RELIGIONE
Seguire Gesù, sintesi di ogni morale
dal Numero 48 del 10 dicembre 2017
di Suor M. Gabriella Iannelli, FI

Se oggi più di ieri è difficile rispondere alle attese di Dio, data la mentalità moderna così lontana dalla sua Legge, non si deve dimenticare «la nuova sorprendente possibilità aperta all’uomo dalla grazia divina» che Cristo ci ha meritato e concesso per renderci capaci di seguirlo.

I capitoli della Veritatis splendor che vanno dal n. 19 al n. 21 si potrebbero commentare con questo breve enunciato: tutta la morale cattolica trova la sua base nell’incontro personale con Gesù, e la sua sintesi nello scegliere di seguirlo e amarlo. Papa Giovanni Paolo II sviluppa ampiamente questa verità commentando i versetti del Vangelo di Matteo (19,21), con l’invito di Gesù al giovane ricco: «Vieni e seguimi». Egli scrive: «L’appello è rivolto innanzitutto a coloro ai quali Egli affida una particolare missione, a cominciare dai Dodici; ma appare anche chiaro che essere discepoli di Cristo è la condizione di ogni credente (cf. At 6,1). Per questo seguire Cristo è il fondamento essenziale e originale della morale cristiana [...]. Non si tratta qui soltanto di mettersi in ascolto di un insegnamento e di accogliere nell’obbedienza un comandamento. Si tratta più radicalmente, di aderire alla persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino, di partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre» (n. 19).
Il Papa, poi, pone l’accento su un particolare aspetto della sequela e della imitazione di Cristo, quello dell’amore verso il prossimo che è l’oggetto del comandamento di Gesù: «Gesù chiede di seguirlo e di amarlo sulla strada dell’amore, di un amore che si dona totalmente ai fratelli per amore di Dio [...]. L’agire di Gesù e la sua parola, le sue azioni e i suoi precetti costituiscono la regola morale della vita cristiana. Infatti, queste sue azioni e, in modo particolare, la passione e la morte in croce, sono la viva rivelazione del suo amore per il Padre e per gli uomini. Proprio questo amore Gesù chiede che sia imitato da quanti lo seguono. Esso è il comandamento nuovo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati; così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). [...]. Chiamando il giovane a seguirlo sulla strada della perfezione, Gesù gli chiede di essere perfetto nel comandamento dell’amore, nel “suo” comandamento: di inserirsi nel movimento della sua donazione totale, di imitare e di rivivere l’amore stesso del Maestro “buono”, di colui che ha amato “sino alla fine”» (n. 20).
Viene da chiedersi: è possibile alla fragilità umana obbedire ai Comandamenti, e soprattutto al comandamento dell’amore che ci chiede di amare con la stessa misura di Cristo: «...come io vi ho amati»? Il Papa santo risponde molto chiaramente a questo interrogativo, che molti potrebbero porsi, soprattutto oggi, scrivendo al n. 21: «Questo è frutto della grazia, della presenza operante dello Spirito Santo in noi. Inserito in Cristo, il cristiano diventa membro del suo Corpo che è la Chiesa (cf. 1Cor 12,13.27). Sotto l’impulso dello Spirito, il Battesimo configura radicalmente il fedele a Cristo nel mistero pasquale della morte e risurrezione, lo “riveste” di Cristo (cf. Gal 3,27): “Rallegriamoci e ringraziamo – esclama sant’Agostino rivolgendosi ai battezzati –: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo”». Nel Battesimo, dunque, veniamo inseriti in Cristo, ed in Lui, ciò che non è possibile alla fragilità umana, è possibile alla grazia divina. È ciò che si evince continuando a leggere il Vangelo del giovane ricco.
Continua il Papa al n. 22: «Amara è la conclusione del colloquio di Gesù con il giovane ricco: “Udito questo, il giovane se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze” (Mt 19,22). Non solo l’uomo ricco, ma anche gli stessi discepoli sono spaventati dall’appello di Gesù alla sequela, le cui esigenze superano le aspirazioni e le forze umane: “A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: Chi si potrà dunque salvare?” (Mt 19,25). Ma il Maestro rimanda alla potenza di Dio: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19,26)».
Per illustrare meglio il concetto della grazia operante nel battezzato che rende possibile al cristiano ciò che da solo mai potrebbe riuscire a fare, san Giovanni Paolo II prende in esame un altro punto del Vangelo di Matteo: «Nel medesimo capitolo del Vangelo di Matteo (19,3-10), Gesù, interpretando la Legge mosaica sul matrimonio, rifiuta il diritto al ripudio, richiamando ad un “principio” più originario e più autorevole rispetto alla Legge di Mosè: il disegno nativo di Dio sull’uomo, un disegno al quale l’uomo dopo il peccato è diventato inadeguato: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così” (Mt 19,8). [...]. Gesù enunciando una regola generale, rimanda alla nuova sorprendente possibilità aperta all’uomo dalla grazia di Dio: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19,11). Imitare e rivivere l’amore di Cristo non è possibile all’uomo con le sole sue forze. Egli diventa capace di questo amore soltanto in virtù di un dono ricevuto [...]. Il dono di Cristo è il suo Spirito, il cui primo “frutto” è la carità» (n. 22).
È vero che oggi più che ieri è difficile rispondere alle aspettative di Dio, e che la mentalità dell’uomo moderno, la quale, inevitabilmente, contagia anche i cristiani, rende ancora più arduo seguire le istanze della Legge divina e del Vangelo, ma non bisogna dimenticare la «nuova sorprendente possibilità aperta all’uomo dalla grazia di Dio». È chiaro che non si tratta di seguire esteriormente dei precetti, ma di farsi coinvolgere in un cammino di amore che trova il suo centro nella persona di Cristo il quale, attraverso la sua Incarnazione e Redenzione, ci acquista la grazia per percorrere questo cammino e ci insegna come amare Dio e i fratelli, con la parola e soprattutto con l’esempio della sua vita: «L’amore e la vita secondo il Vangelo non possono essere pensati prima di tutto nella forma del precetto, perché ciò che essi domandano va al di là delle forze dell’uomo: essi sono possibili solo come frutto di un dono di Dio che risana e guarisce e trasforma il cuore dell’uomo per mezzo della sua grazia» (n. 23).

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