Da soldato della patria a milite di Cristo. Nonostante la sua prospera carriera militare rimane fedele all’unico amore: Gesù. Dopo le battaglie e la prigionia giunge anche l’ora di vestire il saio francescano e di impiegare le sue doti eccellenti in lotte ben più ardue...
Nasce il 6 maggio 1921 a Gignese (VB) da famiglia cattolica. È un ragazzo intelligente, vivace, forte. Dalla famiglia viene educato al senso del dovere e del sacrificio, alla fede apertamente professata. Molto presto, Gesù diviene tutto per lui e si innamora della Madonna con la tenerezza di un fanciullo e la forza di un uomo. Temperamento molto generoso, di intensa sensibilità. Ama l’Italia, «la nostra patria».
Militare a quindici anni
La patria vuole servirla come soldato fedele a Dio. Nel 1936, a 15 anni di età, inizia la scuola militare prima a Milano, e poi a Roma. Trascorre due anni di studio e impegno intensi. È adolescente, ma è già uno spirito che contempla Dio e sente che Egli gli parla al cuore. Si distingue per la sua professione di fede profonda e attivissima, alla presenza di chiunque.
Il 25 maggio 1938 fa un voto alla Madonna chiedendole la grazia di superare il concorso per entrare all’Accademia Militare di Modena. Lo vince e nell’attesa di iniziare l’Accademia trascorre alcuni mesi di ritiro e di preghiera all’eremo camaldolese di Monte Giove (Fano). Per i suoi 17/18 anni è un giovane eccezionale, lo si deve riconoscere!
Nel novembre 1939, Gianfranco Chiti – questo il suo nome e cognome – alto quasi due metri, è allievo a Modena. Nel 1941 – l’Italia era entrata in guerra il 10 giugno 1940 – il sottotenente Chiti viene arruolato tra i Granatieri di Sardegna; l’anno dopo prende parte alla spedizione italiana in Russia. Appena ventunenne si trova a capo di duecento granatieri. Brilla per il coraggio, l’atteggiamento fraterno verso i soldati, che si affidano a lui come a un fratello maggiore, quasi come a un padre.
È straziato quando, nella ritirata del Don, vede tanti giovani morire sotto il piombo, per il gelo e la fame. Sa confortare con il Cuore di Cristo coloro che, feriti, morenti, lo implorano come si farebbe con la mamma: «Tenente, non mi lasci morire qui!». Ha una profonda pietà per i giovani russi, che ritiene avversari, ma non nemici. Ringrazia le madri di famiglia russe che soccorrono i soldati italiani in disfatta.
Anche lui rimane ferito nella battaglia combattutasi sul fiume Don. Sarà premiato con medaglia d’argento per il coraggio e la vera carità cristiana verso i commilitoni, nei quali ha servito lo stesso Gesù. Durante la spedizione russa rischia di perdere i piedi per un principio di congelamento, ma come per miracolo guarisce, e rientra in Italia.
Il generale
Al rientro dalla battaglia in Russia trova la patria disfatta: non c’è più un governo, il re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia e il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio sono fuggiti in Puglia; l’esercito è in disfacimento. Il tenente Chiti, come altri italiani, pensa che la Repubblica Sociale Italiana (RSI) appena nata possa ancora essere un punto di riferimento, e quindi vi si arruola con l’intento, in lui innato, di servire e di onorare la patria.
Ma non scende a compromessi, tenendo fede alla sua coscienza di cristiano. Non compie atti barbarici, anzi salva vite umane, ebrei compresi, come ogni uomo merita di essere salvato. Nasconde “ricercati” dell’una e dell’altra parte. Gli vanno pertanto riconosciuti la buona fede, lo zelo nella difesa e nella protezione dei più deboli.
Quando nel maggio del 1945 la seconda Guerra mondiale giunge al termine e ci si avvia verso un nuovo ordinamento, Gianfranco Chiti è arrestato e incarcerato prima a Torino, poi a Tombolo, infine nel campo di internamento di Coltano, dove si trovano altri 32.000 militari già legati alla RSI. Le sue Lettere dalla prigionia ci rivelano lo spirito di fede e di umanità col quale visse quel periodo di prigionia.
Speditamente cammina verso le vette di Dio. Ha un direttore spirituale, il padre Edgardo Fei, grazie al quale intesse un rapporto con Dio sempre più forte, fino al punto che, per questo militare in ascesa, Gesù diventa davvero tutto. Il tenente Chiti, liberato, può riprendere la sua carriera militare, che per lui non è potere o prepotenza, ma puro servizio, luogo propizio per l’esercizio delle virtù cristiane. In attesa di riprendere la sua vita militare di sempre nel rinnovato esercito italiano, insegna scienze nel liceo “Calasanzio” dei padri Scolopi a Lecce.
Nel 1946 in Italia viene istituita la Repubblica. Con le elezioni del 18 aprile 1948 sale al potere la Democrazia Cristiana e uomini onesti che salvano l’Italia dalla dittatura comunista che voleva prendere il posto di quella fascista.
