dal calesse che lo porta a passeggio, è colpito da atroci dolori. Tutto il palazzo reale è scosso dai suoi lamenti e dalle sue lacrime cocenti. I medici sono impotenti a provvedere. Alessio riceve gli ultimi Sacramenti. Quando sembra vicina l’agonia, guarisce, tra lo stupore di tutti. Dal 1907 al 1917 un marinaio è incaricato della sua protezione.
Attorno ai 10 anni, nell’imminenza della guerra (1914-1918), Alessio serio, molto serio nel controllare la sua sensibilità, le espressioni del suo soffrire, si fa più assiduo agli impegni del suo stato. Gli piace contemplare, con lo sguardo fisso e rapito, le icone di Gesù (il “Pantocrator”, il Signore, il Dominatore!) e della Madonna (la “Glicofilusa”, la Madre della tenerezza). Si lascia avvicinare dalla Passione di Gesù, ma sa che dopo verrà la sua Risurrezione.


Tra guerra e rivoluzione

Scoppiata la guerra, nell’estate del 1914, Alessio, decenne, con il padre visita i soldati feriti negli ospedali militari. Il suo coraggio impressiona molto, quando accompagna lo zar suo padre a incoraggiare i soldati russi al fronte, senza paura. La situazione sociale, politica e militare, si fa sempre più difficile: comunismo, massoneria, forze oscure rendono ancora più torbida la realtà in cui si vive. C’è chi manovra, fin dalla fine dell’Ottocento, per far scomparire dalla storia i due imperi cristiani ancora esistenti in Europa: gli Asburgo in Austria-Ungheria e i Romanov in Russia.
Il 2 marzo 1917, lo zar Nicola abdica in favore del fratello Michele, che già l’indomani rinuncia alla corona. Il governo provvisorio assegna lo zar e la sua famiglia a residenza sotto controllo, poi lo manda esule a Tobolk, capitale della Siberia, a 1.800 chilometri da Mosca, nella casa del governatore, sotto il pretesto di proteggerlo. Ma è già prigionia... che si aggrava quando Lenin, con la rivoluzione d’ottobre, prende il potere in Russia (25 ottobre 1917) ormai caduta in mano ai “bloscevichi” (= comunisti più accesi).
Alessio non si lamenta, contento di essere ancora insieme ai suoi familiari. Un altro marinaio, gentile e umano, viene designato per la custodia del giovane principe, ma sarà presto ucciso dalla polizia comunista all’inizio del 1918. Alessio diventa ancora più sensibile alla sofferenza degli altri: generoso, rassegnato a compiere la volontà di Dio: «Se i comunisti vogliono uccidermi, lo facciano, purché non mi torturino». Al padre scrive biglietti struggenti di fede e affetto: «Dio ti protegga, papà!», «Io, il tuo Alessio, ti stringo tra le mie braccia». Dall’inizio del 1918, tiene un diario personale, per superare la tristezza di quelle lunghe giornate che inclinano a qualcosa di orribile che tutti presagiscono.
Nell’aprile 1918, la famiglia dello zar è trasferita a Ekaterinbourg, città già tutta in mano ai comunisti; lì sono reclusi in una villa fatta circondare da alte palizzate, e guardati a vista da soldati brutali e spesso ubriachi, che fanno loro subire ogni sorta di umiliazioni e di privazioni. La loro esistenza si trasforma in una pesante “via crucis”, in un calvario. Si avvicina il martirio, come era capitato in Francia al re Luigi XVI e alla sua famiglia, al tempo della rivoluzione del 1789, ma in peggiori condizioni.


Piccolo martire

Lenin vuole sterminare tutti i Romanov: quelli che sono andati in esilio saranno sterminati l’uno dopo l’altro. Nella notte tra il 16 e i l7 luglio 1918, cento anni fa esatti, il capo comunista Yakov Yurovski, accompagnato da altri undici uomini ai suoi ordini, fa scendere lo zar e la sua famiglia, con le 4 persone di servizio, nella cantina della villa che li tiene prigionieri da tre mesi. Alessio, qualche giorno prima di morire, era caduto e ha una gamba fasciata, incapace di camminare da solo. Suo padre lo porta in braccio verso la buia cantina che sarà il luogo della loro esecuzione.
A notte fonda il commissario bolscevico spara con la rivoltella allo zar. Seduto sulla sua carrozzella, Alessio chiude gli occhi e prega. È colpito anche lui e rotola a terra, gravemente ferito, nel suo stesso sangue. Si aggrappa alla camicia di suo padre e non si muove più. Quando il capo comunista Yakov Yurovski si accorge che egli respira ancora, lo segnala a Ermakov che, a diverse riprese, gli pianta la baionetta del suo corpo. Ma Alessio vive ancora; allora Yurovski lo finisce con due pallottole alla tempia destra.
La salma viene spogliata degli abiti, come quelle dei suoi familiari. Viene irrorata di liquido infiammabile, bruciata e sfigurata con l’acido solforico, prima di essere buttata in un pozzo nella foresta di Koptiaki. Alcuni giorni dopo, i corpi vengono ripresi per essere sepolti. Il corpo del piccolo zar viene bruciato nel bosco vicino. Una vera infamia, di cui il comunismo, ateo e omicida, è capace, come ha assassinato milioni di innocenti. Tra questi, la famiglia imperiale Romanov, con lo “zarewitch” Alessio, il “piccolo zar”, di soli 14 anni, un ragazzo che nella sua breve vita aveva solo sofferto, pregato e amato e offerto a Gesù il suo soffrire.
Si racconta che, immerso nel suo sangue, colpito a morte, ancora trafitto dalla baionetta del sicario di Lenin, egli abbia invocato il nome in cui soltanto c’è salvezza, il nome che sempre risponde e dà la pace vera: «Gesù, Gesù, Gesù...».
Nel 2000, la Chiesa ortodossa russa ha canonizzato il piccolo zar, fissandone la festa il 17 luglio, L’abbiamo ricordato anche noi, se non come santo, come martire delle iene della stessa razza di quelle iene che il 13 aprile 1945, a Piano di Monchio (Modena) assassinarono il seminarista Rolando Rivi (1931-1945), di soli 14 anni (come Alessio) e ora “beato”, che pure morì invocando il Nome santissimo di Gesù.

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