I FIORETTI
La pace di un’anima in tempesta
dal Numero 15 del 16 aprile 2023

Il 4 ottobre del 1959 vestiva l’abito di terziario francescano un certo Giuseppe Vitiello, nato a Ponza (LT) il 2 gennaio dell’anno 1928. 
Quel giorno, nella cappellina interna del convento di San Giovanni Rotondo, il padre Giovanni Crisostomo Zarrella vestiva il buon uomo dell’abito serafico, in un alone di grande pace e serenità.
Ormai, da quando il giovane aveva conosciuto “quel monaco che confessa bene” e che si trovava a San Giovanni Rotondo, sul Gargano, il clima spirituale del convento era divenuto a lui familiare.
Di aria salubre Giuseppe, quale marittimo di una petroliera spesso in pieno oceano Atlantico, ben se ne intendeva. La brezza marina, infatti, trasporto petrolifero a parte, costituiva il suo clima naturale nei lunghi periodi in cui, salpando da Gibilterra, si allontanava per giorni dalla terra ferma. Ma mentre il corpo traeva il suo naturale beneficio da tutta quell’atmosfera salmastra e marina, il suo animo restava inquieto, come una «nave senza nocchiere in gran tempesta» (Purg., VI, 76-78), per usare un verso dantesco.
Proprio così: la sua anima era “senza nocchiere”, senza una guida e, per tale ragione, tanto inquieta.
Ogni sera prima di coricarsi, al buon marinaio bastava recitare le sue preghiere, seguite da un approssimativo esame di coscienza, probabilmente non molto dettagliato e scrupoloso; in questo modo si sentiva in regola e tranquillo circa l’“affare” della sua anima, senza ben intendere, però, il vero valore della vita di grazia e del retto agire, e in cosa consista l’essere un buon cristiano a tutti gli effetti.
Dopo essersi esaminato, Giovanni giungeva sempre alla conclusione di non aver fatto male a nessuno in quel giorno, di non aver mai ucciso alcuno in vita sua e che, dunque, poteva ben dire di avere la coscienza a posto.
Forse, il buon uomo non conosceva in quanti modi un’anima possa perdere la vita di grazia; quanto i vizi e le cattive abitudini siano capaci di nuocerle; quanto male potrebbe annidarsi nel cuore di un uomo; quanto l’amor proprio, con tutte le sue forme di egoismo, sia in grado di infangare anche la più innocente delle anime, insidiandosi nei meandri più intimi; quanto un’anima possa macchiarsi in altri svariati modi che non comprendono necessariamente l’aver ucciso qualcuno.
Insomma, la superficialità con cui si esaminava, accompagnata anche dal suo tenore di vita alquanto insolito, non gli permettevano di entrare più a fondo nella sua vita interiore, accontentandosi del minimo indispensabile per non dimenticare i valori che aveva sicuramente acquisito.
Tuttavia non riusciva a comprendere una cosa: come mai, nonostante la sua coscienza non gli rimproverasse nulla, non riusciva ad avere pace? E cos’era questo senso di insoddisfazione e di inquietudine che lo assaliva di tanto in tanto?
C’è da precisare, infatti, che Giovanni, prima ancora di dare una svolta decisiva alla sua vita, attraversava in effetti un periodo un po’ particolare e inspiegabile per la sua anima. Avvertiva, e non di rado, un certo senso di inquietudine che non lo lasciava tranquillo e, cosa ancor più dolorosa, non riusciva a comprenderne il motivo.
Un’altra cosa che pure lo tormentava era il pensiero di non riuscire a trovare una buona donna da sposare per poter formare una famiglia in tutta serenità, con una buona sistemazione.
In una delle solite sere, a bordo della petroliera, Giovanni aveva da poco terminato le sue preghiere serali ed esaminato la sua coscienza, pronto ormai a concedersi il meritato riposo dopo la fatica giornaliera. Ma ecco la solita inquietudine assalirlo... 
Grazie a Dio riuscì però ad addormentarsi presto, anche se gli si presentava frequente il pensiero di un ideale matrimonio.
Poi si svegliò improvvisamente, avendo avvertito la presenza di qualcuno nella cabina in cui si trovava. Gli comparve dinanzi la figura di un uomo con la barba, tutto avvolto in un alone di luce, che gli disse chiaramente: «Vienimi a trovare!».
