MARIA SS.
Gli “ACTA IMMACULATAE”, ovvero i prodigi di Maria
dal Numero 6 del 7 febbraio 2021
a cura della Redazione

Una prima piccola attuazione della grande intuizione di san Massimiliano Kolbe, che nel 1935 scriveva: «Quanto poco noi conosciamo dell’attività dell’Immacolata, dal primo istante della Sua esistenza sino ad oggi su tutta la faccia della terra... Eppure, ogni grazia è passata attraverso le Sue mani. Che stupenda biblioteca si potrebbe costituire con gli “Acta Immaculatæ in universo mundo”...

Con grande gioia diamo inizio ad una nuova piccola rubrica intitolata “Acta Immaculatæ in universo mundo” (Le opere dell’Immacolata nel mondo intero). Essa si propone di raccogliere e portare alla conoscenza dei lettori, le grazie, i favori, gli aiuti e i miracoli che in vari tempi e a varie latitudini, nelle vite di persone comuni o in quelle più note dei santi, dei singoli come delle nazioni, la nostra divina Madre Immacolata ha operato, a favore dei suoi figli.

Una prima piccola attuazione della grande intuizione di san Massimiliano Kolbe, che nel 1935 scriveva: «Quanto poco noi conosciamo dell’attività dell’Immacolata, dal primo istante della Sua esistenza sino ad oggi su tutta la faccia della terra... Eppure, ogni grazia è passata attraverso le Sue mani. Che stupenda biblioteca si potrebbe costituire con gli “Acta Immaculatæ in universo mundo”! E si dovrebbero aggiungere senza posa nuovi volumi. E poi presentarli alle anime, nutrirle dell’Immacolata, affinché al più presto possibile si rendano simili a Lei e si trasformino in Lei. Allora esse ameranno Gesù con il Cuore dell’Immacolata».

I raggi della mediazione di Maria, attraverso il racconto delle sue opere, brilleranno più vividi e si potrà sentire più palpabile e vicino il battito del suo Cuore materno.

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11 | Un miracolo alla Grotta di Lourdes

La seguente storia è riportata dal padre Antonio M. Di Monda, OFMConv., nel suo aureo libretto “La Consacrazione a Maria”.

La vicenda riguarda un vecchio bretone, paralizzato da oltre cinque anni. Anima forte e credente. Bisogna sentirlo pregare per capirlo: «Fate, Signore, quel che volete della mia carcassa. Voi sapete meglio di me a che può servire, non sarò io a mettervi intralcio». Gli sta vicino Anna Maria, la figlia che, per lui, ha rinunciato a tutto. Un giorno gli dice: «Papà, vuoi andare a Lourdes? La Mamma, sai, può tutto sul Cuore di Dio». Il vecchio sorrise. «È un bel rischio, alla mia età, fare un viaggio simile. Ma poiché ti fa piacere, non dico di no, però ricorda: non voglio tornare a casa nello stato in cui sto. Vengo a Lourdes, ma sarà o per morire o per guarire. Intesi?». Un sorriso e un abbraccio suggellarono il patto.

Durante il viaggio, padre e figlia non fecero che pregare. Giunsero a Lourdes. «Dove mi conducete?». «All’ospedale», rispose il barelliere che spingeva la sua carrozzella. «Non sono venuto per andare all’ospedale e non voglio andarvi». Ogni ragionamento fu inutile. Fu portato, secondo suo desiderio, alla Grotta. «Grazie, figlia mia. Ancora una gentilezza: giungi le mie mani e tra le dita mettimi la corona del Rosario, da solo non sono capace... Grazie! Ed ora – disse con voce che non ammetteva replica – lasciami, qui sto bene, non occuparti di me». Chiuse gli occhi ed elevò la sua anima verso Colei che è sempre china sulle miserie umane. E pregò: «Madonna Santa, non mi muovo più di qui, se non morto o guarito. Non voglio scegliere, a Voi di vedere ciò che è meglio. Aspetto, Voi lo sapete, vi amerò tanto coricato in una tomba, che in piedi». E questa preghiera ripeté senza stancarsi.

Verso mezzogiorno, Anna Maria venne a dirgli: «È tempo che tu venga con me a prendere un po’ di cibo, che avrai fame!». Il vecchio aprì gli occhi e fissandola rispose: «Ecché? Credi tu ch’io sia venuto qui per mangiare?». Chiuse di nuovo gli occhi e continuò la sua preghiera. A nulla valse l’insistenza della figlia. Anna Maria si rassegnò, s’inginocchiò vicino al suo buon vecchio e pregò con lui. Ogni tanto udiva il misterioso colloquio: «Qui sono venuto e di qui non mi muovo che morto o guarito!». I pellegrini che passavano osservavano quella scena e, vedendo il vecchio con gli occhi chiusi, le labbra serrate, dicevano tra loro: «Ha ben poco da vivere il poverino!». Ma era vivo, e l’anima parlava: «Vergine Santa, ch’io muoia o viva, tanto, sarà sempre bene, perché sarà quello che volete Voi!». All’ora della processione, si lasciò condurre con gli altri ammalati, ma appena terminata, volle essere ricondotto alla Grotta. Anna Maria, morta di stanchezza, ubbidì, ma non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un lamento: «Che uomo testardo!». Quando le prime ombre già avvolgevano la Grotta, la figlia gli disse: «È ora di prendere qualcosa». Non ricevendo alcuna risposta insisté: «Bisogna pur andare a dormire, è tardi, e la notte è fresca, ti può far del male!». «Non sono venuto qui per dormire!», rispose il vecchio. Esasperata la figlia non ne poté più: «Non vuoi né dormire né mangiare né riposare? Che vuoi allora?». Egli comprese la figlia. Aprì gli occhi e le disse: «Anna Maria, lo sai il patto? Non sono venuto qui per mangiare e fare come gli altri, ho i miei affari io. Tu, figliola, lasciami, non preoccuparti, lasciami solo. Buona notte!». Gli occhi pieni di lacrime, Anna Maria pensò che il vecchio padre diventasse matto. Si allontanò. Spenti gli ultimi canti della fiaccolata, il silenzio della notte si faceva sempre più profondo...

