Il beato Maria Eugenio di Gesù Bambino, carmelitano dotto e santo del XX secolo, tratteggia con i versetti ispirati dell’Antico Testamento ciò che la nostra esperienza cristiana e spirituale ci insegna su quella misteriosa Sapienza d’amore che è il “soffio della potenza di Dio”, “più bella della luce”, “genio divino che guida ogni cosa con forza e soavità”, la quale ama più di tutto “entrare nelle anime sante e formare amici di Dio”.
Gli uomini dell’Antico Testamento non hanno conosciuto il Verbo Incarnato, il Dio che ha abitato tra noi, nondimeno coloro che hanno cercato Dio con determinatezza nelle creature, nelle sue opere, nel mirabile ordine posto in tutte le cose, hanno trovato la Sapienza di Dio. Si sono sforzati di penetrare il mistero della sua natura e della sua azione e l’hanno meravigliosamente esaltata. È da notare, però, che è stata la Sapienza stessa a rivelarsi e, parlando per bocca degli autori ispirati, ha manifestato le sue origini eterne e ha cantato le sue perfezioni: «Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin da allora. Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata; quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io sono stata generata, quando ancora non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo» (Prv 8,22-26).
Essa è eterna come Dio perché è Dio ed ha avuto un suo ruolo nella creazione del mondo; mentre Dio creava, essa ordinava tutte le cose: «Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso; quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso; quando stabiliva al mare i suoi limiti, sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia; quando disponeva le fondamenta della terra, allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, mi rallegravo davanti a lui in ogni istante; mi ricreavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo» (Prv 8,27-31).
Questa Sapienza è «l’artefice di tutte le cose» (Sap 7,21), «essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa» (Sap 8,1), ma trova una gioia particolare nella sua opera più importante di tutte le altre: la santificazione delle anime. È proprio essa, infatti, che «attraverso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti» (Sap 7,27).
Ma che cos’è questa Sapienza? È possibile descriverla dal momento che è Dio? Eppure la sua opera ce la rivela ed è l’autore ispirato che si sforza di farcela conoscere descrivendo, con tocchi successivi, le sue molteplici qualità: «In essa c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, senz’affanni, onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi. La Sapienza è il più agile di tutti i moti; per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa. È una emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s’infiltra. È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà. Sebbene unica, essa può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova [...].
Essa in realtà è più bella del sole e supera ogni costellazione di astri; paragonata alla luce, risulta superiore; a questa, infatti, succede la notte, ma contro la Sapienza la malvagità non può prevalere» (Sap 7,22ss).
L’Autore ispirato, che canta la Sapienza con un tale ardore, che la descrive con una tale capacità di penetrazione, si è innamorato di essa ed esclama: «Questa ho amato e cercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza» (Sap 8,2).
Essa è un dono di Dio; a Lui, dunque, occorre chiederla, perciò Salomone prega così: «Mandala dai cieli santi, dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia che cosa ti è gradito [...]. Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la Sapienza e non gli hai inviato il tuo Santo Spirito dall’alto? Così furono raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono ammaestrati in ciò che ti è gradito; essi furono salvati per mezzo della Sapienza» (Sap 9,10.17-18).
Questa Sapienza gli è stata donata insieme a tutti i beni ed ora egli riconosce che gli è molto vicina e che basta desiderarla sinceramente perché essa gli si doni: «La Sapienza è radiosa e indefettibile, facilmente è contemplata da chi la ama e trovata da chiunque la ricerca. Previene, per farsi conoscere, quanti la desiderano. Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta» (Sap 6,12-14).
La Sapienza è soprattutto su Israele, suo popolo eletto, depositario delle sue promesse, strumento con il quale deve realizzare i suoi grandi disegni eterni. Vicina al popolo, pronta sempre a soccorrerlo, malgrado le sue infedeltà, trova le sue delizie tra i figli degli uomini e Salomone ne descrive, con molte parole, l’opera meravigliosa in favore del suo popolo (cf. Sap 10-19). «Li guidò per una strada meravigliosa, divenne per loro riparo di giorno e luce di stelle nella notte» (Sap 10,17).