Gianfranco Chiti è nominato presto capitano e in un clima di pacificazione nazionale, riceve anche la croce per meriti di guerra. Dal 1950 al 1954 è inviato in Somalia, dove rivela ancora il suo vivissimo senso del dovere e del servizio, la sua fede invitta, davvero luminosa in un alto ufficiale dell’esercito.
Al ritorno in Italia, ascende, anno dopo anno, i gradi della gerarchia militare dei Granatieri di Sardegna: aiutante maggiore, vicecomandante del 1° Reggimento, capo della segretaria dello Stato maggiore a Roma, comandante delle scuole dell’esercito a Viterbo. Dunque, porta la sua alta preparazione, la sua straripante umanità, che, per lui, è l’irradiazione della sua vita unita a Cristo.
Non è raro vederlo con il rosario in mano mentre prega la Madonna. È solito, quando comincia una qualsiasi iniziativa, promettere di fare qualcosa per la Madonna che lasci il segno nelle anime e inviti alla preghiera e alla consacrazione a Lei.
Nel 1978, all’età di 57 anni, va in pensione, rimpianto da tutti, con il grado di generale di brigata.
E ora inizia per lui una nuova vita...
Il saio di san Francesco
Già da giovane pensava di farsi religioso, ma non era ancora giunta la sua ora. Gesù lo aveva riservato per sé e lo aveva condotto per un lungo, arduo, impervio cammino nelle vie del mondo. Lui, il tenente, capitano, colonnello, generale dei Granatieri di Sardegna, era sempre stato un uomo di Dio, l’uomo di un solo amore: Gesù Cristo.
Ora entra deciso tra i frati Cappuccini e veste il saio di san Francesco come umile novizio, lui che è abituato a comandare. Quindi emette i voti religiosi nella nuova “milizia”, come soldato di Dio e conduce rapidi e intensi studi teologici. Il 12 settembre 1982, a 61 anni, viene ordinato sacerdote. Ora diviene padre Gianfranco Chiti, cappuccino; un omone di quasi due metri di altezza, dalla barba fluente, innamorato di Cristo come di Colui che considerava essere l’unico nella sua vita di eroe.
La vita in convento – dicono – gli sta un po’ stretta. Allora viene mandato per l’Italia a predicare, a tenere conferenze, ad affascinare con la sua personalità forte, abitata da Cristo, uomini e giovani del nostro tempo: i suoi commilitoni, semplici soldati e ufficiali, i signori della politica e della cultura, della televisione e dello spettacolo, e gli umili, i prediletti di Gesù, di san Francesco d’Assisi e suoi figli.
Poi inizia ad occuparsi della ristrutturazione del convento di San Crispino a Orvieto che ritorna a essere comunità dei Cappuccini dopo essere stato abbandonato per anni. Molti lo cercano per avere un consiglio, per la Confessione, per la sua testimonianza e per la sua parola forte e persuasiva. Bisogna perfino prenotarsi per avere un colloquio con lui, tanto è ricercato come “padre e guida”.
Tutt’altro che “buonista”, si fa apostolo di una vita cattolica mai melliflua, ma esigente. Gli viene regalata una Fiat 500, la più piccola auto in circolazione al tempo; lui ci sta dentro a fatica, ma se ne serve per arrivare dovunque ci sia bisogno di consolare, di annunciare Gesù, di salvare un’anima per la quale Dio stesso si è fatto uomo e ha sparso il suo Sangue. La sua preghiera prediletta, dopo la Santa Messa, centro di ogni sua giornata, è il santo Rosario, come lo era stata da adolescente e nella ritirata del Don.
Va incontro al suo Dio il 20 novembre 2004, festa di Cristo Re: il Re divino che non aveva mai scoronato, per il quale aveva sempre militato. Viene sepolto a Pesaro, nella cappella della famiglia Chiti, con indosso il saio dei Cappuccini e, sotto il saio, la divisa dei Granatieri di Sardegna, le due divise da lui tanto amate.
Subito si diffonde la sua fama di santità.
L’8 maggio del 2015, a Orvieto, il vescovo diocesano apre l’inchiesta per la sua beatificazione. L’illustre generale, divenuto poi padre Gianfranco Chiti, ha fatto vedere a molti che il Cristo non è una favola per i bambini buoni, ma è grande, sublime, infinito, capace di dare vita alle personalità più grandi della storia, che solo la Chiesa Cattolica possiede perché fondata su Cristo.
Da Cappuccino esemplare, padre Gianfranco portava i sandali ai piedi, anche se avrebbe potuto esimersene per la sua età avanzata. Un giorno, una donna gli disse: «Ma, Padre, non ha freddo? Metta le calze e le scarpe!». Rispose: «Ho fatto migliaia di chilometri nella neve in Russia... Che vuole mai che sia questo?... E poi ci tengo a dirle che non mi sono mai sposato per non avere una suocera! Capito?!».
In realtà non si era mai sposato – data la sua brillante posizione poteva farlo facilmente – perché Cristo, l’uomo-Dio, il Seduttore dei piccoli e dei grandi, gli aveva riempito la vita al massimo. Era miles Christi, milite di Gesù solo!