SPIRITUALITÀ
10 marzo | Quaranta pazzi per Gesù: i martiri di Sebaste
dal Numero 10 del 27 febbraio 2023
di Paolo Risso

«Diversi l’uno dall’altro per parentela fisica, unica per tutti era la parentela spirituale. Infatti loro padre comune era Dio e tutti divennero tra loro fratelli per l’adozione dello Spirito, tra loro congiunti nella concordia che deriva dall’amore. Divennero così coro già pronto ad accrescere il gran numero di coloro che in eterno lodano il Signore» (San Basilio Magno).

L’amore di Gesù forma i martiri e dà ad essi la forza.  
Il cuore generoso che si prefigge un ideale, lo persegue sino alla sua ultima goccia di sangue. Come una scintilla che si appicca a un mucchio di sterpi, li accende, li fa divampare, poi ardere, ardere in una fiammata incontenuta, incontenibile: l’amore.


Forti come diamante
Se una luce vi brilla all’intelligenza, se una fiamma vi arde nel cuore, ogni idea, ogni ispirazione sarà per quella luce, per quella fiamma.
L’ideale è amore, è vita. Beato chi di Gesù Cristo fa il suo ideale, il suo emblema. Quando una folata improvvisa di vento o una tempesta sconvolgono il piccolo mare del nostro “io”, felice chi a Gesù è fisso come a una stella, come al suo sole.
Quando il vento cercherà di spingerlo contro gli scogli, Gesù sarà il suo pilota. Quando l’onda impetuosa spazzerà il ponte e tenterà di sommergerlo, la Croce di Gesù sarà il faro che lo guida al porto. Colui che ama davvero Gesù, non vedrà disfatta. Se egli veramente ama, le prove non lo schiacceranno. Che cosa c’è di più saldo dell’amore? Questa forza che annienta e che sublima, che annienta e che crea. Questa forza possente data da Dio agli uomini contro le debolezze della volontà, contro le infermità della carne.
Forte come un diamante chi di Gesù ha fatto la sua fortezza, il suo rifugio. Come una città posta su un monte trova la sua naturale difesa nelle pareti scoscese, l’anima che si è data a Gesù trova in Lui quelle difese che i nemici non potranno mai abbattere, anche se dovrà sostenere molti assalti. “Come hanno perseguitato Lui, così perseguiteranno i suoi discepoli” (cf Gv 15,20). Ma il vero amore è lotta che non lascia riposo. L’amore è sofferenza, è lotta, forse fino alla morte.
Ma la morte del corpo, a pensare da veri cristiani, non è altro che preludio di gioia: morire per Gesù non è morire, è vivere una nuova vita in Lui. Morire per Gesù è vivere, è la vera vita. Quanti lo hanno compreso! A milioni sono morti per Gesù – anche oggi nel 2023 si muore per Lui – nella certezza di avere la vita! Costoro amavano veramente. Che importa che la morte sia obbrobriosa? Che importa se essa è preceduta dai più crudeli tormenti?
Sant’Ignazio d’Antiochia, vescovo del I secolo, ha testimoniato che l’essere dilaniato dalle belve, scorticato, bruciato, condannato al lentissimo martirio delle miniere, tutto è lieve, qualunque sia il supplizio, se si soffre per Gesù. E questo basta. Non è capacità nostra di stoici, è dono di Gesù ai suoi prediletti, i “chicchi” di frumento cui è dato di fruttare il cento per uno (cf Mc 4,3-8.20).
Insieme a Gesù, l’essere soli a lottare è come l’essere in molti; perché non è il fragile uomo che lotta, ma Gesù del quale è discepolo, che lotta e vince in lui. «Quando sarete innanzi ai giudici, non preoccupatevi di quello che dovrete dire; lo Spirito di Dio che è in voi, parlerà per voi» (Mt 10,19).


