SPIRITUALITÀ
Trascinatore di giovani: beato Federico Ozanam Incontro con il santo del 9 settembre
dal Numero 32 del 4 settembre 2022
di Paolo Risso

Ho conosciuto i dubbi del secolo presente, ma tutta la mia vita mi ha convinto che non c’è riposo per lo spirito e per il cuore se non nella Chiesa e sotto la sua autorità. Io credo fermamente di essere consacrato alla propagazione della verità. La giustizia suppone già molto amore.

Quando entrava alla Sorbona, a Parigi, per le sue lezioni di storia, tutti l’ammiravano. Alto, esile, il volto pallido con la barba leggera: era la distinzione in persona. Così si presentava Federico Ozanam. I suoi studenti erano costretti dal suo fascino ad ascoltarlo, per seguirlo o per contestarlo. Nessuno era indifferente davanti a lui, appena trentenne, il più giovane professore universitario d’Europa.

Era nato a Milano, il 23 aprile 1813, da un medico militare e da Maria Nantas. Federico crebbe coccolato da tutti. Tornata la sua famiglia a Lione, nel 1815, fu educato con la delicatezza dell’amore e la luce della cultura e della fede, ricevendo dai suoi tutto per un futuro di grandezza e di santità. Il dottor Ozanam con la sua signora visitava i poveri: Federico li seguiva. Sentiva parlare della storia di Francia e capiva che era una storia cristiana. Si accostò, dodicenne, alla prima Comunione e Gesù penetrò nella sua vita, come l’Amico, il Maestro, il Tesoro assoluto. Era bambino e già scriveva versi francesi e latini dolcissimi.

Conseguita la licenza liceale a 17 anni, suo padre lo voleva avvocato, ma Federico era inclinato alle lettere e alla filosofia. Studiava le lingue europee e orientali con facilità estrema. A contatto col padre Noirot, si formò una fede salda, forte come il diamante. Sapeva affrontare increduli e libertini con coraggio, dimostrando il vuoto della loro esistenza e facendo risplendere ai loro occhi la sublimità del Cattolicesimo. Fiero e gioioso, affermava: «Voglio essere un degno figlio della Chiesa!».

“Cattolici, che cosa fate?”

Aveva 18 anni quando giunse a Parigi a frequentare filosofia e storia alla Sorbona. Lì si trovò isolato tra studenti senza Dio, ma presto trovò amicizie eccezionali, in uomini cattolici di cultura e di scienza: il fisico André Ampère, lo scrittore politico Chateaubriand, il filosofo Simon Ballanche. Ebbe il suo direttore spirituale nell’abate Marduel, prete umile e dottissimo. Infine scoprì il padre Henri Lacordaire, un tempo incredulo, ora sacerdote di Cristo e domenicano.

A contatto con loro, Federico maturò il progetto di portare il Cristo nella cultura, nella scuola, nell’università, nei problemi sociali, nella Francia, vero apostolo dei tempi nuovi con la forza della fede e della carità. Il suo cuore di ventenne si riempì di preoccupazioni apostoliche. Si sentiva preso da sacro “furore” quando i suoi compagni di studi o alcuni professori, materialisti, atei e socialisti, definivano il Cattolicesimo come una vecchia favola. Con i suoi amici, cattolici come lui, sapeva avvincere e convincere, quando parlava, rispettoso, forte, ardente.

Un giorno (era il 1833), Federico urlò ai suoi amici: «Voi che vi vantate di essere cattolici, che cosa fate? Dove sono le opere che dimostrano la vostra fede e che possono farla rispettare e amare?». Era sconvolto, come i credenti migliori, dalle enormi ricchezze concentrate in pochi e dalla dilagante miseria di molti. Ma come agire?