Solo, avvolto dalle ombre della notte e illuminato dalle candele della Grotta, il vecchio era là, immobile come una statua. La figlia non aveva avuto il coraggio di prendere qualcosa. Si era ritirata sotto il viale e seduta su una panchina, piangeva e pregava finché, stanca, si assopì. La scosse il fresco della notte; e allora corse veloce da suo padre. Il cuore le batteva: come l’avrebbe trovato, vivo o morto? Ed era inquieta, perché l’aveva trattato male. Quando scorse la carrozzella, che le sembrò vuota, fu presa da indicibile spavento: forse era caduto ed era morto. Ma no, suo padre era in ginocchio, le braccia incrociate sul petto, estatico. «Papà, che fai?», esclamò premendosi le mani sul cuore. Egli, calmo, si alzò, aprì le braccia e strinse a sé la figlia. Anna Maria comprese quello che era avvenuto, non resse all’emozione e svenne tra le braccia del suo vecchio padre. Quando si riebbe, volle chiedere perdono, ma egli la prevenne: «Non pensare... Dimentica tutto... Hai sofferto, ma era il patto, lo ricordi? Io aspettavo il suo ordine – disse indicando la Madonna – quando mi ha detto: “Alzati!”, l’ho fatto; ed ora dimentica tutto, cara figliola, cantiamo insieme il cantico di gioia alla nostra buona Mamma». Stretta sul cuore del padre guarito, Anna Maria non poteva dire nulla, piangeva... Lui, sempre testardo, cantava per tutti e due: «L’anima mia magnifica il Signore!».

 

10 | Le vittorie della medaglia miracolosa

Dagli scritti di san Massimiliano M. Kolbe (SK 1066), noto come il “Folle dell’Immacolata”, apprendiamo la storia di due incredibili conversioni avvenute per grazia speciale dell’Immacolata. Le riportiamo così come le scrisse il padre Kolbe quando le pubblicò nel 1924 nella sua rivista mariana Il Cavaliere dell’Immacolata.

In questi giorni è venuta da me una signora per chiedermi di recarmi da un ammalato che non voleva confessarsi. Era già stato a trovarlo il sacerdote don H., il quale appunto aveva mandato da me quella signora, perché i suoi tentativi erano falliti. «L’ammalato prega la Madonna recitando almeno una Ave Maria al giorno?», le chiesi. «Gliel’ho proposto, ma egli mi ha risposto che non crede nella Madonna». «La prego di portargli questa medaglietta – dissi io porgendole una medaglia miracolosa –. Chissà che non l’accetti per riguardo verso di lei e se la lasci mettere al collo!». «L’accetterà per fare un piacere a me». «Bene, gliela porti e preghi per lui; quanto a me, io cercherò di fargli una visitina». E se ne andò...

Nel frattempo mi sono incontrato con don H., il quale mi ha raccontato: «Sono stato dall’ammalato e mi sono incontrato con lui come se si fosse trattato di una persona di mia conoscenza, tuttavia non sono riuscito a combinare alcunché. La prego, ci vada anche lei. Debbo aggiungere che l’ammalato è una persona colta; ha appena terminato gli studi universitari di selvicoltura». Non molto tempo dopo, quella signora è ritornata per dirmi che l’ammalato stava peggiorando e che i suoi genitori, presenti accanto a lui, non si sbrigavano affatto a chiamare un sacerdote, perché temevano di impressionarlo. Pensavo tra me: “L’ammalato non desidera il sacerdote e neppure i suoi genitori: a che scopo andarci, dunque?”; nonostante tutto, però, ci sono andato, benché nel profondo dell’animo fossi tormentato dal dubbio sull’esito positivo della visita. L’unica speranza era la medaglietta che l’ammalato teneva con sé. Strada facendo recitai il Rosario. Dopo un penoso cammino suonai alla porta dell’ospedale. Subito dopo fui accompagnato nel reparto delle malattie infettive, dove appunto era ricoverato l’ammalato. Mi sedetti accanto al suo letto e avviai una conversazione. Mi informai sul suo stato di salute, ma in breve la conversazione si spostò su argomenti religiosi. L’ammalato mi manifestava i suoi dubbi e io cercavo di chiarirglieli. Durante la conversazione notai al suo collo un cordoncino azzurro, proprio quello a cui era infilata la medaglietta. “Ha la medaglietta – pensai –, perciò la partita è vinta”. Improvvisamente l’ammalato si rivolge a me e dice: «Padre, si potrebbe venire al dunque?». «Allora lei vuole confessarsi?», chiedo io. Per tutta risposta un pianto dirotto sconvolse il suo petto dimagrito... Il singhiozzo durò per un buon minuto... Quando l’ammalato si fu calmato, ebbe inizio la Confessione. Dopo aver ricevuto il Viatico e l’Estrema Unzione, l’ammalato volle manifestarmi la propria riconoscenza, abbracciandomi e baciandomi. Nonostante il pericolo di infezione della malattia, gli diedi volentieri il bacio di pace.

