RELIGIONE
Il paradosso della Salvezza
dal Numero 42 del 25 ottobre 2015
di Mons. Fulton J. Sheen

«Ha salvato altri, ma non può salvare Se stesso». Proprio questo è “il paradosso della Salvezza” operata dal Redentore: la salvezza altrui esige sempre il sacrificio di una vita, come avviene anche in natura. Cristo non poteva salvarci senza “perdere Se stesso”: Egli non è solo Maestro ma Salvatore.

E mentre la gran fiamma d’amore si consuma, (lì sul Calvario alla presenza di uomini senza Dio) il clamore del loro odio, del loro apparente trionfo, della loro vittoria definitiva echeggia fra le rocce del Calvario, si propaga sulla collina di Sion: «Ha salvato altri, ma non può salvare Se stesso».
È ovvio che non possa salvare Se stesso! Nessun uomo che salvi un altro può salvare se stesso. Il sacrificio non è manifestazione di debolezza, ma atto di obbedienza ad una legge secondo la quale se un uomo ne salverà altri, di qualunque forma di salvezza si tratti, il precetto a cui deve obbedire, la dura condizione a cui deve sottostare, il destino che deve accettare è quello di non poter salvare se stesso. Questo è il paradosso della Salvezza.
Le foglie che cadono non possono salvare se stesse, se devono rendere fertile il terreno. La ghianda che cade non può salvare se stessa, se deve dar vita ad una quercia. Il bruco deve rinunciare alla propria esistenza, se deve diventare una farfalla. La pianta non può salvare se stessa, se deve nutrire l’animale e neppure questo, se deve diventare cibo per gli uomini. Una madre può essere chiamata a sacrificare la propria vita se, a qualunque costo, vuole salvare la vita del figlio suo, così pure il soldato, se vuole salvare la sua Patria ed il pastore, se vuole salvare le sue pecore. Cristo è il Buon Pastore e dunque quando Gesù compì la grandiosa opera della Redenzione, non ci fu altro modo di salvare l’umanità se non perdendo Se stesso, nessun’altra via di riscattarci, se non offrire la Sua vita in cambio della nostra Salvezza. Perché amare non è mai pensare a se stessi, ma dare se stessi per l’amato.
Ma l’aspetto tragico di tutto ciò fu la perversità della natura dell’uomo, uomo che Cristo amò teneramente e per cui fu battezzato con il battesimo di sangue. Parlo della perversione del genere umano, poiché Colui che recò la salvezza a tutte le nazioni fu messo a morte dal Suo stesso popolo, Colui che insegnò ad amare i propri nemici fu ucciso dai Suoi amici, Colui che offrì la propria vita fu giustiziato; Colui che venne per salvare altri, fu crocifisso da coloro che salvò. Colui che definì Se stesso come il seme, confermò la validità della legge del seme: la sua morte è la condizione per la nascita della pianta. Colui che affermò di avere vita in abbondanza, un giorno sembrò non ne avesse proprio; Colui che raccontò la parabola del Buon Pastore, che non fuggì quando venne il lupo, ha effettivamente dato la propria vita per le pecore. «Ha salvato altri, non può salvare Se stesso!».
Poteva forse Cristo salvarci senza versare il Suo Sangue prezioso? Non avrebbe potuto, come i maestri greci prima di Lui, sedere sotto un porticato o in un giardino dove potenti e sapienti del mondo intero avrebbero potuto cercare e trovare la Saggezza che li avrebbe salvati? Non poteva forse come un altro Gotama, sedere all’ombra di un albero di Bodhi ed in attimo di illuminazione diventare il Buddha? Non poteva forse come Salomone insediarsi in un sontuoso palazzo, dove raffinatezza, potere ed agi avrebbero condotto tutte le nazioni ai Suoi piedi? Se fosse stato solo un maestro dell’umanità, un filosofo mondano, avrebbe potuto fare questo. Egli invece aveva da svolgere un’opera più profonda. Non venne solo per insegnare: venne anche per salvare. Prima di svelare il Suo divino Rimedio, Egli doveva costringere la coscienza umana a confrontarsi con l’aspetto più severo e meno gradito della verità, e cioè che, fin quando la condizione umana rimaneva quella che era, Egli doveva salvare gli altri sacrificando Se stesso. Ha salvato altri: ma non può salvare Se stesso.
  Ma il servo non è da più del suo Padrone. La norma di vita di Cristo deve diventare norma di vita per i Cristiani. Se la nostra anima deve ottenere l’eterna Salvezza, bisogna che sia sacrificata nel tempo; se deve essere preservata per abitare la casa del Padre Celeste, deve essere sacrificata sulla misera e muta scena del tempo; se deve godere i tesori che la ruggine non consuma, deve lasciare quelli effimeri della vita terrena, per ottenere il Cielo deve rinunciare alla terra, poiché tutto ciò non è altro che la costante applicazione di quella legge di redenzione per cui nessuno può salvare se stesso se vuole salvare qualcun altro. 
Agli albori del Cristianesimo il mondo disse ai Martiri: “Se il vostro amore per Dio supera quello per Cesare, non potete preservare il vostro corpo dal supplizio”. Ovvio che non possano preservare i loro corpi dal martirio, sono chiamati a preservare la propria anima per la Vita eterna. Ai claustrali dei nostri giorni il mondo dice: “Non potete partecipare al godimento dei piaceri e del lusso del mondo se volete seguire la via cristiana della penitenza e del sacrificio”. Ovvio che non possano; sono chiamati a partecipare all’opera di Salvezza del mondo. A tutti i fedeli che praticano la Morale cristiana il mondo dice: “Non potete condividere la nostra vita in società se negate il divorzio”. Ovvio che non possano; hanno scelto di condividere con i beati la Vita eterna. Alla Chiesa il mondo dice: “Non puoi ottenere il plauso in quest’epoca, con la sua moralità permissiva e il suo spirito tollerante, se ti opponi ad essa in nome degli immutabili principi stabiliti da Cristo”. Ovvio che essa non possa salvarsi dal disprezzo del mondo in quest’epoca, è perché è destinata a salvare la propria reputazione per sempre, quando quest’epoca sarà morta e sepolta.

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