Esisteva un circolo studentesco di giovani intelligenti e generosi; e c’era pure la “Società di buoni studi” diretta dal prof. Bailly, fondatore del giornale La Tribune Catholique che si prefiggeva di riportare a Cristo studenti e operai lontani da Dio a causa delle false ideologie del tempo. Ozanam e amici cominciarono a partecipare alle “conferenze di storia”, attorno al Bailly: si parlava di cultura, di filosofia e di scienza da ricondurre a Cristo. Poi una sera, uno dei presenti, Le Taillandier, disse che occorreva qualcosa di diverso per testimoniare e annunciare Cristo.

Federico esclamò con tono impressionante: «La benedizione dei poveri è quella di Dio... andiamo ai poveri!». Si decise subito una nuova “conferenza” che si sarebbe proposta di servire i poveri. Era il 23 aprile 1833, ventesimo compleanno di Federico: erano nate le “Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli”.

Nei tuguri e sulla cattedra

Quei giovani si recarono al quartiere Mouffetard nel convento di madre Rosalia Rendu, una Figlia della Carità ormai leggendaria a Parigi per la sua dedizione ai poveri. La suora guardò quei “signorini” della Sorbona: si accorse del loro cuore fervente, pieno di Gesù, e accordò loro fiducia. “Vogliono andare ai poveri? Bene – pensò madre Rosalia –: ecco per loro una lista di indirizzi. Si vedrà subito se questi ragazzi non proveranno nausea a salire e scendere le scale pericolanti, a penetrare i bugigattoli maleodoranti, a visitare tuguri”.

Federico e i suoi amici accettarono con gioia. Era il maggio 1833 e la prima Conferenza di San Vincenzo cominciava la sua attività. Fu un successo. Non solo perseverarono nel portare soccorso materiale e spirituale ai poveri, nel risolvere i loro problemi, ma cominciarono subito a diffondere la loro opera. Non erano rivoluzionari dalle opere elaborate a tavolino, come Marx ed Engels, ma dei “pragmatici”: umilmente, modestamente, con la forza dirompente dell’amore, stabilivano contatti tra persona e persona, tra  ricchi e poveri. La visita a domicilio era il loro grande mezzo, durante la quale, oltre a consegnare un paniere di cose buone a chi era in necessità, si parlava a questi “vinti” con affetto, si restituiva loro la dignità umana, si cercavano soluzioni alle loro difficoltà. L’iniziativa di Federico e i suoi amici, fece rapidamente scuola.

Si istituirono Conferenze di San Vincenzo non solo a Parigi, ma in tutta la Francia. Nel 1839 c’erano già in Francia 39 conferenze, nel 1844 arrivavano a 141. In Italia fu lo stesso Federico Ozanam a fondare Conferenze durante i suoi viaggi. Dilagheranno in Europa, diffondendo la carità e contribuendo a formare i migliori uomini del movimento cattolico. Ma Federico non aveva dimenticato i suoi studi.

Laureatosi giovanissimo alla Sorbona, quasi subito, appena ventiquattrenne, cominciò a insegnarvi come docente. Portava Cristo nei tuguri e lo portava sulla cattedra: con la carità verso i poveri, con la luce della sua verità tra i colleghi della scuola e gli studenti. Guidato dal padre Lacordaire, il domenicano restauratore dell’Ordine di san Domenico in Francia, Federico Ozanam, in qualità di storico dell’età dei barbari, dimostrò con lezioni di altissimo livello scientifico – ancora oggi stupende –, che l’Europa era nata dall’opera evangelizzatrice e civilizzatrice della Chiesa. Per tutta la vita, parallelamente all’opera caritativa e sociale, egli continuò la duplice carriera di professore prestigioso e di storico eruditissimo. Pubblicò libri sui poeti francescani, su alcuni scrittori germanici, sulla conversione dei barbari a Cristo. Padre Lacordaire lo sognava predicatore della verità nell’Ordine di san Domenico, ma Federico intuì che quella non era la sua strada. Trentenne, sposò Amelia, figlia del rettore dell’università di Lione, che gli diede una bambina: Maria. Amelia e Maria furono la sua consolazione nelle battaglie per la verità e nell’impegno più vivo di carità.

