SPIRITUALITÀ
Il maestro Ulisse Sartini: la mia arte per padre Pio
dal numero 3 del 14 gennaio 2024
di Roberto Allegri

Quella di Ulisse Sartini, ritrattista di fama internazionale, è la storia di un miracolo strepitoso della grazia divina avvenuto per intercessione di san Pio da Pietrelcina.

Milano, ottobre: 
«Quando avevo 30 anni contrassi una malattia rara e incurabile. Sarei dovuto rimanere completamente paralizzato. Ma con la “fede della disperazione” mi rivolsi a padre Pio, e guarii immediatamente».
Così mi dice il grande artista Ulisse Sartini, uno dei maggiori ritrattisti viventi. Mi sono fatto raccontare la vicenda e per un pomeriggio mi sono immerso in un’atmosfera d’altri tempi. Sartini, 80 anni, lavora come una volta e per questo è ritenuto un depositario delle tecniche del Rinascimento. Nel suo studio ci sono dipinti giganteschi che raffigurano profeti e santi, angeli e crocifissi di una potenza espressiva che lascia a bocca aperta. I suoi ritratti di Maria Callas si trovano al Museo teatrale alla Scala di Milano, al teatro La Fenice di Venezia e nel Teatro della Musica Megaron. Quello di Luciano Pavarotti campeggia nel foyer del Covent Garden di Londra. Il ritratto di Joan Sutherland, la grande cantante lirica australiana, è addirittura entrato nella National Portrait Gallery di Londra: Sartini è quindi l’unico pittore italiano, insieme a Pietro Annigoni, ad avere un suo dipinto in quella galleria, e alla cerimonia della presentazione del ritratto volle presenziare la stessa regina Elisabetta. Parlando di lui, Vittorio Sgarbi ha usato le parole «stupefacente capacità tecnica». E Antonio Paolucci, illustre esperto d’arte e per dieci anni direttore dei Musei Vaticani, ha addirittura accostato Sartini a Caravaggio. Di recente, il suo ritratto della contessa Christiana von Schönborn-Buchheim è stato inserito nella prestigiosissima collezione d’arte del castello del Belvedere di Vienna. Ma a fianco a questa straordinaria produzione di ritratti di personaggi, una gran parte del lavoro del maestro Sartini è dedicata all’arte sacra. Suoi dipinti che raffigurano santi, natività, risurrezioni, crocifissioni si trovano in decine e decine di chiese e monasteri da Pietrelcina a Piacenza, da Pordenone a Milano, da Roma a Kabul. Sartini è noto come “il pittore dei papi”. Suoi infatti sono tre ritratti ufficiali di san Giovanni Paolo II, uno di san Giovanni XXIII e uno di papa Francesco. E un suo ritratto di Benedetto XVI è stato inserito nella serie dei pontefici nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura dove sono raffigurati tutti i papi della storia del Cattolicesimo. «E poi c’è padre Pio – dice il maestro –. Le mie opere a lui dedicate sono il ringraziamento per la grazia ricevuta. I suoi ritratti si trovano sull’altare della chiesa di Pietrelcina, nella chiesa di San Pio X a Roma e nella chiesa di Santa Paola Romana, sempre nella capitale.


A 30 anni mi ammalai di una forte forma di depressione. Ero ridotto a uno straccio e per tentare di svagarmi partii per una crociera ai Caraibi insieme a un’amica. Per far capire quale era la mia condizione, dico che viaggiavo con una valigia piena zeppa di psicofarmaci. La crociera però non portò nessun giovamento, anzi tutto divenne peggiore. In più, durante il tragitto di ritorno, iniziai ad avere terribili dolori in tutto il corpo. Di colpo mi gonfiai come un pallone e non riuscivo più a muovermi. I medici della nave pensarono subito a un’infezione tropicale. Mi tennero in isolamento e una volta arrivati in Italia, mi ricoverarono d’urgenza a Pavia nel reparto delle malattie infettive.
Non era un’infezione esotica ma una malattia molto grave che si chiama dermatomiosite. Allora era poco conosciuta e ritenuta incurabile. Colpiti da questo male, o si moriva o si restava paralizzati. Era una malattia così rara che, ricordo, venivano gli studenti, cioè i futuri medici, a visitarmi e a prelevarmi il sangue per analizzarlo. Insomma ero messo molto male, la medicina non mi dava alcuna speranza, non c’era una cura o una terapia. Non mi rimaneva che la fede. 