Accanto vi era un altro ammalato. In ospedale mi avevano detto che anche per lui c’era poco da sperare; tuttavia non pensava minimamente alla Confessione. Per questo raccomandai anche lui all’Immacolata, per intercessione della beata Teresa di Gesù Bambino, beatificata di recente. Il giorno seguente tornai, apparentemente per visitare il primo ammalato, ma nel frattempo avevo raccomandato all’infermiera di chiedere all’altro se voleva approfittare della mia presenza. L’ammalato non si era accorto di me. Perciò rispose con impazienza: «Il dottore afferma che fra una settimana sarò già rimesso in salute e qui mi scocciano con un sacerdote». Senza scoraggiarmi per una simile disponibilità da parte dell’ammalato, attaccai con lui una conversazione e sedetti presso il suo letto. Vedendo che l’ammalato metteva ostinatamente da parte la Confessione, estrassi il “proiettile” che noi usiamo nella Milizia, vale a dire la medaglia miracolosa. L’ammalato chiese: «Che cos’è?». Glielo spiegai brevemente. La baciò, accettò che gliela mettessi al collo e... iniziò la Confessione. Siano rese grazie in eterno all’Immacolata per queste vittorie tanto amorevoli e misericordiose.

 

9 | Lourdes, il cavapietre e l'acqua di Maria

Dopo le prime apparizioni della Madonna a Lourdes, non è a dire con quanto accanimento i nemici del soprannaturale si affannarono con parole e con scritti a «liquidare una volta per sempre la più miserevole superstizione di Massabielle». Ma presto ricevettero una risposta alla loro posizione di «uomini positivi: credo quello che vedo». 

A smantellare i loro argomenti, le loro sicurezze, le loro ironie, venne anche un povero cavapietre: Louis Bourriette, “il Borgne” (cieco da un occhio), il più insignificante personaggio di Lourdes. Da vent’anni portava in giro la sua infelicità. La portava scritta in fronte dalla grossa cicatrice che era succeduta allo scempio procurato da una mina scoppiata anzitempo. La mina gli aveva ucciso il fratello Joseph e a lui aveva sfigurato il viso, compromettendo irreparabilmente l’occhio destro, facendogli anche perdere il posto di lavoro. Ma aveva di bello il povero Bourriette, alla scuola della sofferenza e delle umiliazioni, una grande capacità di fede. Dopo l’apparizione del 25 febbraio, nel marzo del 1858, Bourriette aveva 54 anni e decise di raccogliere un po’ d’acqua della fonte di Massabielle, ancora sporca e fangosa. Da quel giorno, una luce nuova gli penetrò nella pupilla spenta e un grido soffocato gli uscì dalla bocca: «Ma io vedo!». Uscito sulla piazza, trovò il dottore Dozous, e subito si fece un cerchio di persone intorno a loro: «Dottore, io vedo!», gridò andandogli incontro. «Impossibile!», rispose il dottore. Prese un foglio e vi scrisse sopra: «Bourriette non vedrà mai con quell’occhio atrofizzato». Poi gli chiuse con la mano l’occhio sinistro e disse: «Leggi». Bourriette lesse distintamente con l’occhio destro. «Ma cosa hai fatto?», riprese sbigottito il dottore. Ecco la testimonianza della sua guarigione, raccolta dal dottor Dozous, primo “esperto medico” di Lourdes: «Appena Bernadette ha fatto sgorgare dal suolo della Grotta la fonte che guarisce tanti ammalati, ho voluto farvi ricorso per guarire il mio occhio destro. Quando quest’acqua è stata a mia disposizione, mi sono messo a pregare e, rivolgendomi alla Madonna della Grotta, l’ho supplicata umilmente di stare con me mentre lavavo il mio occhio destro con l’acqua della sua fonte [...]. L’ho lavato e rilavato più volte, nello spazio di poco tempo. Il mio occhio destro e la mia vista, dopo queste abluzioni sono diventati ciò che sono in questo momento, eccellenti». Il fatto destò molto clamore, in seguito venne riconosciuto come miracoloso dai dottori e il 18 gennaio 1862 ricevette l’approvazione del vescovo di Tarbes, mons. Laurence. I nemici del soprannaturale dovettero ammettere la propria sconfitta. 

Quanti paralitici, ciechi e infermi avrebbero conosciuto la potenza di quest’acqua! Lourdes non sarebbe Lourdes senza questa benefica fonte, questa nuova Siloe. L’acqua, del resto, è da sempre simbolo mariano, perché, al pari della Vergine, è segno di un legame incessante tra Cielo e Terra. Riscaldata dal sole evapora e sale, condensandosi in nuvole che poi restituiscono sotto forma di benefica pioggia quanto hanno ricevuto. Così è la Mediazione di Maria: potente intercessione che dalla terra sale verso il Cielo a nostro favore, e pioggia di grazie che per Lei scendono dal Cielo sulla terra!


