SPIRITUALITÀ
Il prezzo del nostro riscatto. Il Preziosissimo Sangue di Gesù
dal Numero 28 del 16 luglio 2023
di Padre Angelomaria Lozzer

Nel Sangue di Cristo è stipulata la Nuova ed Eterna Alleanza e con il suo Sacrificio rinnovato lungo i secoli nell’Eucaristia Egli continua a comunicarci la sua stessa vita. Questo Sangue Prezioso ci ricorda l’amore infinito di Dio per noi, ma anche la responsabilità che abbiamo di corrispondere a tale dono. 

Il popolo ebraico considerava il sangue come la sede della vita: l’anima risiede nel sangue. Da qui il valore del sangue che appartiene a Dio solo, perché Lui solo può disporre della vita. Chi versa il sangue dell’uomo, creato a immagine di Dio, deve essere punito con la morte: «Del sangue vostro anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello» (Gn 9,5). Quanto agli animali Dio aveva dato all’uomo il diritto di ucciderli e mangiarli ma a condizione di non consumarne il sangue: «Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue» (Gn 9,3-4). E ancora: «Astieniti dal mangiare il sangue, perché il sangue è la vita; tu non devi mangiare la vita insieme con la carne» (Dt 12,23). E questo sempre perché il sangue, ossia il potere della vita, appartiene a Dio.
Di qui il valore del sangue nei sacrifici. Esso era considerato come il mezzo espiatorio più alto: si offriva a Dio la vita intera: «Poiché la vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho concesso di porlo sull’altare in espiazione per le vostre vite; perché il sangue espia, in quanto è la vita» (Lv 17,11). Per questo nella lettera agli Ebrei è scritto: «Secondo la Legge, quasi ogni cosa è purificata col sangue e senza effusione di sangue non vi è la remissione del peccato» (Eb 9,22). 
Il sangue della vittima doveva essere sparso sull’altare, proprio perché l’altare simboleggia la divinità. Le altre parti della vittima, a seconda del genere di sacrificio, invece, venivano consumate interamente per mezzo del fuoco, come nell’olocausto; altre volte in parte bruciate e in parte consumate dai sacerdoti, come in alcuni sacrifici di espiazione; altre volte ancora, in parte bruciate, in parte consumate dai sacerdoti e in parte consumate dall’offerente con i suoi famigliari, come nei sacrifici di comunione. In quest’ultimo caso il simbolismo esprimeva la partecipazione agli stessi beni, come avviene nei rapporti di ospitalità: Dio aveva ricevuto e gradito una parte della vittima e gli altri partecipanti, banchettando presso il luogo sacro col rimanente dell’offerta, si consideravano convitati di Dio, assisi simbolicamente alla sua stessa mensa. 
Comunque, in tutti i generi di sacrifici, il sangue veniva trattato sempre in modo diverso rispetto alla carne, di qui il binomio biblico “carne e sangue”. 
Al sangue veniva riconosciuto anche un valore consacratorio, ne è un esempio la consacrazione dei sacerdoti e dell’altare; un valore preservativo dal male come si vede nel rito pasquale, quando il sangue dell’agnello sparso sull’architrave evitò alle famiglie giudaiche il flagello della morte del primogenito (cf Es 12,22); un valore purificatore nell’aspersione del sommo sacerdote, della cortina del tempio e del lebbroso (cf Lv 8; 14,2ss; Ez 43,20).
Il sangue dei sacrifici ha una parte essenziale anche nell’Alleanza stipulata tra Dio e il suo popolo. Nell’Esodo è descritto il sacrificio di Alleanza compiuto da Mosè. Dopo che il popolo si era impegnato a osservare le parole del Signore, Mosè costruì un altare, che rappresenta Dio, e vi eresse dinanzi dodici stele, a simboleggiare le dodici tribù d’Israele, in modo che i due contraenti fossero posti simbolicamente l’uno di fronte all’altro. Mosè divise il sangue delle vittime in due parti: ne versò la prima metà sull’altare mentre con l’altra metà ne asperse le dodici stele e il popolo. Lo stesso sangue sparso sui due contraenti voleva rappresentare una sorta di parentela di sangue: Dio accoglie Israele nella sua amicizia. Il sangue stabiliva un legame di comunione e di dipendenza tra Dio e il suo popolo. Lungo la storia, quando il popolo veniva meno all’alleanza, si richiedeva un sacrificio cruento per ristabilirla. Lo stesso sacrificio compiuto durante la festa annuale dell’espiazione voleva riparare i peccati per i quali durante l’anno non era stato offerto alcun sacrificio e per le colpe gravi rimaste impunite nella comunità, in quanto costituivano una ferita all’Alleanza. Queste colpe non espiate, infatti, oltre che essere una minaccia per i colpevoli, erano ritenute una continua causa di profanazione della terra santa, della comunità consacrata a Dio e dello stesso santuario, che è solidale con la comunità. I riti espiatori con l’introduzione del sangue da parte del solo pontefice nel Santo dei santi dovevano riparare questa profanazione e allontanare questa minaccia dal popolo colpevole.
