APOLOGETICA
La bellezza di vivere il Cielo “nella” terra
dal Numero 27 del 13 luglio 2025
di Corrado Gnerre
La felicità piena può realizzarsi solo in Cielo, nel possesso pieno di Dio: infatti chi ha Dio ha tutto. Un fatto narrato da Sant’Alfonso M. de’ Liguori può aiutarci a fare chiarezza.
La felicità piena può realizzarsi solo in Cielo Veniamo adesso alla seconda parte della frase dell’Immacolata a Santa Bernadette Soubirous: «Ma in Cielo». L’unica felicità possibile è solo in Dio, cioè vivendo in Dio. Cosa è il Cielo se non la conquista di Dio? Già Aristotele nell’Etica a Nicomaco scrive: «La felicità è qualcosa di divino ed è impossibile all’uomo». C’è un interessante aneddoto che Sant’Alfonso M. de’ Liguori († 1787) narra nella sua opera L’uniformità alla volontà di Dio. Si tratta di un fatto che sarebbe capitato a padre Giovanni Taulero, italianizzazione di Johannes Tauler, il famoso mistico tedesco del XIV secolo: «Si narra che il padre Taulero pregava continuamente il Signore di mandargli un grande maestro di spiritualità che potesse insegnargli la via della perfezione. Un giorno udì una voce che gli diceva di recarsi in una determinata chiesa perché lì avrebbe incontrato chi desiderava. Padre Taulero si mise in cammino e arrivò a destinazione, ma, meraviglia, invece di incontrare un dotto teologo, un professore di chissà quale università teologica, incontrò un misero mendicante che chiedeva l’elemosina dinanzi alla porta della chiesa. Il povero, quasi come se lo attendesse da tempo, lo salutò e gli disse: “Maestro, io non ricordo mai di aver avuto un giorno cattivo”. Il Taulero allora gli augurò di avere una vita felice, ma il mendicante obiettò: “Ma io non sono mai stato infelice. Io non ho mai avuto un giorno cattivo, perché quando ho fame, lodo Dio; quando nevica o piove, lo benedico; se qualcuno mi disprezza, mi scaccia o se provo altra miseria, ne do sempre gloria a Dio. Ho detto poi che non sono stato infelice, poiché sono abituato a volere tutto ciò che vuole Dio, senza riserve; perciò tutto quello che mi capita di dolce o di amaro, lo ricevo dalla sua mano con allegria, come il meglio per me, e questa è la mia felicità”». Queste parole, dette così, possono lasciarci un po’ perplessi, nel senso che, se è vero che bisogna conformarsi alla volontà di Dio, è pur vero che l’uomo non può fatalisticamente annullare la propria volontà. Potremmo chiederci: che differenza c’è tra queste parole e ciò che afferma la spiritualità delle religioni orientali? Il Buddismo dice che l’uomo deve raggiungere il nirvana (che è il nulla) attraverso l’anatta (la convinzione che il proprio “io” non esiste e che è solo un’illusione). Il Taoismo, poi, dice che l’uomo deve assecondare i ritmi del Tao (ciò che accade) attraverso il principio del wu-wei (la non-azione). E invece quello che dice il mendicante al padre Taulero è proprio l’opposto di tutto questo. Chiariamo. Le religioni orientali dicono che bisogna assecondare ciò che accade, perché tutto è positivo in quanto tutto è divino. Dal momento che anche l’uomo è divino, l’assecondamento diventa l’uomo che trova la salvezza in se stesso, essendo il divino e l’uomo la stessa cosa. Il Cristianesimo, invece, è su un piano completamente diverso; esso dice che l’uomo raggiunge la sua felicità non in se stesso ma incontrando Dio, che non è un’“atmosfera” indefinibile ma è Persona! Che il mendicante indichi questo è testimoniato da come prosegue il racconto: «Il Taulero allora obiettò: “E se Dio vi volesse dannato, voi che direste?”. Il mendicante rispose: “Se Dio volesse questo, con umiltà e amore mi abbraccerei al mio Signore e lo terrei stretto così forte che, se Lui volesse precipitarmi all’inferno, sarebbe costretto a venire con me, così allora mi sembrerebbe più dolce essere con Lui all’inferno che possedere senza di Lui tutte le delizie del Cielo”». Certamente paradossale... ma bello! Il mendicante precisa che la felicità è nell’incontro con Dio, che è altro da sé. Tanto questa felicità è in Dio, che l’inferno con Dio (anche se va detto che nell’inferno c’è comunque la presenza di Dio, ma questa è un’altra questione) diventerebbe un Paradiso e il Paradiso, senza Dio, un inferno. Nel nirvana invece non c’è Dio perché non c’è nulla, è un vuoto; e infatti Buddha non lo descrive proprio per questo. Leggiamo la conclusione del racconto: «Il Taulero, allora, gli domandò che cosa l’aveva condotto a tanta perfezione. Il mendicante rispose: “È stato il silenzio. Tacere con gli uomini per parlare con Dio; è l’unione che ho tenuto con il mio Signore, in cui ho trovato e trovo la mia pace”». Sant’Alfonso così conclude: «Quel mendicante fu certamente, pur nella sua povertà, più ricco di tutti i monarchi della terra, e nei suoi patimenti più felice di tutti i “gaudenti” con le loro delizie terrene». San Pio da Pietrelcina amava dire: «Chi ha Dio, ha tutto». /continua
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