8 | L'atomica e il Rosario

Forse non tutti sanno che durante il lancio della bomba atomica su Hiroshima avvenne un incredibile miracolo: la Madonna del Rosario salvò quattro frati dalla morte certa là dove ogni cosa fu polverizzata e spazzata via nel raggio di chilometri.

Verso le 8:15 del 6 agosto 1945, la prima bomba atomica mai sganciata nella storia dell’umanità, esplodeva, approssimativamente, ad un’altezza di 580 metri sul centro di Hiroshima, portata sulla città dal bombardiere B29 Enola Gay, partito dall’isola di Tinian, nella base navale di Guam. In pochi istanti, la città si ridusse ad una piana inaridita. Ancora oggi, è difficile arrivare ad una stima precisa del numero totale delle persone che perirono a Hiroshima, in seguito all’esplosione atomica. Poiché gli effetti della bomba si manifestarono per un lungo periodo di tempo, il totale dei morti stimati varia a seconda della data in cui venne fatto il rilevamento. Si calcola comunque che, alla fine del dicembre 1945, il numero delle vittime fosse di ben superiore alle 150.000. Nessuna persona umana, ovunque si trovasse, scampò dalla morte nel raggio di un chilometro e mezzo dal centro dell’esplosione.

I gesuiti Hugo Lassalle, superiore in Giappone, Hubert Schiffer, Wilhelm Kleinsorge e Hubert Cieslik si trovavano nella casa parrocchiale della chiesa di Nostra Signora dell’Assunzione, una parrocchia distante solo otto isolati dal centro dell’esplosione. Al momento della deflagrazione, uno dei gesuiti stava celebrando la Santa Messa, un altro stava facendo colazione e gli altri erano nei pressi della parrocchia. 

Padre Hubert Schiffer aveva 30 anni e ha dato la sua testimonianza davanti a decine di migliaia di persone: «Attorno a me c’era soltanto una luce abbagliante. Tutto a un tratto, tutto si riempì istantaneamente da una esplosione terribile. Sono stato scaraventato nell’aria. Poi si è fatto tutto buio, silenzio, niente. Mi sono trovato su una trave di legno spaccata, con la faccia verso il basso. Il sangue scorreva sulla guancia. Non ho visto niente, non ho sentito niente. Ho creduto di essere morto. Poi ho sentito la mia propria voce. Questo è stato il più terribile di tutti quegli eventi. Mi ha fatto capire che ero ancora vivo e ho cominciato a rendermi conto che c’era stata una terribile catastrofe! Per un giorno intero i miei tre confratelli ed io siamo stati in questo inferno di fuoco, di fumo e radiazioni, finché siamo stati trovati ed aiutati da soccorritori. Tutti eravamo feriti, ma con la grazia di Dio siamo sopravvissuti».

La loro casa era inspiegabilmente rimasta in piedi, mentre tutte le altre intorno furono distrutte e ridotte ad un cumulo di macerie incenerite. I medici che hanno assistito i gesuiti alcuni giorni dopo l’esplosione li hanno avvertiti che le radiazioni avrebbero potuto provocare loro gravi lesioni, nonché malattie e morte prematura, ma questa diagnosi non si è mai realizzata: nessuno dei quattro Padri fu contaminato dalle radiazioni atomiche. 

Un altro racconto di padre Schiffer aggiunge che aveva appena finito di dire Messa, e si era recato a fare colazione, quando la bomba cadde: «Improvvisamente, una terrificante esplosione riempì l’aria come di una tempesta di fuoco. Una forza invisibile mi tolse dalla sedia, mi scagliò attraverso l’aria, mi sbalzò, mi buttò, mi fece volteggiare come una foglia in una raffica di vento d’autunno». Quando riaprì gli occhi, egli, guardandosi intorno, vide che non vi erano più edifici in piedi, fatta eccezione per la casa parrocchiale. Tutte le persone, in un raggio di circa 1,5 chilometri, morirono immediatamente, e quelle più distanti morirono in pochi giorni per le radiazioni gamma. Il solo danno fisico che padre Schiffer accusò, invece, fu quello di sentire alcuni pezzi di vetro dietro il collo.

Egli visse per altri 33 anni in buona salute, e partecipò al Congresso Eucaristico tenutosi a Philadelphia nel 1976. In quella data, tutti e quattro i membri della comunità dei Gesuiti di Hiroshima erano ancora in vita e in salute.

Dal giorno in cui le bombe caddero, nessuno dei duecento medici, americani e giapponesi, che in seguito li visitarono, seppero mai spiegare perché, dopo 33 anni dallo scoppio dell’atomica, nessuno dei quattro Padri aveva mai sofferto o aveva riportato conseguenze da quella esplosione atomica e continuavano a vivere in ottima salute. Conclusero che la loro sopravvivenza all’esplosione fu un evento inspiegabile per la scienza umana.