Nella lettera agli Ebrei vengono sovente richiamati gli antichi sacrifici e il loro valore espiatorio per mettere in luce la superiorità del Sacrificio di Cristo e la sua perfezione, di cui gli antichi sacrifici non ne erano che una figura e una preparazione: «Se il sangue di capri, di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati li santificano, in modo da procurare la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!» (Eb 9,13-14). 
Il Battista non a caso ha indicato Gesù come “l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (cf Gv 1,36). Parole che richiamano non solo il sacrificio pasquale dell’agnello ma anche, nella seconda parte della frase del Battista, ai carmi del Servo di Jahvè contenuti nel libro del profeta Isaia, in cui si parla di Colui che è stato costituito vittima di espiazione per i peccati dell’umanità, Colui che si sarebbe addossato i peccati delle moltitudini, intercedendo per i malfattori, al fine di recare la pace (cf Is 52). E Gesù stesso, più volte lungo il suo ministero pubblico, si servì dei termini che caratterizzavano il sacrificio del Servo di Jahvè, dicendo di essere venuto per “servire”, per “dare la vita”, per morire in “riscatto”, in favore della “moltitudine” (cf Mc 10,45). Il Giovedì Santo poi visse e prefigurò la sua offerta durante l’Ultima Cena istituendo il nuovo Sacrificio, consumandolo infine il Venerdì Santo nella sua Morte e poi Risurrezione.
Per questo «Sacrificio puro e santo» (liturgia, Canone I) noi abbiamo ottenuto la remissione dei peccati, la redenzione, la giustificazione, la santificazione, la purificazione, l’accesso a Dio, la vittoria sulle potenze del demonio. Per mezzo di questo Sangue divino è stata unita l’umanità divisa in due (giudei e pagani), e rappacificate le potenze del Cielo con quelle della terra: «È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,19-20). 
In questo Sangue è stata stipulata la Nuova ed Eterna Alleanza e per questo il cristiano che tradisce il patto sancito commettendo colpa grave è reo di morte eterna: «Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?» (Eb 10,29). Tuttavia, l’anima che ha peccato sa di avere un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo, il Giusto, e di poter essere mondato nuovamente nel suo Sangue con il sacramento della Riconciliazione: «Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,1).
Per mezzo del suo Sacrificio rinnovato e perpetuato lungo i secoli nell’Eucaristia, Cristo continua a comunicarci la sua stessa vita: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,54-56). Giustamente scriveva il venerabile Fulton J. Sheen: «In natura, la morte è condizione di vita. Gli ortaggi che mangiamo devono venire sacrificati. Debbono perdere vita e sostanza prima di poter diventare il “sacramento”, la cosa sacra che nutre il corpo. Debbono essere strappati alle loro radici e assoggettati al fuoco per poter dare al corpo vita più abbondante. Prima che l’animale possa essere carne per noi, deve subire il coltello, l’effusione del sangue, il fuoco. Soltanto allora diviene il sostentamento che dà forza al corpo. Prima che il Cristo potesse essere la nostra vita, dovette morire per noi. Nella Messa, la Consacrazione precede la Comunione» (Fulton J. Sheen, Il sacerdote non si appartiene).
Il Sangue Preziosissimo di Cristo, dunque, ci ricorda l’amore infinito del Figlio di Dio e di Maria: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13); ma ci ricorda anche la grande responsabilità che abbiamo nel corrispondere a tale dono. San Pietro invitava i cristiani della prima ora a non dimenticare che«non per mezzo di cose corruttibili, come l’oro e l’argento, siete stati riscattati dalla vana maniera di vivere ereditata dai vostri padri, ma dal sangue prezioso di Cristo, l’agnello senza difetto e senza macchia» (1Pt 1,18-19).  

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