La mia fede devo dire che era sempre stata tiepida. Conoscevo però padre Pio di nome perché una mia zia era a lui molto devota. E anche mio padre portava nel portafogli una sua immaginetta. Così, costretto in un letto d’ospedale, schiacciato dal male e dalla depressione, mi rivolsi a padre Pio con la preghiera accorata di chi si sente veramente disperato. Ricordo bene che chiesi al Padre non tanto di eliminare la malattia quanto di farmi uscire dalla depressione che mi impediva di usare la fantasia e il pensiero. Perché senza fantasia e pensieri si è davvero prigionieri. Non mi importava tanto di restare immobilizzato, volevo però che la mia mente fosse libera di viaggiare. Chiesi questo. E venni ascoltato.
Improvvisamente ebbi la netta sensazione di un interruttore che veniva acceso. Quasi avessi sentito chiaramente il “click!” dell’accensione. È un paragone ridicolo ma in quel preciso momento, mentre stavo pregando, ho capito che sarei guarito. E così fu. Un attimo prima ero malato e un attimo dopo ero guarito sia dalla depressione che dalla dermatomiosite. Come voltare la pagina di un libro. I medici erano esterrefatti, non credevano ai loro occhi. Mi dissero che, stando a quello che c’era scritto sulla mia cartella clinica, era impossibile che mi fossi alzato dal letto e mi fossi ripreso in quel modo incredibile. Invece stavo benissimo. L’unico ricordo della malattia sono le mie corde vocali che non si sono più riprese. Per questo, infatti, ho la voce sempre afona.


Quell’esperienza ha completamente cambiato la mia vita. Da lì è iniziato un importante cammino spirituale, e ho messo la mia arte a disposizione della fede. Prego molto, leggo libri di spiritualità, vado a Messa tutti i giorni e frequento i sacramenti. E prima di ogni quadro che dipingo chiedo a padre Pio di guidare la mia mano. “Se vuoi che lavori per il Signore – dico – aiutami a lavorare bene”.
Sono infatti consapevole che di fronte ai miei quadri la gente si fermerà a pregare. E quindi sento molto la responsabilità dell’incarico. Ad esempio, un mio ritratto di san Giovanni Paolo II è diventato “pala d’altare” nel nuovo santuario che la Polonia ha dedicato a papa Wojty?a dopo la sua canonizzazione. Ho saputo che il santuario sorge proprio sul terreno dove c’erano gli impianti della ditta Solvay nella quale il giovane Karol Wojty?a lavorò come operaio durante la seconda Guerra mondiale. Pensare che il mio quadro è stato la prima immagine collocata all’interno, nella chiesa più importante dedicata a uno dei papi più famosi della storia, mi commuove. Wojty?a, me lo ricordo bene. Lo incontrai nel 1992, nella Sala Clementina in Vaticano, in occasione della presentazione di un ritratto che gli avevo fatto e che si trova adesso nella Sala delle Congregazioni. Ricordo che c’era il quadro sulla destra e al centro la sedia vuota che aspettava il Papa. Poi, le guardie svizzere hanno aperto la porta e san Giovanni Paolo II è entrato insieme al card. Casaroli, che era il suo segretario di stato. Nel vederlo, mi sono sentito come se fossi stato attraversato da un fulmine. “Ecco il Vicario di Cristo”, mi sono detto. Era una figura quasi trascendentale, ancora oggi mi emoziono al pensiero. Dopo la presentazione ufficiale del dipinto si sedette accanto a me e poi andammo a vedere il quadro da vicino. “Bello. Bello”, mi disse. E poi: “Si vede il peso della responsabilità”. Probabilmente si riferiva al fatto di averlo rappresentato molto serio, consapevole della grande responsabilità di essere un pontefice. Ma io ho pensato anche che si riferisse a me, al peso che dovevo aver sentito nel ritrarre un papa».

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits