SPIRITUALITÀ
Sacerdote felice, nell’apostolato come sul calvario San Tito Brandsma
dal Numero 28 del 24 luglio 2022
di Paolo Risso

In casa lo chiamavano “il Punto” tanto era gracile e minuto, ma era destinato a diventare un gigante tra i santi di Dio. Ecco il profilo biografico di questo fecondo scrittore, professore, giornalista, conferenziere, e soprattutto grande mistico carmelitano.

Ho ancora davanti agli occhi la buona e cara immagine paterna di mons. Fausto Vallainc, vescovo di Alba (CN) che il 5 aprile 1984 mi consegna in dono il suo libro Un giornalista martire, padre Tito Brandsma (Àncora, Milano 1963) e mi racconta che il medesimo libro era piaciuto al Santo Padre Giovanni XXIII e che lo aveva lodato nel discorso alla stampa estera in Italia (26.10.1961), come attestazione «a ogni costo della presenza di Cristo nel mondo». “Divorai” quel libro e ora sono qui a narrare la sua vicenda dopo che il padre Tito è stato canonizzato da papa Francesco il 15 maggio 2022 a Roma. 

 

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Nella notte gelida del 23 febbraio 1881, nella grande fattoria di Ucokloster, presso Bolswars nella Frisia (Olanda), da fiera e forte famiglia di agricoltori cattolici nasceva Anno Siurd Brandsma, battezzato subito l’indomani perché, cancellata in lui la colpa d’origine, regnasse Gesù nella sua anima. Piccolo, brillante, intelligentissimo, in casa lo chiamavano “il Punto”, tanto era minuto. Fin dalla sua infanzia c’è un amore che entra nella sua vita, Gesù Cristo, che lo invade totalmente. A 17 anni entra tra i carmelitani per diventare religioso e sacerdote. Gli studi li conduce intensamente e approfonditamente, con spirito di contemplativo.

Gesù nella cultura

Il 22 settembre 1898 ha vestito l’abito carmelitano e ha preso il nome di fra’ Tito. Un solo ideale lo anima, quello espresso alla mamma il giorno della sua prima Comunione: «Quando si è soli con Gesù, non si può perdere il tempo in altre cose». Il 3 ottobre 1899 emette la professione religiosa dei santi voti. 

Mentre prega e studia, già pensa a scrivere, intuendo che l’impegno della penna (della macchina da scrivere!) sarà gran parte del suo futuro apostolato. Il 17 giugno 1905 è ordinato sacerdote. «Lascia che ti avvicini, mio Gesù – scrive in quei giorni –. Ascolta le parole del cuor mio e sorridi, perché Tu solo sei la Vita mia».

Per l’inizio dell’anno accademico 1906/’07 è mandato a Roma a laurearsi in Filosofia alla Gregoriana. Gracile com’è di salute, arriva alla laurea con un risultato brillante, ma strappato con una lacerante forza di volontà. Dal 1909, ritornato in Olanda, è professore in diverse scuole pubbliche e private.

Veramente si sente chiamato a studiare e a scrivere per annunciare Gesù, per radicarlo nelle anime, per vivificare la cultura di Lui e del suo Vangelo, perché la Frisia, ormai in gran parte protestante, riscopra le sue antiche radici cattoliche. È già un apostolo di frontiera. Ma vede che la gioventù è inquinata dal laicismo e dal protestantesimo nelle scuole, dove i ragazzi e i giovani rischiano di perdere la fede.

Padre Tito vede chiaro, con una lucidità che ci vorrebbe ai giorni nostri. Nel suo Ordine si fa promotore di scuole aperte anche a giovani che non pensano alla vita consacrata, ma che potrebbero essere luce e sale di verità nel mondo. E così si prende a cuore, da uomo di cultura appassionato del sapere e di intensa vita di unione con Gesù, delle scuole cattoliche, dell’apostolato tra i giovani, soprattutto tra gli studenti e gli intellettuali, convinto che ogni ragazzo deve poter coltivare la sua intelligenza alla luce di Dio. 

