ATTUALITÀ
C’era una volta... la Disney
dal Numero 21 del 29 maggio 2022
di Francesca Romana Poleggi

La Disney ha ammesso di avere una “agenda gay”: si propone di inserire nei suoi cartoni animati “situazioni” omosessuali e transessuali e arrivare al 50% di personaggi LGBT. Quella che per Disney è “sensibilizzazione”, per moltissimi genitori è invece un’inaccettabile manipolazione delle menti dei piccoli. Doveroso anche in Italia far sentire il proprio dissenso.

Da bambina e in gioventù ho amato i cartoni Disney. Quando nei primi anni Novanta sono diventata mamma, ritenevo molto più sano far vedere ai miei tre figli videocassette di Biancaneve, Cenerentola e simili piuttosto che i cartoni animati che giravano in Tv – specialmente quelli giapponesi – che non mi piacevano affatto. Il pregio dei cartoni Disney era una chiara distinzione tra il bene (che vince) e il male (che perde). C’è addirittura uno dei “grandi classici”, La bella e la bestia (il cartone animato), che considero tuttora di alto valore educativo: insegna a guardare oltre le apparenze, insegna che l’amore rende liberi, insomma, è uno di quei film che ho lasciato vedere e rivedere ai miei bambini e che ora lascio vedere volentieri ai miei nipotini. 

Per inciso: resta il fatto che qualsiasi cosa si faccia vedere ai piccoli dovrebbe essere vista prima dai grandi e quasi sempre, almeno le prime volte, va vista insieme con loro per spiegare, commentare, ragionare insieme. Il tempo per farlo non c’è? E allora niente Tv.

Ma col passare del tempo anche i cartoni Disney hanno cominciato a deludermi. Già Pocahontas, nel 1995, non mi piacque (non ricordo più perché) e feci sparire la videocassetta. Ma la prima grossa delusione me la diede Koda fratello orso (2003) in cui il ragazzino protagonista, che cresce amico di un orsacchiotto, alla fine decide di diventare orso lui stesso: antispecismo in grande stile. Da allora i cartoni discutibili sono diventati sempre di più. Non li ho visti tutti, ma non mi sono piaciuti neanche ZootropolisOceania ed Encanto: sono quanto meno complessi, adatti a un pubblico “maturo”, a ragazzi grandicelli, non ai bambini. 

Da ultimo, poi, la Walt Disney è precipitata nel baratro dell’ideologia gender. Serie Tv con “due papà”, come The Proud Family, un docufilm (Pride) sulla storia dei diritti LGBT, varie forme di “inclusività” nei parchi a tema, tipo abolire il saluto “signore e signori”... Alla fine dello scorso anno Susan E. Arnold, dichiaratamente lesbica e attivista LGBT, è diventata presidente della Disney al posto di Bob Iger. Non sorprende quindi che la Disney abbia dichiarato apertamente di voler inserire personaggi LGBT nei suoi cartoni: l’antispecismo di Koda fratello orso ben si coniuga con l’ideologia gender e la promozione di ciò che è sessualmente “fluido”. Anche Latoya Raveneau, direttrice della Disney Television Animation, che realizza serie Tv, film e altri prodotti per bambini, lo ha ammesso apertamente. E Karey Burke, presidente della Disney General Entertainment Content, «madre di un bambino transgender e di un bambino pansessuale», ha invece dichiarato di sperare che entro breve «il 50% dei personaggi dei cartoni Disney sia LGBT».

Su pressione di questi dirigenti, pare che la Disney abbia inserito un esplicito bacio gay nel cartone animato Lightyear. La vera storia di Buzz (il famoso personaggio di Toy Story), in uscita a giugno in Italia.

Qualche sassolino però sta inceppando gli ingranaggi di questa “gioiosa macchina da guerra”: in Italia, migliaia di genitori preoccupati hanno firmato in pochissimi giorni la petizione promossa da Pro Vita & Famiglia. Un importante azionista, Ray Keating, ha attaccato la casa cinematografica per le sue posizioni politiche e ideologiche quando la Disney si è schierata apertamente contro la legge della Florida varata dal governatore repubblicano Ron DeSantis, intitolata “Parental Rights in Educational Law”, che vieta alle scuole statali di tenere corsi sui temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere (DeSantis dal suo canto ha chiesto che vengano aboliti i privilegi goduti dall’azienda che governa l’immensa area in cui si trova Disneyland di Orlando, a spese dei contribuenti della Florida).

Anche gli stessi dipendenti e le famiglie statunitensi non vogliono più rimanere in silenzio. Una marea di genitori sta cancellando l’iscrizione al canale pay per view Disney+ e mostrano sui social media il proprio disappunto.

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