Quaranta corone
A Sebaste in Armenia. Erano quaranta. Quaranta come i giorni dell’orazione di Gesù nel deserto, come i giorni che passarono dalla Risurrezione del Salvatore alla sua gloriosa Ascensione. Erano militi, militi di Gesù Cristo e della patria. La loro legione era famosa per le vittorie riportate e per una benefica pioggia di grazie discesa miracolosamente per le loro preghiere. Tutti giovani e forti, avvenenti. Sangue scorreva nelle loro vene e non acqua. Perciò amavano: amavano Gesù, lo amavano veramente e lo seppero dimostrare. L’amarono fino a morire di lento crudelissimo martirio. 
Nel 320 d.C. l’imperatore Licinio emana un decreto per cui ogni suddito nella parte orientale dell’impero romano deve sacrificare agli idoli. Agricola, governatore dell’Asia, pubblica l’editto nelle sue terre. La XII legione deve anch’essa sacrificare agli idoli e rinnegare Gesù, il Figlio di Dio, l’unico Dio. 
Ma i quaranta militi – tra i quali primeggiava Lucio Candido –, forti nella loro fede, resi invincibili nel loro amore, non si sottomettono all’empia legge. Alle lusinghe e alle minacce dei comandanti, lo Spirito di Dio che è in loro risponde: «Voi potete distruggere i nostri corpi di cui poco ci importa, di cui non ci curiamo, ma la nostra anima, il dono più prezioso che Dio ci ha dato, quest’anima redenta dal Figlio di Dio, il nostro amatissimo Gesù, con il suo Sangue Preziosissimo, voi non la potete distruggere».
Come una folata di vento precede talvolta la tempesta, così una prima prova saggiò le loro forze: furono flagellati a sangue, poi rinchiusi in carcere. La loro fede non vacillò.
Quel divino fuoco che ardeva nei loro cuori rese loro dolce quella lunga sofferenza. Volevano morire per il loro Gesù. Quasi contraccambiare il suo Sacrificio. Egli, il Signore della vita, aveva versato il suo Sangue. Perché non avrebbero potuto versarne anch’essi qualche goccia? Gesù, il Signore della vita, si è immolato per nostro amore; perché essi non potevano morire per amore di Lui? 
Nella penombra del carcere, godevano della vera Luce. Non vi erano tenebre per essi. La Luce stessa, Gesù, «candore della Luce eterna» (Sap 7,26), abitava in loro. Nel divino colloquio, in quelle ore di solitudine, la loro fede si irrobustiva; il divino Amore faceva pregustare loro un po’ della felicità che li attendeva. Erano quaranta, e supplicavano il Signore della pienezza che concedesse a tutti la perseveranza, che non permettesse di diminuire quel numero che ricordava loro i giorni dell’orazione nel deserto; i giorni lieti trascorsi dagli Apostoli in intimità con Lui, dopo la sua Risurrezione. Attendevano l’ora con ansia, in preghiera.
L’ora venne e terribile. Lisia, il comandante della legione, li sottopose a un altro interrogatorio. Sperava, l’empio, che la lunga prigionia avesse loro tolto il coraggio di professare la fede. Ma essi non si piegarono, forti del loro Gesù. Ora andavano incontro al premio eterno.
Alle porte della città di Sebaste vi era un lago le cui acque erano gelate, essendo già inverno inoltrato. Al calar della notte, Lucio Candido e i suoi compagni della XII legione furono immersi nel lago ghiacciato, vestiti solo della loro pelle... Lì vicino fu posto anche un bagno caldo per accogliere quanti si fossero arresi.
Il fuoco del loro amore fu posto a contatto con il ghiaccio dell’empietà. Ma il fuoco divino non si può spegnere. Arde anche a contatto con il gelo. Anzi, ancor più arde e ancor più illumina e riscalda. “Lo spirito è pronto, ma la carne è inferma” (cf Mt 26,41). Lo spirito è forte e resiste. Presto i corpi si contrassero per il gelo, le membra divennero un peso inutile, mentre l’anima si apriva il varco pronta al volo felice per il Paradiso.
Alcuni videro gli angeli discendere con quaranta corone e distribuirle a tutti, eccetto uno. Uno solo mancò al premio. Non tutti sanno essere eroi. Ma anche quel disertore fu punito. Appena si gettò nel bagno caldo, il corpo debole non sopportò la forte reazione e dovette soccombere. L’unico, ma fu presto rimpiazzato. Un soldato che aveva visto gli angeli discendere e dare a ciascuno la sua corona, toltisi i vestiti, si lanciò nel lago ghiacciato tra il gruppo dei martiri, al posto del disertore: «Sono di Gesù Cristo anch’io, voglio morire con loro!».
Il fuoco per sua natura si propaga. Quel cuore che mai aveva conosciuto il vero amore, vedendo a quali eroismi l’amore di Cristo conduce, sentì di amare anche lui il divin Maestro. E si offrì a Gesù, come ostia di amore. Morirono congelati: quaranta “pazzi” per Gesù. Lo amarono, Gesù, sino alla follia d’amore per Lui, follia che è il più sublime equilibrio. Quaranta seggi erano occupati nel Regno eterno.

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