Nel 1923 è tra gli iniziatori dell’università cattolica di Nimega, in cui per vent’anni insegna Filosofia e Storia della mistica cristiana, fino a diventare rettore magnifico nel 1932 nella medesima università. Nella cittadina di Oss apre un liceo che ancora oggi porta il suo nome ed è frequentato da numerosi giovani: è una delle numerose scuole cattoliche da lui fondate.

Uomo di scienza, padre Tito è però un uomo di Dio, un mistico carmelitano, convinto che «gli uomini devono ritrovare Dio e vivere alla sua luce: questo si chiama mistica. Non si deve porre nei nostri cuori una divisione tra Dio e il mondo, ma guardare la terra con Dio sullo sfondo. La preghiera è vita, non solo oasi nella vita».

Per questo, nel 1916 ha gettato le basi della più importante e maggiore impresa dei Carmelitani olandesi, di cui ha consegnato il programma all’editore nel 1917: la traduzione delle opere di santa Teresa d’Avila in olandese. Padre Tito ha iniziato la sua fatica con Il libro della mia vita, pubblicato nel 1918: è annunciato come avvenimento che apre luminose prospettive ai cattolici olandesi, per il suo realismo, per la ricca linfa ascetica e mistica, di cui il libro è pieno.

Si dedicherà per tutta la vita a far conoscere e diffondere l’opera di santa Teresa d’Avila in Olanda. All’università di Nimega istituisce una sezione di testi mistici per i suoi studenti e per i suoi colleghi, consapevole che «non sono i politici o gli scienziati, ma solo i mistici – i santi – a salvare il mondo, come collaboratori dell’unico Salvatore: Gesù».

Fecondo come Maria

È già molto, ma ciò non basta al piccolo Frate dalla vocetta acuta e dal cuore incandescente. A Dokkum, sul luogo del martirio di san Bonifacio, evangelizzatore della Frisia e della Germania, nel 1924 fa erigere un santuario che diventa subito meta di pellegrinaggi e di preghiera. Padre Tito si impegna e si batte per formare nel popolo olandese la coscienza di essere (o di dover tornare), là dove non lo è più, popolo cattolico.

Attivo com’è, prima di tutto è un contemplativo, un intimo di Gesù e, in Lui, di Dio-Trinità d’amore, secondo la più limpida tradizione carmelitana. In unità totale con l’unico Amato del suo cuore, non ha dimenticato quella che sente la sua prima inclinazione: il giornalismo, come apostolato della verità, fin dalla sua prima giovinezza. Stupendo confratelli e lettori, fonda riviste e giornali, scrivendo, lui di suo pugno, più di mille articoli, densi di studio e di luce, avvincenti per contenuto e stile.

Senza volerlo direttamente, si fa conoscere in Europa e in America ed è presto richiesto per predicazioni e conferenze; compie viaggi in Germania, in Italia e negli Stati Uniti. Organizza congressi di cultura e di spiritualità in patria e all’estero. Con la sua penna indomabile contribuisce a riunificare il “partito cattolico” che si era scisso in due tronconi, per cui nel 1937, per merito suo, si costituisce in Olanda “il partito cattolico unito”.

Ha una visione profonda della vocazione carmelitana, di cui coglie l’affermazione del primato assoluto di Dio e il cuore mariano: «Nostra caratteristica è quella di essere degli altri generatori di Dio (“theotokoi”) come Maria Santissima. Maria è l’esempio di come Dio dev’essere generato di nuovo in noi. Siamo figli di Maria perché Gesù è nostro Fratello. Ella ci insegna come accogliere Gesù e portarlo al mondo».

