ATTUALITÀ
Viaggio tra le piaghe dell’eutanasia
dal Numero 16 del 23 aprile 2017
di Lazzaro M. Celli

Un orgoglio luciferino si annida nella battaglia contro la vita. La vicenda francese della piccola Marwa ha avuto un lieto fine, ma l’evento conserva lo stesso una portata dirompente e preoccupante perché né genitore, né Sanità, né Stato ma Dio solo può disporre della vita umana.

Tra la storia della salvezza e la società umana esiste una comune chiave di lettura. Non potrebbe essere diversamente, in quanto la nostra vita fisica su questa terra, il nostro essere, le relazioni che intercorrono tra noi, sono influenzate dalla dimensione spirituale che ci governa.
Il peccato degli angeli di ribellione a Dio, che per orgoglio pretendevano di essere come l’Altissimo, lo ritroviamo imperante nel genere umano. Nella società infernale che abbiamo edificato e che, purtroppo, tendiamo sempre più ad “infernalizzare”, riscontriamo ovunque la ribellione dell’uomo a quei principi iscritti da Dio stesso nella sua natura, come il fondamentale e universale diritto alla vita. 
La battaglia contro la vita possiamo considerarla come un aspetto della ribellione degli angeli all’Onnipotenza del Creatore, Uno e Trino.
L’unico che può disporre della vita umana è Dio, ma gli angeli ribelli e gli uomini che li seguono, desiderano diventare come Lui, quindi acquisire il potere di decidere come e quando porre fine alla vita umana. Opera demoniaca è stata quella di mettere in discussione l’indisponibilità della vita umana. Così facendo è stata divulgata la convinzione che, di essa, potranno disporne tutti. Espropriando Dio, per così dire, dei suoi legittimi diritti, ci facciamo solo del male perché indeboliamo, fino ad affossare completamente, la nostra libertà. Essa consiste nello scegliere secondo gli insegnamenti di Nostro Signore Gesù Cristo e, quando vogliamo rivendicare gradualmente una libertà diversa da essa, una libertà che non ci appartiene, abbiamo finito per distruggerla e privarcene.
È interessante notare come questa strategia si colga nella battaglia per legalizzare l’eutanasia. Essa passa attraverso tappe ben precise in cui si riscontra un progressivo e peggiorativo allontanamento dalla Verità, dunque da Dio. In un primo momento la discussione sull’eutanasia, rispetto al soggetto, s’incentrava sulla libertà del singolo di decidere per la propria vita in presenza di determinate situazioni, come per esempio una malattia irreversibile. Poi, nel caso in cui la persona sia in condizioni da non poter decidere da sola, si è pensato che la decisione doveva essere dei familiari. Dai familiari si passa poi agli operatori sanitari. In Inghilterra, per esempio, esiste un percorso di cura ai pazienti terminali, il “Liverpool care pathway for the dying patient”, in acronimo LCP. Esso consiste prima nella sedazione e poi nella sospensione della nutrizione e idratazione del paziente. Accanto a questa procedura, ce n’è un’altra, il “do not resuscitate act”, introdotta nel 2005. Essa consiste nel divieto di rianimare. Inizialmente questo divieto poteva essere applicato alle sole persone che avessero dichiarato di volerne fruire, poi si è verificato che, per quell’effetto della promozione a livello culturale dell’eutanasia, molti operatori sanitari non si sentono più in dovere di decidere la sospensione della vita di un paziente previo il consenso dei familiari: procedono direttamente e saltano le “formalità”. Già nel 2015 ci sono stati moltissimi casi in cui la procedura è stata applicata ai pazienti senza il consenso dei familiari, lasciati all’oscuro di tutto. Infine, dagli operatori sanitari, la decisione è passata allo Stato, com’è accaduto in Francia, con il caso della piccola Marwa Bouchenafa. Qui il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta delle autorità sanitarie locali di interrompere i trattamenti sanitari a Marwa. La bambina di quasi 20 mesi con danni cerebrali vive grazie ad un sondino che l’aiuta a respirare e a nutrirsi. Per i medici ogni ulteriore tentativo di tenerla in vita sarebbe “irragionevole ostinazione”, per questo hanno imposto ai genitori di staccare la spina. È cominciato un braccio di ferro ed è stato chiamato in causa il Consiglio di Stato.
Anche se in questo caso l’autorità statale ha agito in modo encomiabile, poiché ha salvaguardato il diritto universale alla vita, sotto la spinta di pressioni riformiste, quanto tempo ancora sarà garante di questo diritto e non piuttosto trasformarsi in boia? Di per sé è già inaccettabile arrivare a chiedere l’intervento dello Stato rispetto ad un principio che non dovrebbe essere affatto messo in discussione. La vita, infatti, è un bene indisponibile: come non scegliamo di vivere non possiamo neanche scegliere di morire.
Se i Consiglieri di Stato avessero optato per la morte di Marwa, forse, uccidere la bimba, sarebbe stato più giusto? Certo che no. La ragione è molto semplice: l’autorità dello Stato è subordinata, e deve sempre esserlo, al diritto naturale. Il diritto positivo, quello creato dagli uomini, non può pretendere di tutelare la giustizia e al tempo stesso perdere il riferimento del diritto naturale, pena la perdita della libertà. Se, allora, ci allontaniamo dagli insegnamenti di Dio, non saremo neanche più liberi di decidere liberamente. Altri lo faranno per noi, con o senza consenso.
Se vogliamo una società ordinata alla vera libertà, dobbiamo decidere una cosa molto semplice quanto difficile, per la debolezza della nostra natura umana: ritornare a Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente.

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