SPIRITUALITÀ
Immagine di Gesù tra i pellerossa. Santa Caterina Tekakwitha
dal Numero 15 del 14 aprile 2024
di Paolo Risso

Non sono mia. Mi sono donata a Gesù. Lui deve essere il mio unico amore.

A Ossenernon – oggi Auriesville –, un villaggio delle terre dei Grandi Laghi, quelli che oggi segnano il confine tra gli Stati Uniti e il Canada, verso il 1650, il capo del popolo dei Kanienkehaka, più noto come Agniers o Mohawk, sposò Kaenta con una gran festa, come si usava tra gli indiani d’America. Nel 1656, nacque una bambina, Tekakwitha; due anni dopo un bambino, Otsikenta. 


Kaenta, che aveva ricevuto il Battesimo quando erano giunti i primi missionari cattolici in quella zona, avrebbe voluto che i suoi figli fossero anch’essi battezzati e crescessero da cristiani, ma ormai, a seguito delle stragi che c’erano state, era alquanto difficile che altri missionari giungessero in quelle terre. Tuttavia non si scoraggiò, e iniziò a pregare Dio affinché i suoi figli mai avessero a contaminarsi con i riti pagani e affinché potessero conoscere l’unica vera fede ed essere battezzati nella Chiesa Cattolica. Nel 1660 il vaiolo, diffusosi con violenza nei villaggi dei pellerossa, uccise il capo, sua moglie e il bambino, mentre Tekakwitha sopravvisse, rimanendo però con il volto segnato dalle cicatrici della malattia. La bambina venne adottata dallo zio Iowerano, il nuovo capo del villaggio. Cosa sarebbe stato di lei ora che viveva in una famiglia pagana?


La “storia di Gesù”
Tekakwitha cresceva. Aveva un temperamento piuttosto chiuso, ma era obbediente e pronta ad aiutare gli altri con tanta generosità. Nel 1667, quando ella aveva 11 anni, finalmente tre “vestenera” – così i pellerossa chiamavano i missionari – poterono nuovamente giungere nel villaggio di Ossenernon. Il capo li accolse benignamente, fumando con loro il “calumet” della pace. I missionari fecero subito il grande annuncio: «Dio, per il suo immenso amore, ha mandato il suo Figlio sulla terra per portare la verità, per patire e morire per donare la salvezza eterna agli uomini che l’avrebbero accolta». Tekakwitha stava ad ascoltare in un angolo la storia di quel Gesù di Nazareth che amava tutti, proprio tutti, pellerossa compresi, fino a dare la vita per loro sulla Croce. Quella storia la segnò per sempre. Per di più – ecco la grande scoperta – quel Gesù era il Risorto, il Vivente, vicino a ogni uomo, dunque anche vicino a lei. 


Subito credette in Lui e non si sentì più sola poiché al suo fianco c’era Gesù vivo; e se Lui amava tutti, tutti dovevano amarsi tra loro: non si doveva né uccidere né odiare e neppure compiere i sacrifici umani, cose che da sempre le ripugnavano fino alla nausea.


Qualche tempo dopo, gli zii le imposero di sposare un giovane scelto da loro, poiché ella era la figlia del “grande capo”. Si rifiutò, affermando che non voleva sposarsi. La considerarono pazza, le cercarono altri compagni, ottenendo però sempre il medesimo risultato. Dunque iniziarono a considerarla pazza davvero e, invece di trattarla come una figlia, presero a trattarla come una schiava sottoponendola ai lavori più duri: accettò tutto per amore di Gesù, che, pur conoscendo ancora poco, già le parlava al cuore, come a dirle: “Tu sei mia”.


Nel 1670 – Tekakwitha aveva 14 anni – i missionari impiantarono una cappella dedicata a san Pietro e iniziarono il catechismo regolare. Numerose persone del villaggio aderirono al Cattolicesimo, così che la cappella divenne troppo piccola per contenere i fedeli che chiedevano il Battesimo. Appena poteva, Tekakwitha usciva furtivamente di casa e andava ad ascoltare le lezioni dei padri, seduta sotto una finestra. 