I quattro religiosi non hanno mai dubitato del fatto di aver goduto della protezione divina, e in particolare della Madonna: «Come missionari abbiamo voluto vivere nel nostro paese il messaggio della Madonna di Fatima e perciò abbiamo pregato tutti i giorni il Rosario. Crediamo di essere sopravvissuti perché stavamo vivendo il Messaggio di Fatima. Vivevamo e recitavamo il Rosario quotidianamente in quella casa, per cui abbiamo concluso che la preghiera del Rosario fu più forte della bomba atomica».

Questa storia, documentata da storici e medici, è nota come “il Miracolo di Hiroshima”. Padre Schiffer, in seguito, ha scritto Il Rosario di Hiroshima, un libro in cui racconta tutto ciò che ha vissuto.

Ecco il messaggio pieno di speranza di Hiroshima: la preghiera del Rosario è più forte della bomba atomica! Oggi, nel centro della città ricostruita, si trova una chiesa dedicata alla Madonna. Le 15 vetrate mostrano i 15 misteri del Rosario, che si prega in questa chiesa giorno e notte.


7 | Giù le mani dall’Immacolata!

L’8 dicembre 1859, festa della Immacolata Concezione, i coniugi Pizio di Torino si facevano protestanti dietro promessa di aiuti finanziari, essendo essi nell’indigenza. Lo stesso giorno, il marito, Alberto Pizio, cercava di vendere alcuni vecchi mobili e, tra questi, un bel quadro della Vergine dipinto su legno, ma i compratori, vedendo l’immagine dell’Immacolata, proruppero in orrende bestemmie ed uno di essi addirittura tentò ripetutamente di farlo a pezzi con una scure; se non che la scure si ruppe e l’immagine rimase illesa. Infuriati, i tre malviventi gettarono il quadro nel fuoco, ma il miracolo si ripeté: le fiamme carbonizzarono tutto il legno intorno all’immagine, rispettando prodigiosamente la figura della Vergine. I profanatori allora fuggirono spaventati e il Pizio nascose il quadro. Un mese dopo, sua moglie, saputa la cosa, incredula e ostinata nelle sue idee, volle a sua volta tentare di distruggere il quadro. Lo cosparse quindi di alcool e gli diede fuoco, ma nuovamente il miracolo si ripeté. Tormentati dai rimorsi, i due coniugi si consigliarono con un sacerdote, che suggerì loro di consegnare il quadro a qualche persona pia che pregasse per loro. Essi decisero di consegnarlo alle prime persone religiose che avrebbero incontrato la sera del Mercoledì Santo 1860. La Provvidenza dispose che tali persone fossero precisamente due religiose della Congregazione dell’Immacolata Concezione d’Ivrea, da poco fondata. Da allora il quadro venne gelosamente conservato dalle suddette suore, le quali lo hanno ora esposto alla pubblica venerazione in un grandioso Tempio, dedicato appunto alla Madonna Immacolata dei Miracoli, che sorge ad Ivrea presso la loro Casa madre. I fatti prodigiosi riguardanti l’Effigie miracolosa vennero esaminati in un regolare processo canonico nel 1910 dal cardinale arcivescovo di Torino Agostino Richelmy (1850-1923) e di tale processo si conserva copia autenticata nell’Archivio della Casa Generalizia di Roma, in Trastevere.


6 | Non credevo a quelle apparizioni!

Il 20 febbraio 1953 fu inaugurata nell’ospedale “D. Estefania” di Lisbona una lapide per ricordare che là era morta Giacinta, la veggente di Fatima. In quell’occasione il canonico Nunes Ferreira fece pubblicamente, a proposito delle apparizioni di Fatima, questa confessione. 