Ma Israele è stato a lungo infedele. Si è allontanato dalle vie della Sapienza, perciò espia la sua infedeltà con una dolorosa schiavitù. Come far cessare questo flagello, come ritornare sulla terra d’Israele e ritrovarvi la prosperità? La Sapienza brilla incessantemente nei cieli e rimane sempre affettuosa nei confronti del suo popolo; anche il profeta Baruc la scopre luminosa e potente: «Ascolta, Israele, i comandamenti della vita [...]. Tu hai abbandonato la fonte della Sapienza. Se tu avessi camminato nei sentieri di Dio, saresti vissuto sempre in pace. Impara dov’è la prudenza, dov’è la forza, dov’è l’intelligenza» (Bar 3,9.12-14).
I capi delle nazioni, i marinai più ardimentosi, «i mercanti di Merra e di Teman, i narratori di favole, i ricercatori dell’intelligenza [...] i famosi giganti dei tempi antichi esperti nella guerra» (Bar 3,23.26) non l’hanno affatto trovata. Ma il Dio di Israele, che esercita un potere sovrano sulla luce «[...] invia la luce ed essa va, [...] la richiama ed essa obbedisce con tremore» (Bar 3,33), esercita la stessa autorità sulla Sapienza e la mette a disposizione del suo popolo perché Israele ritorni al suo Dio e a questa Sapienza che è «il libro dei decreti di Dio e la Legge che sussiste nei secoli» (Bar 4,1).
«Ritorna, Giacobbe, e accoglila, cammina allo splendore della sua luce. Non dare ad altri la tua gloria, né i tuoi privilegi a gente straniera. Beati noi, o Israele, perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato» (Bar 4,2-4).
Questa Sapienza della Legge antica è entrata nell’economia della Legge nuova. Ha preso possesso della Chiesa e delle anime e vi continua la sua benefica azione. Per rivelarla ai fedeli, la Chiesa giustamente usa quei testi nei quali gli autori dell’Antico Testamento hanno utilizzato, per parlare di essa, tutte le ricchezze della poesia ebraica, la potenza evocatrice dei suoi simboli, la grazia pittoresca della sua parola, aggiungendovi il sapore luminoso dell’ispirazione. E, poiché essa è la stessa «attraverso tutte le età», ritroviamo, con molta gioia, felicemente espresso, in queste magnifiche descrizioni, ciò che la nostra esperienza cristiana e spirituale c’insegna su questa Sapienza misteriosa, unica e molteplice, più agile di qualsiasi movimento, che penetra ovunque a causa della sua purezza, che è il soffio della potenza di Dio, più bella della luce, flessibile e attiva, artefice di tutte le cose, genio divino che guida ogni cosa con forza e soavità.
Gli autori del Nuovo Testamento hanno sottolineato che questa Sapienza è una Sapienza d’amore, che offre sempre amore. Infatti è l’amore che ispira i suoi progetti, i suoi movimenti e i suoi gesti. La sua opera santificatrice in noi è soprattutto un’opera d’amore, e la stretta, con la quale ci afferra e ci abbraccia per farci entrare nella Trinità delle Persone divine, è l’abbraccio d’amore per eccellenza.
Per definire questa Sapienza artefice d’amore, usiamo le parole «Sapienza d’amore». Questa Sapienza d’amore collega l’Antico e il Nuovo Testamento. È il nome divino che esprime tutta l’opera realizzata da Dio nell’uomo e per l’uomo, dall’inizio della creazione sino alla fine dei tempi.
La Sapienza d’amore non è, propriamente parlando, una Persona divina, ma è le tre Persone nello stesso tempo cioè tutta la Trinità che abita nella nostra anima e la cui unica attività, «entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti» (Sap 7,27).
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