I FIORETTI
Un ospite per “il monaco che indovina”
dal Numero 14 del 10 aprile 2016

La guerra del 1915-1918 spopolò i Conventi: parecchi si dovettero chiudere; altri ospitarono uno, due Padri al massimo, con qualche fratello laico, quando c’era.
A San Giovanni Rotondo, a quei tempi, vi era un discreto numero di “fratini”, che assorbivano le cure di Padre Pio, il quale ben spesso, quando suonava la campanella della porta del Convento, sollecito sbrigava anche l’ufficio di fratello portinaio.
Era proprio un bel mattino di prima estate!...
Padre Paolino da Casacalenda, in cella, si preparava la lezione da tenere in classe. Udita la campana della porta, fece per alzarsi, ma Padre Pio lo precedette e il suo spirito faceto e scherzoso inventò una delle sue.
Ad un tratto Padre Paolino vide presentarsi all’uscio della sua celletta un contadino di San Marco in Lamis. Aveva un cappello a forma di cono, con le falde afflosciate, cadenti sugli orecchi; scalzo e con un paio di mutandoni forti e bianchi, che usano i contadini nei periodi estivi nel lavoro dei campi, lunghi fino ai ginocchi; una camicia aperta; e con la giacca ripiegata sotto il braccio.
Appena visto il Padre Paolino, seduto sul tavolo di lavoro, senza tanti preamboli: «Voi siete il Monaco che indovina?», domandò subito. L’interrogato sospettò uno scherzo di Padre Pio, lo accettò e: «Sì, sono proprio io», rispose senza esitazione. Allora il contadino, senza essere invitato, entrò immediatamente nella cella, si sedette e quasi sottovoce, cominciò: «Zi’ mo’ (zio Monaco), a me è capitato un fatto veramente curioso: ieri mattina, giunto sul terreno di mia proprietà e sceso da cavallo, legai la cavezza dell’animale ad un albero e andai dietro il muro della masseria per un servizio. Tornai e, con mia grande sorpresa, il cavallo non lo trovai più. Immaginate come rimasi. Mi misi subito in giro per cercarlo, domandando alla gente ch’era lì vicino e a quella che passava, se mai avesse visto il mio cavallo; ma nessuno sapeva dirmi niente. Ho cercato per tutta la giornata, ma tutto è stato inutile. Ieri sera ho saputo che qui c’è un Monaco che indovina e perciò stamattina sono venuto per raccontare a voi, che siete proprio quel Monaco, il fatto. Or voi mi dovrete dire chi è stato il ladro».
Cosa poteva rispondere Padre Paolino? Tanto per non restare a bocca chiusa, pescò nella mente un proverbio dialettale azzeccato al caso, e con tono misterioso e sottovoce, guardando fisso quel povero contadino, sentenziò: «Caro mio, chi t’ sap t’ rape» (Colui che conosce tutte le tue cose, quello ti ruba). «Eh! – disse subito il contadino –, questo me lo hanno detto anche gli altri ieri. Ma nessuno mi ha saputo dire l’autore del furto. Padre, vi prego, perché non me lo dite voi (e continuò con tono più basso) che indovinate?», guardandosi intorno come se temesse di essere ascoltato da qualcuno. «Mi dispiace – rispose il Padre al contadino –, ma a riguardo non posso dirti assolutamente niente di preciso, pur sapendolo».
    «Padre – insisteva il contadino, avvicinandosi sempre di più al Monaco –, fatemi il piacere, voi che siete tanto buono. Qui io non faccio questione di denaro, perché potrei comprare un altro cavallo, ma desidero riavere quel cavallo». «Ma non è possibile». «E perché?». «Vuoi saperlo? Perché se io ti dico il nome del ladro tu, naturalmente, andrai da lui oppure lo accuserai alla giustizia ed allora, non essendovi stato alcun testimone nell’atto del furto, ed avendo avuto il tempo di far sparire il cavallo, l’accusato farebbe a me la querela, tacciandomi di calunniatore. Ed allora che facciamo? Tu non recupererai il cavallo ed io andrò in galera per te».
«Padre – tornava alla carica il contadino, non tenendo conto della ragione addotta –, se voi mi direte chi mi ha rubato il cavallo consegnerò subito le trecento lire a mano a mano». «Ma no! Ed allora non hai capito la ragione. Non posso assolutamente».
Seguì qualche minuto di silenzio.
Il contadino rifletté un poco e poi sempre con il solito tono sospettoso e guardingo: «Padre, cinquecento lire, se me lo dite». «Ma, hai capito che non faccio questione di denaro, ma di dignità?». E scandendo le sillabe, per far meglio intendere la ragione proseguì: «Non voglio assolutamente andare in galera per te, lo capisci?».
Il contadino tentò ancora per l’ultima volta: «Settecento lire!».
Vista la irremovibilità del Monaco, che si era alzato per licenziarlo e che gli prometteva preghiere, affinché il Signore gli avesse fatto ritrovare il cavallo, il povero contadino, mogio mogio, scese le scale per tornare al suo paese.

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