SPIRITUALITÀ
Cosa fa la Sapienza d’amore?
dal Numero 21 del 30 maggio 2021
del beato Maria Eugenio di Gesù Bambino /2

La Sapienza d’amore, attraverso cui la Santissima Trinità realizza ogni opera, è intelligente e saggia. Ha un disegno per la cui realizzazione usa le risorse infinite della sua intelligenza e potenza. Non lascia nulla al caso e ordina tutto con vigore e dolcezza, sia nel governo delle singole anime che in quello della storia umana.

Il mondo è stato creato solo per la realizzazione del disegno di Dio e ciascuno di noi vi ha il suo posto già segnato. Non siamo affatto venuti al mondo per muoverci a nostro piacere o per realizzare i nostri fini personali. La Sapienza divina ci ha posti in esso per essere gli agenti umani del suo disegno divino e gli esecutori del compito preciso che essa ha assegnato a ciascuno di noi nel suo piano.

Noi possiamo essere attori sottomessi amorevolmente o ribelli, il che dipende solo da noi, ma, qualunque sia il nostro atteggiamento, il piano di Dio si realizzerà con noi o contro di noi. Quando sarà realizzato, il tempo si fermerà; il mondo avrà vissuto la sua esistenza poiché la Sapienza avrà compiuto l’opera per la quale lo aveva creato.

Noi conosciamo questo disegno eterno di Dio: è il disegno di misericordia, nascosto nei secoli antichi, e di cui l’apostolo Paolo è l’annunciatore e il ministro, cioè quel disegno stabilito da tutta l’eternità e che la Sapienza doveva realizzare nella pienezza dei tempi: ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del Cielo e quelle della terra (cf. Ef 1,9-10). Il disegno eterno di Dio, che la Sapienza d’amore deve realizzare, è la Chiesa di Dio, fine e causa di tutte le cose (cf. Sant’Epifanio).

Dittatori e imperi, popoli e individui si agitano. I loro movimenti s’inserivano nel compimento del grande disegno di Dio e vi sono ordinati dalla sua Sapienza che tutto penetra e tutto dispone da un’estremità all’altra del mondo. Essi passano e delle loro opere non resta, nell’eternità, se non ciò che hanno fatto con amore per realizzare i disegni di Dio sulle vie della Sapienza.


Come la Sapienza opera nell’anima

Per compiere il suo disegno eterno in noi e per mezzo nostro, la Sapienza d’amore interviene nell’anima con un aiuto particolare. L’opera da realizzare nell’anima è, infatti, tanto sublime che la Sapienza stessa deve intervenire e guidarla personalmente con le sue luci e le sue mozioni.

Questo disegno eterno di Dio, di cui conosciamo la formula, è, comunque, impenetrabile. È la Sapienza infinita che lo ha concepito e lo realizza. I pensieri di Dio superano i nostri pensieri come il cielo sovrasta la terra. Sono misteriosi come Dio stesso.

Le regioni nelle quali si estende il regno della Sapienza, dove la sua luce e la sua azione dominano sovrane, sono per noi regioni oscure. Tale oscurità viene creata dalla trascendenza della luce divina, non come accidente temporaneo, ma come un effetto normale della debolezza del nostro sguardo.

Non possiamo, dunque, cogliere o abbracciare con la nostra intelligenza il disegno di Dio nel suo insieme, come non possiamo prevedere la parte che ci spetta nel realizzarlo o le vie per le quali saremo condotti. Le luci che brillano in questa oscurità potrebbero ingannarci se le interpretassimo alla lettera. Facciamo qualche esempio.

