RELIGIONE
Il “genio femminile” della maternità
dal Numero 47 del 6 dicembre 2020
di Suor M. Gabriella Iannelli, FI

Quanto grande sia la dignità della donna è possibile intuirlo già solo dal fatto che l’eterno Figlio di Dio ha voluto nascere nel tempo da una Donna, la Vergine Maria, specchio e misura di vera femminilità.

Il nostro amato Santo Padre Giovanni Paolo II, nel suo luminoso pontificato, ha spesso messo in evidenza il “mistero” della donna, illustrandone la vocazione secondo il disegno di Dio e la dignità. Egli ha parlato di “genio femminile”, espressione coniata proprio da lui, che sta ad indicare le peculiarità e le ricchezze umane e spirituali proprie della donna, che le assegnano un ruolo ben determinato e le permettono di dare un apporto specifico all’edificazione dell’umanità.

Egli, innamorato di Maria, la “Donna” per eccellenza della sua vita, del suo ministero sacerdotale e del suo pontificato, scopre il “genio femminile” guardando la donna dalla prospettiva di Maria che, quale prisma, irradia sulla donna tutta la bellezza della femminilità: «Quanto grande sia la dignità della donna – dice Giovanni Paolo II all’Angelus del 25 giugno del 1995 – è possibile intuirlo già solo dal fatto che l’eterno Figlio di Dio ha voluto nascere nel tempo da una donna, la Vergine di Nazareth, specchio e misura di vera femminilità».

In Maria egli addita il modello per tutte le donne, in ogni stato di vita, attingendo alla sorgente limpida della Sacra Scrittura che ci rivela la vocazione di Maria quale Vergine, Sposa e Madre. Nelle pagine stupende della Mulieris dignitatem, nella Lettera alle Donne, in vari messaggi, compresi quelli ai sacerdoti, egli sviluppa il tema della vocazione femminile in riferimento alla figura di Maria e ci dona insegnamenti che ogni donna dovrebbe far propri.

Tra i vari temi di riflessione che il Pontefice polacco propone ci vogliamo soffermare in particolare su un aspetto della vocazione femminile che è senz’altro il più prezioso e nello stesso tempo, forse, oggi tra i più trascurati e “incompresi” dalle donne stesse: la maternità.

Partendo dalla Genesi egli tratteggia la chiamata dell’uomo e della donna al dono sincero e reciproco di sé, quali “persone” create a immagine e somiglianza di Dio. Il “dono di sé” è il senso più profondo dell’essere uomo e «apre la strada ad una piena comprensione della maternità della donna». Infatti, «il reciproco dono della persona nel matrimonio si apre verso il dono di una nuova vita, di un nuovo uomo, che è anche persona e somiglianza dei suoi genitori. La maternità implica sin dall’inizio una speciale apertura verso la nuova persona: e proprio questa è la “parte” della donna. In tale apertura, nel concepire e nel dare alla luce il figlio, la donna “si ritrova mediante un dono sincero di sé”» (Mulieris dignitatem, n. 18). Nella maternità, nell’apertura al dono di una nuova vita, che è l’espressione più alta del dono di sé, la donna realizza la vocazione matrimoniale e vive in pienezza la sua identità di persona umana e di donna.

San Giovanni Paolo II sottolinea poi l’incidenza particolare, diremmo, unica della madre nella vita del figlio sin dal concepimento: «L’umano generare è comune all’uomo e alla donna. [...]. Eppure, anche se tutti e due insieme sono genitori del loro bambino, la maternità della donna costituisce una “parte” speciale di questo comune essere genitori, nonché la parte più impegnativa. L’essere genitori – anche se appartiene ad ambedue – si realizza molto più nella donna, specialmente nel periodo prenatale. È la donna a “pagare” direttamente per questo comune generare, che letteralmente assorbe le energie del suo corpo e della sua anima. [...]. La maternità contiene in sé una speciale comunione col mistero della vita che matura nel seno della donna» (Mulieris dignitatem, n. 18).

Questa verità è sotto gli occhi di tutti, ma non vi si riflette abbastanza: la donna con tutta la sua struttura psico-fisica, con il suo apporto unico alla generazione del figlio, da lei portato nel grembo per nove mesi e poi da lei alimentato con il proprio latte, allevato, curato, educato, ha una influenza speciale e decisiva nella vita di ogni uomo. «L’uomo – scrive il Pontefice – sia pure con tutta la sua partecipazione all’essere genitore – si trova sempre “all’esterno” del processo della gravidanza e della nascita del bambino. […]. Questo – si può dire – fa parte del dinamismo umano dell’essere genitori, anche quando si tratta delle tappe successive alla nascita del bambino, specialmente nel primo periodo. L’educazione del figlio globalmente intesa, dovrebbe contenere in sé il duplice contributo dei genitori: il contributo materno e paterno. Tuttavia quello materno è decisivo per le basi di una nuova personalità umana» (Mulieris dignitatem, n. 18).

Anche le scienze psicologiche, con le varie teorie sull’accudimento, dimostrano e confermano quanto sia determinante l’apporto materno, a partire dal concepimento, nello strutturarsi psicologico della persona che, fin dall’infanzia, si rapporterà con il mondo circostante condizionata profondamente dal rapporto che ha avuto con la madre che lo ha concepito, generato, accudito ed educato.

Per questo possiamo affermare con il santo Pontefice che la «maternità contiene in sé una speciale comunione col mistero della vita», non solo per l’accoglienza di una nuova vita nel grembo della donna, ma per l’influsso che ella ha in tutta la vita della persona umana. Un significativo detto di origine africana afferma: «Chi educa un uomo educa un individuo. Chi educa una donna educa un popolo»: l’educazione di una donna è molto preziosa e deve essere particolarmente curata perché la donna innanzitutto sarà a sua volta l’educatrice di ogni uomo che viene alla luce su questa terra.

San Giovanni Paolo II mette inoltre in evidenza che «questo modo unico di contatto col nuovo uomo che si sta formando crea, a sua volta, un atteggiamento verso l’uomo – non solo verso il proprio figlio, ma verso l’uomo in genere –, tale da caratterizzare profondamente tutta la personalità della donna: si ritiene comunemente che la donna più dell’uomo sia capace di attenzione verso la persona concreta e che la maternità sviluppi ancora di più questa disposizione» (Mulieris dignitatem, n. 18).

Questo è senz’altro un aspetto del “genio femminile” che Giovanni Paolo II mette diverse volte in luce: la capacità della donna di prendersi cura dell’uomo, di ogni uomo, con una attenzione concreta che la maternità sviluppa ulteriormente. Un aspetto che rispecchia e risponde all’eterno disegno divino: la donna quale “adiutorium simile sibi” (“un aiuto che gli assomigli”: Gen 2,18), posta accanto all’uomo quale suo aiuto e complemento, «lei che forse ancor più dell’uomo vede l’uomo, perché lo vede con il cuore. Lo vede indipendentemente dai vari sistemi ideologici o politici. Lo vede nella sua grandezza e nei suoi limiti, e cerca di venirgli incontro e di essergli di aiuto. In questo modo, si realizza nella storia dell’umanità il fondamentale disegno del Creatore e viene alla luce incessantemente, nella varietà delle vocazioni, la bellezza – non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale – che Dio ha elargito sin dall’inizio alla creatura umana e specialmente alla donna» (Lettera alle donne, n. 12).

Se la donna capisse in maniera più profonda la bellezza di questa sua sublime vocazione alla maternità e il ruolo unico che svolge nella vita di ogni uomo, cosa avrebbe da invidiare e rivendicare all’uomo?

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