«Si avvicinava il 13 ottobre 1917 e si diceva che fosse l’ultima apparizione della Madonna. Dal momento che io non approvavo i pellegrinaggi a Cova da Iria, perché non credevo a quelle apparizioni, decisi di passare quei giorni lontano da Fatima recandomi a Lisbona a trovare degli amici. Arrivato alla stazione di Lisbona mi sono incontrato casualmente con l’Arcivescovo di Evora, Manuel da Conceicao Santos. Subito mi chiese se non andavo il giorno 13 a Fatima, perché lui era partito dalla sua Diocesi proprio con l’intenzione di essere presente all’apparizione. “No. Vado lontano da Torres Novas per non trovarmi nemmeno vicino a Fatima”, risposi. E sono riuscito a convincere l’Arcivescovo a ritornare a casa sua, anche se si trovava a metà strada. Secondo me non c’era nulla di vero nelle apparizioni di Fatima. Mi sono poi diretto verso la casa dei miei amici. Anche lì furono tutti sorpresi per la mia visita: “Lei canonico viene a Lisbona quando tutti noi partiamo per andare a Fatima, anzi pensavamo di passare la notte a casa sua”. Era il 12 ottobre e contro la mia volontà dovetti cedere alle insistenze dei miei amici e fui quasi costretto ad accompagnarli a Torres Novas in macchina, alla condizione però che non li avrei portati a Fatima il giorno seguente, perché io ero dell’opinione che, fino a che la Chiesa non si fosse pronunciata, non credevo opportuno che andassero là. Partimmo il mattino presto del giorno 13. Siccome i miei amici insistevano che indicassi loro la strada per Fatima, con mia grande contrarietà mi sedetti al loro fianco con la ferma decisione, una volta giunti, di non scendere nemmeno dalla macchina. Ci siamo imbattuti in numerosissime persone lungo la strada; pur camminando nel fango erano tutti felici... Tra di loro vi era gente semplice e gente qualificata, senza alcuna distinzione. Di questo sono rimasto molto impressionato. Ammesso che non succeda niente a Fatima – pensavo – è sempre grande cosa la fede e la capacità di sacrificio di questa gente. Siamo arrivati a Cova da Iria e naturalmente non scesi dalla macchina, come fecero invece i miei amici. Al contrario mi sono ben accomodato sui sedili. I cosiddetti veggenti stavano là in mezzo alla moltitudine. Ad un certo punto scesi dalla macchina. Vicino a me stava un signore di Porto che conoscevo. Anche lui come me non credeva: “Sono venuto per la mia famiglia – mi disse –, perché io non credo a nulla”. “Nemmeno io – gli ho risposto –. Sono venuto unicamente per indicare la strada a dei miei amici”. Dopo mi rifugiai in macchina, perché nessuno mi vedesse. Ad un certo momento vedo che tutti guardano in una certa direzione. Ho domandato cosa succedesse. “La nuvoletta della Madonna! Tra poco Lei arriverà”. “La nuvoletta della Madonna?”, mi arrabbiai e scesi dalla macchina... Ad un certo punto ho visto un fascio di luce tra il cielo e i bambini. Naturalmente io ero lontano, ma mi ricordo bene di aver visto, dentro questa nuvola particolare, una signora avvolta in un fascio di luce. Aveva un Rosario bianco tra le mani e i suoi occhi risplendevano come scintille in quella luce. Non potrò mai, mai dimenticare questa scena. Sentii che veramente la Madonna stava lì e sono caduto in ginocchio come gli altri». 

Il canonico raccontava tutto questo piangendo: «Allora ho promesso, e non ho mai mancato, di tornare a Fatima tutte le volte che potevo». E aggiungeva: «Quante volte ho martirizzato la piccola Giacinta con le mie stupide domande! Ero tra quei sacerdoti che vogliono sempre sapere tutto. Per questo ella deve aver sofferto molto, poveretta». Il canonico Ferreira chiese anche pubblicamente perdono alla Madonna per aver convinto l’Arcivescovo di Evora a non andare a Fatima quel 13 ottobre.



5 | In prima linea, a difesa della Fede

Leone Isaurico fu il primo Imperatore iconoclasta, al quale nell’anno 744 successe il figlio Costantino Copronimo, molto più crudele del padre. Egli concentrò tutto il suo odio in modo particolare contro le immagini della Santissima Vergine, vietando persino le preghiere dirette ad invocare l’aiuto della stessa gran Madre di Dio. Sotto il suo impero, la Chiesa ha dovuto registrare un gran numero di martiri, i quali dando prova di vero eroismo, seppero trionfare di tutte le perfidie dell’Imperatore.

San Giovanni Damasceno, pieno di zelo, prese a scrivere in difesa del culto alle sacre immagini, e specialmente quella della Santissima Vergine. Tanto disse e tanto scrisse che l’Imperatore, irritato, giunse al punto di fargli troncare la mano destra, perché non potesse più scrivere. 

Come rispose la Madre di Dio? Quale potenza dispiegò per abbattere questa eresia? Anzitutto nella notte seguente al giorno in cui era stata troncata la mano al suo servo fedele san Giovanni Damasceno, la Vergine Santissima apparve al Santo, e gli restituì miracolosamente la mano troncata. Segno evidente che l’Immacolata, con tale atto, confondeva l’eresia iconoclasta e confermava l’insegnamento della Chiesa circa la venerazione che si deve alle sacre immagini. Quale manifestazione più potente si poteva desiderare dalla Madonna per dire da che parte stava la verità?

Si aggiunga inoltre la fine infausta che toccò a Costantino Copronimo. Ecco cosa è riportato di lui nella Storia Universale di Henrion. «Mentre l’imperatore Costantino Copronimo combatteva, con buona fortuna, contro i Bulgari, fu sorpreso da tali ulceri e carbonchi alle gambe, con febbri e dolori così acuti da dare segni di vera alienazione mentale. Collocato su di una nave, si tentò di trasportarlo a Costantinopoli, ma egli morì prima di arrivarvi il 14 settembre 775, gridando che già ardeva vivo e sentiva le fiamme infernali, che gli vendicavano gli oltraggi con cui aveva disprezzato il culto alla gran Madre di Dio» (Henrion., vol. III. p. 220).

L’ammissione dei propri errori, il castigo riconosciuto per l’odio alle immagini della Madonna e pubblicamente proclamato, aprì alla vittoria finale della Vergine Immacolata. Infatti, questa morte straziante di Copronimo colpì amaramente il figlio Leone IV, che gli successe nel governo dell’impero. Questi venne allora a più miti consigli e, pur non abrogando i decreti iconoclasti, non usò alcuna violenza verso coloro che non li osservavano.



4 | O Maria, guarisci la mia cecità!