Fondando il monastero di San Giuseppe ad Avila, santa Teresa era spinta da un’attrazione divina per la solitudine e l’intimità con il buon Gesù; invece, la Sapienza d’amore la fece andar via da lì, qualche anno dopo, per percorrere, da fondatrice, le strade della Spagna. Scrivendo i suoi trattati, la Santa rispondeva alle necessità delle sue figlie; era lontana dal pensare che la Sapienza d’amore preparava con essi un cibo valido per gli uomini di tutti i tempi. San Francesco di Sales voleva fondare la Visitazione di Santa Maria per rispondere ai bisogni del popolo, e finì con il fondare un Istituto contemplativo che doveva raccogliere le confidenze del Cuore di Gesù.

In queste regioni, oscure perché la Sapienza vi regna sovrana, la luce viene offerta passo passo all’anima che crede e si abbandona a questa Sapienza d’amore che considera guida e maestra.

Questi giochi di luce nell’oscurità che la Sapienza crea sembrano contenere in sé un’apparente contraddizione, tuttavia sono una realtà confermata dall’esperienza spirituale. La loro origine soprannaturale è dimostrata dalla pace e dalla fecondità delle opere delle persone che li seguono. La Sapienza è luce e mistero. Così il suo regno quaggiù non è che penombra. Per entrarvi è necessaria la fede e solo l’amore può dimorarvi in pace.


Questa Sapienza è soltanto amore

Questa Sapienza è Sapienza d’amore. È al servizio di Dio che è amore. Ora, l’amore è il bene diffusivo di sé. Ha bisogno di espandersi e trova la sua gioia nel donarsi. Tale gioia è proporzionata al dono che offre e alla sua qualità. Essendo totalmente al servizio di Dio, la Sapienza userà tutte le sue risorse per diffondere l’amore.

Non c’è da meravigliarsi, dunque, che essa trovi la sua gioia tra i figli degli uomini, perché nella loro anima può effondere il più grande dei suoi doni creati, la grazia, che è una partecipazione alla natura e alla vita di Dio.

Tale amore che si effonde è un torrente di soavità. Esso unisce l’uomo alla sua felicità e crea la pace, la gioia, la luce. Il regno della Sapienza d’amore è un regno «di giustizia, d’amore e di pace» (Prefazio della festa di Cristo Re).

Ma questo amore investe facoltà umane che non hanno la capacità di riceverlo e che portano le tracce del peccato. Il suo regno, infatti, si colloca nel mondo lasciato al dominio del peccato. Vi trova lotta e sofferenza, perciò i torrenti dell’amore portano nell’anima la sofferenza; le sue invasioni avvengono a prezzo di dure lotte; il suo regno di pace suscita violenze e odi. «Un servo non è più grande del suo padrone [...]. Se il mondo vi odia [...] prima di voi ha odiato me» (Gv 15,18.20). La Sapienza d’amore è quaggiù come un agnello in mezzo ai lupi, perché il mondo è cattivo ed essa è per lui una condanna con la sua sola presenza. La legge che accompagna tutti gli sviluppi e i trionfi della Sapienza d’amore, quaggiù, è una legge di lotta e di sofferenza interiore ed esteriore. Essa vive ed estende le sue conquiste sulla terra in una Chiesa che è militante e dolorante anche nelle sue vittorie. «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26) proclama Gesù dopo la sua Risurrezione. È una necessità per tutti coloro che lo seguono.


La Sapienza d’amore conquista a Sé per votare alle opere di Dio

Soave e dolorosa, la Sapienza d’amore è essenzialmente attiva. Il movimento non è per lei uno stato transitorio, ma costante. Se il bene diffusivo di sé, che è l’amore, cessasse un istante di effondersi, non sarebbe più amore. L’amore che si blocca si trasforma in egoismo. Dio genera continuamente il suo Figlio, dal Padre e dal Figlio procede costantemente lo Spirito Santo; per questo Dio è eterno Amore.

L’amore che ci è dato non può bloccarsi nelle nostre anime. Ha bisogno di risalire verso la sua sorgente e vuole, per mezzo nostro, continuare il suo movimento di diffusione di sé. Conquistandoci, la Sapienza d’amore ci fa entrare nell’intimità divina, ma ci conduce anche verso il suo fine nella realizzazione dei suoi disegni d’amore. Ci trasforma immediatamente in canali della sua grazia e in strumenti delle sue opere. L’amore è essenzialmente dinamico e dinamogeno.

