I FIORETTI
La sosta davanti alla porta della Chiesa
dal Numero 14 del 8 aprile 2018

Padre Pio, benedetto figlio della Chiesa, proprio perché, per salvarsi dagli assalti della folla ammiratrice, si rifugiava sistematicamente «negli angoli della Chiesa», suscitò spesso la mia piccola ed impotente stizza: egli infatti sembrava che, nel nascondersi tra le pieghe del manto della Chiesa, volesse far dispetto a coloro che ammiravano le sue eccellenti qualità personali.
Ma era proprio vero che questa figura garganica, celebre in tutto il mondo, divenisse un’ombra in seno alla Chiesa Cattolica?
Altro che ombra! Osservato attentamente, egli prendeva tutta la forza della propria personalità dal fatto che sapeva stare bene inchiodato al posto ricevuto in dotazione dalla Chiesa Cattolica.
Quel pomeriggio approfittai per riproporre a padre Pio una obiezione sulla sua facilità di negare o di rimandare l’assoluzione: «Padre, lei, aiutato da Fra Costantino e da tante altre anime oranti, lavora molto per ricondurre in seno alla Madre Chiesa i figli lontani. Ma intanto li lascia per mesi senza assoluzione. E questo non significa lasciarli ancora fuori della Chiesa?».
Rispose «Non basta entrare. Bisogna entrare bene. Per te basta che entrino all’ammasso. Per me è importante che entrino preparati. I mesi impiegati per prepararsi a far parte della Chiesa sono spesi molto bene. Entrare impreparati è lo stesso che non entrare».
La risposta di padre Pio non mi sorprese: confermava ancora una volta il suo santo rigore.

La sacralità dell’assoluzione

Nel praticare la Confessione sacramentale, alcuni perseguono uno scopo diverso da quello della conversione e della perfezione: tentano di carpire dalla buona fede o dal lassismo del confessore un’assoluzione invalida; tacciono i propri sbagli e nascondono le proprie vere intenzioni e responsabilità. Ma non sempre riescono a ingannare o a coinvolgere il confessore.
Ai penitenti, apertamente insinceri, nessun sacerdote, conscio del proprio dovere, può dare l’assoluzione. Sarebbe folle chi, in forza della patente di confessore, credesse di poter conciliare lo spirito del bene e quello del male. Cosa ci fanno i sacerdoti troppo indulgenti nel confessionale? A dir poco, sono peggiori dei penitenti mal disposti.
Purtroppo esistono sacerdoti che nel tribunale della penitenza usano la misura della propria bassezza morale; esistono sacerdoti troppo accomodanti con il penitente. Ma non esiste un sacerdote tanto ignorante da non capire che non può dare l’assoluzione agli immeritevoli.
Perfettamente in linea con i moralisti cattolici più rigorosi, padre Pio, a proposito dei penitenti immeritevoli, recidivi insinceri o comunque impreparati, diceva inconsolabile: «Dove l’appiccichi l’assoluzione con questi penitenti?».
Pregava molto per la loro conversione e quando ha potuto li ha scossi con le sue famose stroncature. Ma sulla loro fronte non ha mai simulato un’ombra di assoluzione.
Egli però era uno dei pochi sacerdoti che differiva l’assoluzione anche a quei penitenti, che, per la sincerità del loro pentimento e per la serietà dei loro propositi, egli stesso riconosceva già sufficientemente disposti.
A me, più di una volta, è sembrato che egli, differendo l’assoluzione ai penitenti preparati e, spesso, i meglio preparati, abusasse del potere ricevuto dalla Chiesa. [...].
Una volta gli dissi: «Quelle persone da lei lasciate senza assoluzione, in caso di morte improvvisa, corrono il rischio di dannarsi». Mi rispose: «Ma chi ti dice che quelle anime sono in disgrazia di Dio». Obiettai: «E se non sono in disgrazia di Dio, perché non possono avvicinarsi all’Eucaristia?». Rispose: «Perché devono fare una penitenza particolare». Secondo il Padre i penitenti preparati, per il solo fatto che non erano stati assolti, non restavano in disgrazia di Dio, e, pur rimanendo sulla porta della Chiesa, essi già facevano parte dello spazio ecclesiale. Questa attesa sulla porta della Chiesa era una penitenza un po’ raffinata e appunto per questo forse riservata alle anime capaci di comprenderne l’importanza e l’efficacia. [...].

“Arciconfraternita della Buona Morte”

Per i penitenti bloccati sulla porta della Chiesa in attesa dell’assoluzione nutrivo molta simpatia e, rassegnandomi a ignorare le generalità della maggior parte di essi, li consideravo, in blocco come tanti appartenenti a una speciale Arciconfraternita della Buona Morte, esistente nella mia fantasia, ufficialmente non riconosciuta, ma meritevole, forse, di una erezione canonica.
Per entrare a far parte di questa Arciconfraternita, gli aspiranti non solo dovevano morire al mondo della cattiveria e presentare a padre Pio, fondatore e priore, il certificato del loro «beato transito», ma dovevano anche sborsare il prezzo dell’iscrizione: la brama febbrile di entrare e la paziente ed umile attesa.
Io, mentre guardavo con simpatia gli aspiranti e i fratelli dell’Arciconfraternita, assumevo invece uno spirito molto critico nei confronti del «Priore», perché per poco tempo avevo attribuito la fondazione dell’Arciconfraternita a incomprensibili estrosità, a misteriosi capricci, a eccessivo e seccante amore per la perfezione dei membri della Chiesa.
Ma mi sbagliavo. Il comportamento di padre Pio affondava le radici negli usi e costumi della Chiesa Cattolica. Tuttavia i pareri altrui, anche se autorevoli, non mi convincevano.
Alcuni toscani, reduci da San Giovanni Rotondo e in sosta a Roma, furono ricevuti in udienza da papa Pacelli [Pio XII].
«Santità, noi veniamo da San Giovanni Rotondo», gridarono al Papa. Il Papa si avvicinò e chiese come stava in salute Padre Pio.
«Bene, Santità», risposero e aggiunsero: «Ci siamo confessati con lui, ma nessuno di noi ha ricevuto l’assoluzione».
Il Santo Padre si mostrò interessato: «Me lo hanno detto che quel sant’uomo spesso nega l’assoluzione. Ma ditemi una cosa: quelli che non hanno ricevuto l’assoluzione in seguito ritornano?». «Quasi tutti», riconobbero i toscani. Il Santo Padre concluse: «E allora, quando ritornerete anche voi, ditegli a nome mio che continui ad agire così».
Non criticai l’opinione di papa Pacelli, tanto più che anche io mi entusiasmavo alla vista dei frutti ottenuti e dimenticavo l’apparente mancanza di ortodossia nei metodi.
Una volta una piccina di 9 o 10 anni si allontanò piangendo dal confessionale di padre Pio. Nel passarmi dinanzi mi disse che non aveva avuto l’assoluzione per aver tralasciato la Messa domenicale. Io rimasi senza parole. La madre della bambina stava iniziando una filippica contro i sistemi troppo rigorosi del Padre. La bambina trattenne la madre e le disse: «No, mamma. Padre Pio ha fatto bene. Io nella mia vita non trascurerò mai più la Messa festiva!».
Nel sentire le parole della bambina misi da parte le furie e mi entusiasmai fino al punto che sarei corso a dare un bacio in fronte al terribile Confessore.

Padre Pellegrino Funicelli,
Padre Pio, tra sandali e cappuccio,
pp. 300-305

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