Nonostante l’intensa emozione, ritornò presto a dormire, risvegliandosi il giorno dopo con la convinzione di aver avuto la notte precedente un vero e proprio segno della protezione del santo patrono di Ponza, il pontefice e martire san Silverio, il cui sepolcro andava a visitare spesso di ritorno alla sua terra natale.
Al termine di questo viaggio, che era stato segnato da una così bella grazia, si recò dalla sua famiglia residente a Cagliari.
In quei giorni ci fu l’occasione di incontrare il Crespellari, capo di uno dei Gruppi di preghiera di padre Pio, ed è in questa occasione che sentì parlare per la prima volta del Santo del Gargano.
Giovanni si interessò molto di questo sacerdote cappuccino che veniva presentato soprattutto come “un monaco che confessa bene”.
Cominciò allora a nutrire in cuor suo un tale desiderio di volerlo incontrare per potergli parlare della sua situazione. L’occasione gli si presentò propizia quando una sua cugina si sposò a Mercogliano, in provincia di Avellino e, così, il giorno dopo, riuscì a recarsi sul Gargano, a San Giovanni Rotondo.
Dopo essersi prenotato per una Confessione con padre Pio, il marittimo Giovanni riuscì a incontrare il Padre soltanto dopo otto giorni. Quella volta, per grande grazia ricevuta, fece davvero una santa Confessione e, cosa ancor più mirabile, fu lo stesso padre Pio a fargli l’esame di coscienza. Questa fu una delle occasioni più propizie per Giovanni che da tempo cercava la vera pace, non sapendo che prima c’erano da sistemare alcune cose nella sua anima per ripulirla da ogni minima macchia che ne offuscasse il candore.
Tra le altre cose, padre Pio gli chiese se avesse mai rubato. Alla risposta negativa del penitente, il nostro confessore d’eccezione gli ricordò di quella volta in cui aveva davvero rubato durante la guerra, in occasione dello sbarco degli alleati. Sebbene quella fosse stata una necessità, a detta del colpevole, il Padre si mostrò intransigente, dichiarando con fermezza che quella non era roba sua e che non andava presa per alcuna ragione.
Ancora in quell’occasione, fu avvertito che non era bene tornare sulla terra ferma e andare a trovare i parenti, trascurando l’obbligo per eccellenza della Santa Messa domenicale.
Insomma, il “monaco che confessa bene” aveva proprio il dono di scrutare i cuori e le anime, leggendovi quanto vi fosse di più turpe e nocivo e di svelare al povero marittimo la vera condizione della sua anima, ripulendola da ogni minima macchia e cancellando ogni pecca dalla sua coscienza, così poco avvezza a tali esami di coscienza.
Giovanni, dopo aver riconquistato la pace interiore e la grazia di Dio, tornò in seguito a San Giovanni Rotondo nel 1954 per un’altra Confessione. E così un’altra volta ancora, ma solo la terza volta riuscì a chiedere spiegazioni a padre Pio riguardo a un dubbio che lo assaliva da tempo e che non era riuscito mai a risolvere. Voleva sapere dal Padre se quella figura luminosa che lo aveva svegliato di soprassalto quella notte sulla petroliera fosse proprio lui. San Pio, di cui ormai il nostro protagonista ben conosceva la santità, rispose che era stato proprio lui a svegliarlo quella notte e a richiamarlo a sé perché voleva il suo bene.
Da allora il buon uomo cominciò seriamente a vivere in un clima del tutto soprannaturale e spirituale, che gli aprì finalmente le porte della pace e della riconciliazione vera con Dio e che gli accese in cuore desideri sempre più pii e fervorosi di impegno e fedeltà al Signore.
Di lì a poco, infatti, lo vedremo in quella cappellina interna del convento, a San Giovanni Rotondo, vestire l’abito di Terziario francescano con tutti i migliori propositi di un uomo veramente convertito e improntato al raggiungimento della santità cristiana a tutti gli effetti.

di Suor M. Lilia Ciampa, Il Settimanale di Padre Pio, N. 15/2023

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