Presto, però, i pellerossa rimasti pagani iniziarono a perseguitare i convertiti a Cristo, così che nel giugno 1673, molti di essi si trasferirono a Sault St-Louis, non lontano dalle sponde del fiume San Lorenzo. La ragazza, ormai diciassettenne, si sentì più sola, ma continuò a frequentare la chiesetta cattolica, sentendo crescere in lei il desiderio di appartenere alla piccola comunità che ora stava di nuovo rinascendo a Ossenernon. 


Un giorno corse incontro al padre Jacques de Lamberville, di passaggio davanti alla sua casa, e gli chiese di essere battezzata. Cominciò quindi a frequentare le lezioni di catechismo, senza curarsi delle aspre reazioni degli zii. Il padre Jacques la trovò già assai preparata e si rese conto che era una vera innamorata di Gesù: ogni sua parola diventava per lei subito regola di vita. Il 18 aprile 1676, solennità di Pasqua, Tekakwitha ricevette il Battesimo prendendo il nome di Caterina: Kateri, per gli amici. Era davvero felice ora che a 20 anni era divenuta figlia di Dio e sorella di Gesù, ora che era abitata da Lui con la sua grazia divina. Che le importava se lo zio Iowerano continuava a trattarla da schiava assegnandole i lavori più pesanti?


Il problema più grave si verificò quando disse allo zio che di domenica, giorno del suo Signore Crocifisso e Risorto, non avrebbe lavorato per andare alla Santa Messa, per pregare e dedicarsi a opere buone. Le dissero: «Non lavori? Dunque non mangi!». Kateri, tutte le domeniche, pur di non mancare alla Santa Messa, sopportava di digiunare serenamente, senza lamentarsi. Vedendo che non cambiava idea, gli zii le scatenarono contro i ragazzi del villaggio che la prendevano a sassate quando passava e le mandavano incontro degli ubriachi, quando tornava dai campi, durante la settimana. Kateri resisteva: «Tutto per amor tuo, Gesù!».


“Sono tua, per sempre”
Il padre de Lamberville, vedendo che la vita della fanciulla diveniva impossibile, la fece fuggire nella missione di Sault St-Louis, dove molti – i suoi amici di un tempo – l’attendevano festanti. Kateri si stabilì presso un’amica più anziana, Anastasia, che si offrì di farle da catechista sotto la guida del padre Cholenec. La notte di Natale 1677 poté ricevere per la prima volta Gesù nella santa Comunione. Nessuno poté più fermarla sulla via della santità: ogni giorno pregava lungamente presso il Tabernacolo, si confessava spesso e spesso riceveva Gesù Eucaristico; iniziò a condurre una vita semplice e povera, buttando via le collane e le cinture così care alla sua gente, per vestire nel modo più sobrio possibile. 
Nel luglio del 1678 si recò a Montreal con altri giovani della missione a vendere oggettini da lei preparati. Insieme alle altre ragazze, fu ospite delle suore di Notre Dame: sentì il fascino della vita consacrata a Gesù e al servizio del prossimo. «Dunque – diceva – non era una mia fantasia quella di non volermi sposare, se altre donne hanno fatto questa scelta. Quanto è grande e amato questo Gesù, che lega a sé, come l’unico amore, tante persone».