L’apostolato non è un’opera supererogatoria; è la conseguenza normale del movimento essenziale dell’amore. Pensare unicamente all’intimità, all’unione con Dio, vuol dire ignorare la natura dell’amore, fermare il movimento d’espansione che lo rende amore. Vuol dire, dunque, distruggerlo o almeno viziarlo e sminuirlo, conservarlo tra le dighe di un egoismo che, pur dicendosi spirituale, resta distruttore.

La Sapienza d’amore conquista le anime non solo per se stesse, ma per la sua opera. Ha un unico fine che è la Chiesa. Ci sceglie come membri della Chiesa perché vi assumiamo un ruolo e vi compiamo una missione. Dobbiamo ricordarlo spesso perché il nostro egoismo e il nostro orgoglio, favoriti in ciò dal sentimento della nostra intimità personale con Dio, sono pronti a convincerci che noi siamo un fine in sé, lo scopo ultimo dell’opera santificatrice della Sapienza divina nella nostra anima.

La santa umanità del Cristo fu creata, ornata di privilegi meravigliosi e indissolubilmente unita alla divinità per la Redenzione e per la Chiesa. Lo scopre essa stessa appena viene all’esistenza: «Non hai gradito olocausti [...]. Un corpo mi hai preparato [...]. Ecco, io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10,5-7). Ciò che giustifica la creazione della Santa Vergine e tutti i suoi privilegi è la sua Maternità divina, la sua Maternità di grazia.

Come il Cristo Gesù e la sua divina Madre, i santi sono suscitati per la Chiesa. La Sapienza d’amore li santifica per inserirli nella Chiesa e renderli idonei per le sue opere. Quando santa Teresa viene elevata al matrimonio spirituale, il Cristo Gesù le offre il chiodo della crocifissione e aggiunge: «Tu sei mia vera sposa... tu avrai cura del mio onore..., il mio onore è tuo e il tuo è mio» (Relazioni XXXV).

Le parole sono chiare. Questa unione permanente, suggellata da un segno e da una parola data, non la vota ad un’intimità nella solitudine, ma all’azione per il Cristo. Il Cristo Gesù l’ha resa sua sposa e la dona alla Chiesa perché diventi madre di molte anime.

La Sapienza d’amore ha solo questo disegno, per la cui realizzazione spende tutte le risorse della sua potenza e della sua sapienza: l’unico disegno che definisce tutta la sua opera, la Chiesa.

Il capolavoro di questa Sapienza d’amore è innegabilmente l’umanità santa del Cristo. Tale umanità, unita al Verbo dal vincolo dell’Unione ipostatica, meravigliosamente adorna di tutti i doni, dotata fin da quaggiù della visione beatifica, viene lasciata dalla Sapienza d’amore alle angosce del Getsemani, alla morte della Croce e, come cibo, a tutti coloro che essa vuole conquistare. L’Incarnazione, il Calvario, l’Eucaristia: ecco i trionfi più belli della Sapienza d’amore. Ed essa aspira a rinnovare nelle anime tali trionfi. Il Cristo in Croce è un modello che essa pone davanti a sé e davanti a noi, come l’esemplare perfetto di tutte le sue opere quaggiù. Vuole conquistare anche noi, renderci belli perché le diventiamo templi purificati e grandiosi; vuole innalzare in noi un altare per immolarci alla gloria di Dio e far sgorgare dalle nostre ferite fiumi di luce e di vita per le anime.

La Sapienza si è costruita una dimora, l’ha ornata di sette colonne; vi ha innalzato un altare, immola le sue vittime e chiama tutti alla festa che segue il sacrificio (cf. Prv 9,1-5). Questa dimora della Sapienza è il Cristo Gesù, la Vergine Maria... noi stessi.

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