Giornalista, scrittore e uomo illustre per cultura, Enrico Lasserre non si era mai curato troppo di religione, ma nel 1862 la sua vista, che era stata sino allora eccellente, si indebolì talmente che dovette abbandonare i libri e la penna e mettersi in assoluto riposo. Sacrificio enorme per un uomo di grande attività come lui.

Fu un suo amico, protestante, ad indurlo a rivolgersi alla Madonna di Lourdes. «Se io fossi cattolico – gli scriveva dopo essere per caso passato da Lourdes e aver veduto l’entusiasmo delle folle –, non esiterei a tentare la sorte!». Enrico Lasserre aveva il presentimento che la Madonna lo avrebbe esaudito, ma, leale com’era, confessò al suo amico di temere il miracolo: «Un miracolo come quello di cui io potrei essere l’oggetto, mi imporrebbe l’obbligo di sacrificare tutto e di diventare un santo; ed io non ne ho né la voglia, né la vocazione!». Ciononostante l’amico protestante scrisse al parroco di Lourdes, perché gli inviasse a Parigi un po’ di acqua della sorgente miracolosa e, strano eretico davvero, esortò nell’attesa il Lasserre a confessarsi e comunicarsi bene, «come deve fare un buon cattolico», diceva.

Ecco come il Lasserre stesso racconterà più tardi, nel libro Notre Dame de Lourdes, la sua guarigione: «Prima di supplicare Dio di guarire il mio corpo, pensai, devo fare qualcosa per guarire la mia anima. E, riflettendo a queste serie considerazioni, mi diressi verso la casa del confessore... ma non lo potei vedere in quel momento e dovetti tornare più tardi». Rientrato in casa vide sul caminetto la cassetta dell’acqua di Lourdes. «Conteneva – egli dice proseguendo nel racconto –, una bottiglia piena di acqua. Tolsi il turacciolo, versai dell’acqua in una chicchera e presi dal cassettone un tovagliolino... La fede, una fede ardente, intensa, era venuta a infiammarmi l’anima. “Santa Vergine Maria – dissi a voce alta –, abbiate pietà di me e guarite la mia cecità fisica e morale”. E, dicendo queste parole, col cuore pieno di fiducia, bagnai successivamente tutti e due gli occhi e la fronte col tovagliolo, che avevo immerso nell’acqua di Lourdes. Appena ebbi toccato con l’acqua miracolosa gli occhi e la fronte, mi sentii d’un tratto guarito, bruscamente, senza intervallo di tempo, con una velocità che, nel mio modo di esprimermi imperfetto, non posso paragonare che al fulmine. Strana contraddizione! Un momento prima credevo, avevo fede che sarei guarito, ed ora invece non potevo credere che la guarigione fosse avvenuta! Andai a cercare sul caminetto un opuscolo sulle apparizioni; lessi 104 pagine senza interrompermi e senza l’ombra di stanchezza. Venti minuti prima non avrei potuto leggere tre righe! E, se mi fermai a pagina 104, fu perché erano le 17.35 del 10 ottobre e a Parigi, a quest’ora, è quasi notte...».

Enrico Lasserre il mattino seguente faceva la Comunione in ringraziamento a Dio ed alla Vergine Santa e più tardi diveniva il primo storico dei fatti di Lourdes. La sua opera Notre Dame de Lourdes ha avuto numerose edizioni in tutte le lingue, con oltre un milione di copie. Forse fu il libro che ebbe maggior successo nel secolo XIX.

La Vergine Immacolata sempre prega e ottiene per i suoi figli grazie di guarigione, conversione, consolazione, santificazione. Rimaniamo, come bambini, fra le braccia di questa dolce Madre, affidiamo alla sua cura la nostra anima, mettia­moci senza indugio, sempre di nuovo, nel suo Cuore Immacolato!
 



3 | La guarigione del futuro Papa

Nel giugno del 1464 il papa Pio II si recò in Ancona, nel cui porto egli era riuscito a riunire una considerevole flotta per una nuova crociata contro i Turchi che avevano occupato Costantinopoli. Egli era accompagnato dal card. Pietro Barbo di Venezia. Essendo insorta in quel periodo nella città di Ancona la peste, sia il Papa che il Cardinale si ammalarono gravemente al punto che Pio II morì il 14 agosto 1464. Per le sue gravi condizioni, il card. Barbo non poté accompagnare la salma del pontefice a Roma né poté partire per il Conclave; ma, assai devoto della Vergine di Loreto, si fece trasportare nella Santa Casa. Mentre era assorto in preghiera, ebbe una visione della Beata Vergine, la quale lo guarì e gli predisse la sua prossima elevazione al pontificato. Trovatosi istantaneamente guarito ritornò a Roma, prese parte al Conclave, nel primo giorno del quale, subito, al primo scrutinio, il 30 agosto 1464, fu eletto papa, prendendo il nome di Paolo II. Mosso dalla gratitudine verso la Vergine, nella sua prima Enciclica del19 ottobre volle testimoniare in essa le grazie che aveva ottenuto nella Santa Casa, affidando il suo pontificato alla Vergine Lauretana. Il sommario di questo documento pontificio venne scolpito in una grande lastra di marmo che ancora è murata ed è visibile nella prima lesena della navata di sinistra della Basilica di Loreto: in essa si legge un grande elogio del Santuario, fatto celebre dai grandi e stupendi miracoli che - egli scrisse- «noi stessi abbiamo sperimentato nella nostra persona». Successivamente volle dare avvio al progetto ed alla costruzione dell’attuale grandiosa Basilica, indicendo anche due Giubilei, nel 1470 e nel 1471, per coinvolgere tutta la cristianità nel sostenere l’avvio della costruzione. In tali documenti il papa Paolo II espressamente dichiarò anche l’origine miracolosa del Santuario Lauretano e dell’immagine della Madonna in esso custodita.
 



