I FIORETTI
Santi per i corridoi del convento
dal Numero 17 del 28 aprile 2019

In un tardo pomeriggio autunnale del 1952 o ’53, i raggi del sole, prossimo al tramonto, colpivano il pavimento del corridoio e quelli riflessi dal pavimento illuminavano la volta. Con gli occhi intenti alle irregolarità del pavimento e alle ondulazioni delle pareti, evidenziate e accentuate dalla luce solare, e con gli orecchi attenti alle ultime battute della conversazione tra padre Pio e i suoi figli spirituali, mi appoggiavo beatamente a una colonnina della balaustra della veranda. Non ricordo l’argomento della conversazione; ma, come sempre, anche quella sera, i fortunati interlocutori, con le più svariate espressioni, manifestavano il desiderio di comportarsi bene nella vita, sotto la direzione di tanto Padre spirituale.
Però, avvicinandosi l’ora della preghiera, padre Pio era presente soltanto con il corpo sulla veranda: con il pensiero già volava nel coro della chiesetta e, attraverso il volto luminoso e gli occhi ridenti, mostrava, anche esternamente, l’intima gioia di andare alla presenza di Gesù Sacramentato. Fra’ Costantino, lo svegliatore del Convento, era stato anche lui sulla veranda, ma, secondo il solito, si era tenuto in disparte, perché si credeva né degno né capace di partecipare a una conversazione con padre Pio. Ora stava muovendosi per andare a dare, con il campanello, il segnale della preghiera. Questo scrupoloso svegliatore, con i suoi precisi e metallici segnali, mi avvelenava i sonni delle aurore, le sieste dei vesperi e le ricreazioni con padre Pio. Anche durante la giornata mi urtava con tanti altri piccoli segnali orari. Non se ne scordava uno.
Tante volte mi ero impegnato a distrarlo; ma lui, al momento giusto, come per incanto, si trovava sotto il campanello, pronto a tirarne la cordicella. Una sola volta stavo per riuscire nell’intento, perché in precedenza avevo staccata la cordicella del campanello; ma il vecchietto corse a prendere una scopa e riuscì ugualmente a dare il segnale. Ed io ebbi soltanto la magra soddisfazione di vederlo rimproverato da padre Agostino per le scopate date al campanello.
Quando, quella sera, lo svegliatore mi passò dinanzi io gli dissi: «Fra’ Costantino, adesso non seccarmi l’anima con quel benedetto campanello».
Alla mia provocazione si mortificò, ma, senza rispondermi, continuò per la sua via. Padre Pio, che forse aveva sentito le mie parole, mi guardò fisso e fece un gesto di disapprovazione. Si alzò dalla poltroncina di vimini. Gli amici, che avrebbero voluto conversare ancora un poco con lui, dovettero, a loro volta, alzarsi e, dopo averlo salutato, si avviarono frettolosi all’uscita [...].
Rimasto solo, padre Pio mi si avvicinò e mi disse: «Non mi avevi promesso che non avresti più stuzzicato fra’ Costantino?». In uno dei miei momenti generosi gli avevo promesso davvero che avrei compiuto il grande miracolo di non stuzzicare più lo svegliatore. Con molta serietà m’ingiunse: «Ora raggiungi quel povero vecchio, inginocchiati e chiedigli scusa». L’idea di andare a chiedere scusa allo svegliatore non mi passava neppure per l’anticamera del cervello. Ripresi: «Eh, sì, adesso vado a prendere il turibolo e gli faccio pure una incensazione!».
Intanto la vittima dei miei innumerevoli e non sempre simpatici dispettucci aveva suonato il campanello. Lungo il corridoio padre Pio rifiutò più volte il mio braccio. Sulla porta del coro mi disse: «Dopo faremo i conti». Accettò l’acqua santa dalla mia mano, ma prima di segnarsi mi asperse come per esorcizzarmi.
Terminata la preghiera comunitaria della sera, [...] un confratello che era rimasto in coro a confabulare con padre Pio mi raggiunse dicendomi: «Padre Pio ti chiama». Un altro confratello, sbucando da un altro angolino del coro e incrociandomi sulla porta, mi rise in faccia e mi disse: «Ti ha chiamato “peste”».
La tensione nervosa, già causata dalla chiamata, si accrebbe. I colloqui con padre Pio, se, da una parte, erano per me desiderabili, dall’altra invece mi procuravano una certa angoscia: come potevo io, un fraticello senza spina dorsale, reggere il confronto con un frate, che mi sembrava il concentrato di intime e profonde convinzioni espresse con tinte sanguigne? Quella chiamata era una resa dei conti, indifferibile. [...].
Con il cuore martellante nella semi oscurità, lentamente mi avvicinai al posto di padre Pio. Egli concludendo devotamente una preghiera, mi fece un mezzo sorriso. Poi, come per non essere coinvolto nelle mie leggerezze, mi disse con un po’ di concitazione: «Attento, attento. Questi tuoi scherzi non sono più innocenti. Ormai è ora di smetterla». Anche lui scherzava spesso con fra’ Costantino ed incitava me a fare altrettanto. Ora, perché voleva farmi smettere? Forse i miei scherzi gli sembravano troppo sciocchi? Gli risposi: «Ma lei mi ha detto che, per chiedere scusa, mi sarei dovuto mettere in ginocchio di fronte a fra’ Costantino, e questo mi è sembrato un po’ troppo». Fece una pausa abbastanza lunga: sembrava che non avesse il coraggio di dire qualcosa d’imbarazzante per me. Poi, a voce bassa ma ferma ribadì: «Te l’ho detto e te lo ripeto». Non avevo nulla contro il confratello svegliatore, ma non mi sentivo neppure troppo obbligato ad avere riguardi per lui. Mi ero comunque rassegnato a contentare padre Pio. Però, più con il cipiglio che con le parole, obiettai: «Ma chi è quel piagnone di fra’ Costantino? Un santo o un angelo, che mi debbo inginocchiare dinanzi a lui?». Nell’atteggiamento di chi sta per dire una cosa intima e importante, rispose: «Non solo chi compie una buona azione, ma anche chi, in seno alla Chiesa, fa il proprio dovere è sempre un angelo, è sempre un santo, agli occhi di chi ha fede».

Padre Pellegrino Funicelli,
Padre Pio tra sandali e cappuccio, pp. 287-291

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