Con questa passione dentro che lo “incendia”, è fiero di avere la tessera dei giornalisti. Dal 1935 è assistente ecclesiastico della stampa cattolica e da questa posizione organizza l’opposizione culturale e spirituale al nazismo che dilaga. Dalla cattedra universitaria su cui insegna, attacca scientificamente l’ideologia di Hitler, segnandola a dito come folle aberrazione della ragione dalla Verità, come aberrante è altresì il comunismo. Quando l’Olanda viene invasa dai nazisti il 10 maggio 1940, la Gestapo comincia a spiare padre Tito. Come fanno sempre i dittatori, rossi o neri che siano, gli invasori cercano di mettere le mani sulla scuola e sulla stampa. La Chiesa Cattolica alza forte la sua voce.

“Io veglio con te”

Il 17 dicembre 1941, l’arcivescovo di Utrecht chiede al padre Tito il suo consiglio per organizzare la protesta contro le pretese dei nazisti, e di prendere contatto con i direttori delle testate cattoliche, per far fronte con lucidità di idee ispirate al Vangelo e alla dottrina della Chiesa, al nuovo paganesimo della svastica. Il piccolo Frate risponde in modo forte e audace, affermando la dignità dell’uomo, contro la barbarie, difendendo la fede e la civiltà cristiana contro la sopraffazione truculenta del Reich hitleriano, stando in prima linea. 

Ma la Gestapo il 1° gennaio 1942 bussa alla porta di padre Tito: «Voi siete un sabotatore», gli dicono. Risponde: «Il sacerdozio mi ha dato tanta gioia che ora accetto volentieri il dolore. Adesso avrò ciò che ho sempre desiderato. Adesso vado incontro alla cella. Adesso sarò un vero carmelitano». Lo portano in carcere a Scheveningen in una povera cella che padre Tito considera l’anticamera del Paradiso: lì scrive il suo ultimo libro, uno studio su santa Teresa d’Avila.

Il 19 giugno 1942 è deportato a Dachau, il campo di concentramento dei preti e dei religiosi. Tito ha tra le mani il Rosario, “l’arma” dei piccoli e dei grandi. Nella solitudine, nell’annientamento di ogni dignità umana, ridotto, lui, uomo di alta cultura, professore, rettore di università, giornalista, lui soprattutto sacerdote di Cristo, a essere solo un numero (il 30.492), ha il coraggio di cantare la sua consacrazione al suo unico Amore: «Sono felice di esser solo, per vegliare insieme a te, Gesù. Non ti fui mai così vicino, in altr’ora della mia vita come questa, o mio Gesù, ti prego, sta’ con me».

Nei giorni terribili che seguono, padre Tito, alimentato da Gesù Eucaristico, ha ancora la forza di sorridere e di rasserenare i compagni di prigionia: «Ora vediamo la Passione del nostro Gesù, unita alla nostra sofferenza». Quando il 26 luglio 1942, 80 anni fa, gli si avvicina l’infermiera per finirlo con la mortale iniezione di acido fenico, padre Tito le offre, sorridendo, il suo Rosario: «Lo usi per pregare». «Non so pregare», gli risponde la donna. «Provi almeno a dire: “O Maria, prega per noi peccatori”». Sono le sue ultime parole, prima di porgere il braccio.

Qualche tempo dopo, la donna, scossa dalla figura e dalla santa morte del padre Tito, comincia davvero a pregare la Madonna con il Rosario avuto in dono da lui e torna alla fede. Anch’ella avrebbe portato la sua preziosa testimonianza al processo di beatificazione del martire carmelitano. Beatificato il 3 novembre 1985 dal Santo Padre Giovanni Paolo II, padre Tito Brandsma, il professore, l’accademico, il giornalista martire, il 15 maggio 2022 è stato iscritto tra i santi da papa Francesco. Soltanto la Santa Chiesa Cattolica, grazie al suo divino Fondatore Gesù, ha uomini così, come san Tito Brandsma e altri beati e santi, che dall’inferno dei lager sono andati incontro a Dio.

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