RELIGIONE
La letizia francescana
dal numero 7 del 11 febbraio 2024
di Grazia de Michelis

L’Ordine Serafico ha indetto il “Centenario francescano”, una serie di eventi che permetteranno di approfondire, meditare e contemplare gli importanti anniversari che l’Ordine celebrerà nei prossimi anni: il dono delle Stigmate (2024), il Cantico delle Creature (2025), il transito del Serafico Padre (2026). Vogliamo unirci a tali ricorrenze di grazia con una rubrica che ci porterà alla scoperta del Poverello d’Assisi e della sua spiritualità, nonché del suo Ordine.

Per san Francesco d’Assisi e i Francescani, la letizia è una vera e propria virtù, che nasce dall’amore a Gesù Crocifisso e alla vita di povertà e penitenza che Egli ha condotto. Per tal motivo è considerata un aspetto tipico dell’ideale francescano. 
Le fonti biografiche del Poverello attestano che egli era «ottimista e gioviale per natura» (3Comp 4: FF 1398) e che, quando viveva ancora nel secolo, era il primo «nei giochi, nei bei motti e nei canti» (1Cel 2: FF 320). La giovialità gli era così connaturale che seppe conservarla persino durante la prigionia a cui fu assoggettato quando partecipò alla battaglia di Perugia. In quell’occasione, mentre tutti gli altri prigionieri erano scoraggiati, il giovane Francesco rallegrava con il canto l’atmosfera deprimente del carcere. 
Dopo aver scoperto la sua vocazione al servizio di Dio e della Chiesa, questa felice disposizione del suo temperamento, attraverso il lavorio della grazia, si indirizzò totalmente alla vita spirituale, trasformandosi in un abito virtuoso che gli faceva affrontare con pazienza e allegrezza ogni sofferenza e difficoltà. 
Il nostro Santo considerava la letizia un’arma infallibile contro le insidie del demonio. A tal proposito soleva dire che il veleno del serpente infernale non può niente contro un’anima lieta e che i demoni ricercano le anime desolate poiché queste facilmente cadono nella ricerca del piacere. Per tal motivo ammoniva i frati che apparivano tristi, affinché piangessero i loro peccati nella solitudine della cella e si mostrassero sempre lieti quando ritornavano in mezzo agli altri. Allo stesso tempo consigliava loro la preghiera come rimedio efficace contro la malinconia. 


Per comprendere come si pratichi la vera letizia, dobbiamo ricordare la conversazione avuta da san Francesco con frate Leone, mentre i due andavano da Perugia a Santa Maria degli Angeli in un giorno d’inverno rigidissimo. Durante il tragitto, il Serafico Padre chiamò il compagno, che gli camminava poco innanzi, per insegnargli in cosa consistesse la perfetta letizia. Gli disse che, se pure tutti i frati minori avessero dato grande esempio di santità e di rettitudine in tutto il mondo, non era quella la perfetta letizia. Dopo un po’ lo chiamò di nuovo per aggiungere che, anche se i frati si fossero messi a fare miracoli tali da ridonare la vista ai ciechi, la parola ai muti, o la vita ai morti, non consisteva in ciò la perfetta letizia. E andando poco oltre, lo chiamò una terza volta per dirgli che perfetta letizia non era neppure conoscere tutte le lingue e il contenuto di tutti libri, né possedere il dono della profezia o quello di scrutare gli animi. Continuando poi, a più riprese, nello spiegare cosa non poteva dirsi vera letizia, suscitò tanta ammirazione nel cuore di frate Leone, che questi chiese dove essa potesse trovarsi. Finalmente il Santo rispose: «Quando saremo a Santa Maria degli Angeli, bagnati per la pioggia, irrigiditi per il freddo, infangati e afflitti dalla fame, e picchieremo alla porta e il portinaio verrà adirato e dirà: “Chi siete voi?”, e noi diremo: “Siamo due dei vostri frati”; ed egli dirà: “Voi non dite il vero, anzi siete due ribaldi che andate ingannando il mondo e rubando le elemosine dei poveri; andate via”; e non ci aprirà, e ci farà stare fuori sotto la neve e l’acqua, col freddo e la fame, fino alla notte; allora, se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà sosterremo pazientemente, senza turbarci e senza mormorare di lui, e penseremo umilmente che quel portinaio veramente ci conosca e che Iddio lo fa parlare contro di noi; o frate Leone, scrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato e ci caccerà [...]; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buon umore; o frate Leone, scrivi che qui è perfetta letizia. E se noi, costretti dalla fame, dal freddo e dalla notte, più picchieremo e chiameremo e pregheremo con grande pianto che ci apra e ci faccia entrare per amore di Dio, e quegli più scandalizzato [...]; uscirà fuori con un bastone e [...] ci batterà: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando alle pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore [...] questa è perfetta letizia [...]. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, che Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri e per amore di Cristo sostenere pene, ingiurie, obbrobri e disagi; in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, perché non sono nostri, bensì di Dio [...]. Ma nella croce della tribolazione e dell’afflizione ci possiamo gloriare, perché dice l’Apostolo: “Non voglio gloriarmi se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo”» (Fior VIII: FF 1836). La vera letizia, quindi, si sperimenta quando si offrono a Dio, con amore, le proprie sofferenze e si è disposti a sacrificare se stessi per Lui. Nelle sofferenze san Francesco diceva: «Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto». (FF 1897). E proprio durante una dolorosa malattia egli compose il Cantico delle creature, nel quale eleva la sua lode al Signore per la bellezza del creato, giungendo perfino a chiamare sorella la morte. All’avvicinarsi dei suoi ultimi giorni, si faceva cantare frequentemente questo Cantico e a frate Elia, che temeva che un tal modo di prepararsi alla morte venisse frainteso dagli altri, rispose: «Fratello, lasciami godere nel Signore e cantare le sue lodi in mezzo alle mie sofferenze, poiché, per dono dello Spirito Santo, io sono così unito al mio Signore che, per sua misericordia, ho ben motivo di allietarmi nell’Altissimo» (Spec 129: FF 1821). 


Anche i disagi e le sofferenze provenienti dalla povertà generano la vera letizia. San Francesco e i suoi compagni erano felici di non possedere nulla e si accontentavano dello stretto necessario. Nei loro viaggi, quando stremati dalla fame, dovevano condividere solo un pezzo di pane e alcune rape, un’intima gioia spirituale li consolava. “Paupertas cum lætitia” divenne il motto del Santo d’Assisi che, avendo abbandonato ogni cosa terrena per amore di Gesù Cristo, amava esclamare: «Mio Dio e mio tutto!». Dio, infatti, è l’unica inesauribile sorgente della vera letizia.   

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