Decise che sarebbe vissuta anch’ella così, come le suore... Ma l’avrebbero accettata, lei la cui salute era così fragile, lei che discendeva da una delle tribù più crudeli del Nord America? Si fece spiegare da loro che cosa significasse consacrarsi a Gesù e, quando tornò a Sault St-Louis, andò subito dal padre Cholenec a dirgli che ella intendeva appartenere tutta e per sempre al Signore: «Voglio – gli disse – che Gesù solo sia il mio Sposo per sempre». Il missionario rimase molto sorpreso, anche perché non aveva ancora osato fare una simile proposta a nessuna ragazza pellerossa. Anastasia, saputolo, le disse: «Cercati piuttosto un bravo giovane che provveda al tuo sostentamento». Kateri le rispose: «Gesù solo sarà il mio Sposo e se, per suo amore, dovessi patire povertà e fame, sarò contenta di rassomigliare anche in questo a Lui, che fu povero per nostro amore». Il Padre la seguì ancora più a fondo nel suo cammino e spiegò alle altre giovani il significato della scelta di Kateri, affinché non la tormentassero con le loro domande, ma anzi guardassero a lei come a un modello di vita.


Finalmente il 25 marzo 1679, festa dell’Annunciazione di Maria Santissima, Kateri unì il suo “sì” a quello della Madonna, offrendo a Dio il voto perpetuo di verginità: «Ora sono tua, Gesù, e Maria è la sola mia Madre su questa terra». Da quel momento intensificò la preghiera e la penitenza offrendosi, con Gesù Crocifisso, come vittima di espiazione per il tempo che aveva passato a Ossenernon e per i peccati del suo popolo, chiedendone a Dio la conversione.


Le sue giornate si riempirono della recita del santo Rosario, pregato nel silenzio della sua casa o camminando per la campagna, anche in mezzo alla neve. Apprese dalla lettura della vita dei santi come questi facessero penitenza con il cilicio e la disciplina e si costruì questi “strumenti” per usarli su di sé allo scopo di ottenere da Dio la sua santificazione e la conversione del mondo intero. Niente era eccessivo per lei. Uno sguardo al crocifisso che teneva nella sua stanzetta e che portava sempre con sé bastava a ricordarle che Gesù non aveva risparmiato nulla per la salvezza degli uomini e che quindi anch’ella doveva donargli in cambio tutta se stessa.


Un giorno Anastasia scoprì un fascio di spine sparso nel suo letto e le disse che non poteva fare quelle cose senza il permesso del suo confessore. Kateri andò subito dal padre Cholenec ad accusarsene, come di una colpa. Il missionario si commosse sino alle lacrime e le proibì severamente di continuare. Kateri obbedì come alla voce di Dio. 


Nella primavera del 1680 la sua salute, già fragile da quando a quattro anni aveva sofferto il vaiolo, non resse più: si pose a letto senza un lamento e attese, con il Rosario in mano, lo Sposo ormai vicino. Il martedì della Settimana Santa, padre Cholenec le porto Gesù Pane di vita, come Viatico per l’eternità; l’indomani le amministrò l’Estrema Unzione. Poi tutto il villaggio venne, in una processione interminabile, a salutarla per l’ultima volta. Kateri ascoltò tutti e disse a ciascuno: «Ama Gesù e fa’ che tutti lo amino». Alle 3.00 del pomeriggio spirava serena all’età di 24 anni. 


Un quarto d’ora dopo, il missionario e quelli che erano ancora presso di lei, diedero un grido di meraviglia: dal volto di Kateri erano scomparse le macchie lasciatele dal vaiolo. Dio rivelava a tutti, anche fisicamente, la bellezza della sua vita verginale. Il Venerdì Santo fu tumulata nella chiesa della missione dove ancora oggi la venerano i fedeli, discendenti degli indiani che ella conosceva e amava. Il 3 gennaio 1943, il Santo Padre Pio X ne riconosceva l’eroicità, proclamandola venerabile. La Chiesa, con la beatificazione, e ancor più con la canonizzazione, l’ha elevata all’onore degli altari. Kateri Tekakwitha era stata – e lo è tuttora – immagine viva di Gesù tra i pellerossa ed è modello di vita per noi, soprattutto per il suo amore totale a Gesù solo.  

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