2| La salvezza in extremis

«La misericordia immensa di Maria – ha scritto san Giovanni Crisostomo – salva un gran numero di infelici che, secondo le leggi della divina giustizia, andrebbero dannati». Ne fece particolare esperienza san Clemente Hofbauer (1751-1820), sacerdote della Congregazione del Redentore, vero specialista nel convertire i grossi peccatori. Non usava argomenti ingegnosi o molte insistenze. Il suo segreto era la Madonna. Chiamato a visitare qualche infermo molto distante, diceva: «Tanto meglio, così potrò recitare più Rosari per lui». Il Rosario fu la sua passione. Quasi sempre, o camminando per strada, o sedendo al confessionale, teneva in mano un piccolo rosario, dono carissimo fattogli da Pio VII. Avendolo una volta perduto, ne fu afflittissimo, e quando una suora lo ritrovò, egli tutto allegro le disse: «Voi in questo momento mi avete aiutato nella conversione dei peccatori, giacché ogni volta che lo ho recitato per un peccatore, ne ho ottenuto la conversione». Nella sua biografia si legge il seguente episodio. Un moribondo miscredente erano 22 anni che non si confessava. Fu chiamato padre Clemente. L’infermo, appena lo vide, si irritò e lo accolse con insulti, intimandogli di andarsene all’istante. Le buone parole non servirono a nulla. Allora, fingendo di andarsene, si fermò sulla soglia. Il malato gridò: «Cosa vuoi? Vattene e lasciami in pace». «No – riprese il Santo –, non partirò di qui, perché è già vicina la tua fine, e voglio vedere come muore un dannato». Le parole ammutolirono l’ostinato, mentre san Clemente invocava la Madonna con ardore. Dopo poco, si udì il moribondo singhiozzare ed esclamare: «Padre mio, perdonatemi, accostatevi». Si confessò tra le lacrime e morì in pace invocando Maria rifugio dei peccatori.

 


1 | La conversione del venerabile maestro massone 

Serge Abad Gallardo, ex alto funzionario del governo francese e venerabile maestro massone, racconta la sua storia. A trent’anni cercava risposte al senso della vita e godeva di un’alta posizione sociale: una ottima preda della massoneria. Restò all’obbedienza massonica per 24 anni finché, nel 2012, la Madonna lo attirò a sé. 

«Il primo passo verso la mia conversione – racconta – avvenne nella Cattedrale di Narbonne. Mio figlio era nei guai e stavo attraversando un momento difficile. Un giorno decisi di andare alla cattedrale, proprio accanto al mio ufficio, per pregare. Poco dopo dissi a mia moglie che sarebbe stato bello andare a Lourdes per pregare un po’, per me e mio figlio. In quel momento non avevo la fiducia che ho ora, ma un piccolo raggio stava già sorgendo in me quando decisi di andare a Lourdes. Lì, sono andato alla grotta e per la prima volta ho recitato un intero Rosario. Alla fine della preghiera, mentre mi alzavo, le gambe mi cedettero e mi sentii paralizzato. Vidi una luce intensa uscire dalla statua della Vergine Maria. Alcune persone intorno a me cercarono di aiutarmi a rimettermi in piedi, ma le gambe rimasero paralizzate per diversi minuti. Non dissi niente a mia moglie, perché prima volevo fare alcune analisi mediche. Risultato: non avevo nulla. Per assicurarmi di non avere una sorta di delirio mistico andai anche da uno psichiatra e lui certificò che ero completamente sano di mente. È così che è incominciata la mia vera vita di fede». 

Serge non lasciò subito la massoneria, ma capì progressivamente che «quel mondo non era in sintonia con la mia fede, smisi di partecipare alle riunioni massoniche e parlai con alcuni sacerdoti che confermarono l’incompatibilità tra la Fede cattolica e l’adesione alla massoneria». 

Dopo un anno ha abbandonato definitivamente la Loggia, ma il prezzo è stato alto: molti compagni gli hanno voltato le spalle ed è stato licenziato dalla pubblica amministrazione. Oggi Serge Abad dedica tempo ed energie a condividere la sua lunga esperienza all’interno della massoneria, informando le persone sui meccanismi e sui potenziali pericoli dell’attività massonica, con regolari conferenze in tutta la Francia. Ha scritto in merito numerosi libri, tra cui Ho servito Lucifero senza saperlo

La luce con cui quel giorno la Vergine Santissima lo ha liberato dalle tenebre dell’errore illumina ancora la sua esistenza, e non solo la sua: sono numerosi gli ex massoni ravveduti che lo contattano ringraziandolo per la sua testimonianza.  



* Se sei a conoscenza di grazie e miracoli operati dalla Vergine Maria, recenti o passati, purché documentati, comunicali a: redazione@settimanaleppio.it

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