I suoi studenti lo vedevano salire le scale della Sorbona: fragile di salute, sembrava dovesse spezzarsi. E pur sapendo di dover presto morire, moltiplicava talenti (cf Mt 25,14ss) ed energie con generosità senza limiti. «Ha il fuoco sacro – dirà qualcuno di lui –, una tale convinzione che ci convince e ci commuove. Ad ascoltarlo, sentiamo le lacrime venirci agli occhi».

Anche papa Pio IX (1846-1878), quando lo vide e lo sentì, ne rimase affascinato. Davvero era posseduto da Cristo – dalle sue opere, infatti, si può estrarre un florilegio di testi che lo pongono tra i grandi mistici – e sia parlando che scrivendo, faceva sentire la presenza in lui dell’uomo-Dio crocifisso che è luce e fuoco.

“Io Gesù lo amo”

Federico aveva cominciato a ricevere questo Dio, passione ardente della sua esistenza, nella prima Comunione eucaristica, suo primo incontro con Lui a 12 anni, e aveva scritto sul suo taccuino: «O giorno di felicità! La mia lingua rimanga attaccata al mio palato se mai ti dimenticassi!». Da allora la Messa-Comunione si era fatta sempre più frequente, fino a diventare quotidiana. Amava ricevere Gesù-Ostia in Notre-Dame a Parigi, ma dovunque passò, in Francia, in Belgio, in Italia, a Roma, come nel più umile paese della costa del Tirreno, molti lo videro accostarsi a ricevere Gesù Pane di vita con l’ardore e la gioia di un assetato che si avvicina alla sorgente.

Diceva: «È ben vero che la virtù del Sacrificio eucaristico non si affievolisce mai e che il Salvatore è presente nella sua Chiesa come nei fervidi primi secoli». Ai poveri che soccorreva, dopo averli aiutati a risolvere i loro problemi, raccomandava: «Gesù, vi aspetta ogni giorno come il giorno della vostra prima Comunione. Andate a Lui con fiducia».

Alla scuola di Ozanam, nelle sue “Conferenze” molti uomini scoprirono il problema sociale. Egli stesso diffuse i principi che saranno quelli della dottrina sociale della Chiesa: il rifiuto del liberalismo ideologico ed economico, che fa dell’uomo una merce; l’affermazione che l’operaio è persona con precisi diritti (e doveri); la convinzione che la carità deve tradursi presto, subito, nelle riforme sociali... Il suo ultimo grido, dalle pagine ardenti che scriveva, sintetizza quel “fuoco sacro” che lo aveva sempre animato: «Andiamo al popolo, a quel popolo che non ci conosce!». Egli voleva andare al popolo con la luce di Cristo Maestro e unico Salvatore.

Trascorse l’ultima estate, nel 1853, a San Jacopo, presso Livorno, all’aria marina, in cerca di salute. Nel mese di giugno era uscito uno dei suoi capolavori, I poeti francescani, che gli aprì le porte dell’Accademia della Crusca. Nessun titolo, dei tanti che aveva, gli fece tanto piacere quanto l’affiliazione all’Ordine di san Francesco, che gli giunse proprio a San Jacopo.

Ma la morte lo fermò a 40 anni appena, l’8 settembre 1853, festa della Natività di Maria, giorno a lui gradito per la sua affezione grande alla Madonna che l’aveva animato sin da fanciullo. Accogliendo radioso in volto, per l’ultima volta, Gesù, Viatico per la Vita eterna, disse: «Oh, perché temerlo? Io Gesù lo amo tanto!».

Il Santo Padre Giovanni Paolo II, il 23 agosto 1997, giornata dei giovani a Parigi in Notre-Dame, lo iscrisse tra i beati del Cielo. Sulla sua tomba è scritto di lui: «Conquisitor iuvenum in militiam Christi [Trascinatore dei giovani nella milizia di Cristo]».

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