FEDE E CULTURA
Ulisse, le Sirene e la tentazione
dal Numero 2 del 12 gennaio 2014
di Antonio Farina

È curioso che degli ottimi spunti sul come affrontare e vincere la tentazione ci vengano dall’epica, in particolare dalla celebre “Odissea”. È il caso del passaggio della nave di Ulisse nel luogo delle Sirene incantatrici: per non cedere alla tentazione egli si fa legare all’albero della nave... cosa può significare ciò per un cristiano?

Ben otto secoli prima della nascita di Nostro Signore Gesù Cristo il grande poeta greco Omero scrisse l’Odissea, un poema epico in 24 libri in cui si narra l’avventuroso ritorno in patria di Ulisse (detto anche Odisseo), dopo la caduta di Troia. La caratteristica di questo poema è senz’altro l’esaltazione dei valori eroici di Ulisse presentato come un valoroso combattente, puro, onesto, forte, assetato di conoscenza, che sfida nemici e pericoli innumerevoli perseguitato com’era dal dio del mare Poseidon. Naufragi, battaglie, Ciclopi, l’incontro sinistro e sconvolgente con la maga Circe, incantesimi e trasformazioni sono gli ingredienti inimitabili che hanno fatto dell’Odissea uno dei capolavori assoluti della storia letteraria di tutti i tempi ed hanno consegnato l’eroe Ulisse alla leggenda. È interessante osservare come Omero, pur essendo condizionato dalla cultura paludata ed un po’ stucchevole della mitologia greca, fatta di intrighi, di complotti, di amori perfino, tra “dèi” (molto poco trascendenti) e uomini, si riesce a far largo tra gli stereotipi classici, creando un eroe singolare, umanissimo, animato da sentimenti comunissimi, umile e nello stesso tempo nobile: Ulisse. Proprio la sua umanità ed anche – se vogliamo – la sua fragilità di creatura che si muove e vive ed ama in un universo pullulante di divinità, di semi-dèi, di spiritelli volubili, ora amici benevoli ora ostili e tenebrosi, lo conduce all’incontro ineludibile con la tentazione.
Ulisse, re di Itaca, è cosciente di essere guida ed esempio per i suoi compagni d’avventura e di navigazione e si sottopone volontariamente alla prova. Decide di affrontare senza la protezione della cera nelle orecchie il canto ammaliatore delle Sirene, esseri mostruosi dal corpo d’uccello e dalla testa di donna[1] che infestavano le rive del Tirreno tra il Circeo e Scilla e che allettavano, menando in rovina, tutti coloro che malauguratamente ne ascoltavano la voce. Ecco qui di seguito uno stralcio, versione in prosa, del capitolo XII nel quale Omero descrive il fatale incontro di Ulisse con le Sirene preparato dalla maga Circe: «“Ed io vi mostrerò il viaggio e vi darò ogni altro consiglio e indicazione. Così non avrete a patire per qualche inganno funesto o sul mare o per terra, andando incontro a guai e sventure. Dapprima arriverai dalle Sirene che incantano tutti gli uomini, chiunque giunga da loro. Se uno, cioè, senza sapere si avvicina e ascolta la voce delle Sirene, non gli si fa più incontro la moglie al suo ritorno a casa, non gli fanno festa i teneri figli, ma le Sirene là lo affascinano con il canto melodioso, sedendo nel prato. E in giro c’è un grande mucchio d’ossa di uomini che imputridiscono, gli si disfa e consuma la pelle dattorno. Ma tu passa oltre, spalma sulle orecchie dei compagni, ammorbidendola, la cera dolce come il miele, perché nessuno degli altri deve udire. Tu invece ascolta pure se vuoi, ma ti leghino nella nave le mani e i piedi, stando là diritto alla base dell’albero, e a questo restino allacciate le funi. Così potrai ascoltare con viva gioia la voce delle due Sirene. E se tu preghi i compagni e gli ordini di scioglierti, essi allora ti leghino ancora di più con le corde. E quando i compagni avranno spinto la nave oltre le Sirene, qui non ti voglio più dire con precisione quale sarà la tua strada, ma decidi da te”.
Ed io mi recavo alla nave, incitavo i compagni a salire anche loro, a sciogliere le gomene di poppa. Essi pronti s’imbarcavano e sedevano agli scalmi. E così, uno dietro l’altro, battevano coi remi il grigio mare. Allora io parlavo tra i compagni, addolorato nel profondo del cuore: “Amici, non uno o due soltanto devono sapere le profezie che Circe mi disse, la divina tra le dee, ma ve le riferirò perché le sappiate anche voi. Così periremo tutti insieme oppure riusciremo a fuggire via, schivando il destino di morte. Mi consigliava, ella, per prima cosa di evitare il canto delle Sirene divine e il prato pieno di fiori. Diceva che io solo ne ascoltassi la voce. Ma voi legatemi con una corda fino a farmi male, perché resti fermo nello stesso posto, in piedi alla base dell’albero, e a questo rimangano allacciate le funi. E se vi prego e vi ordino di sciogliermi, voi stringetemi ancora di più con le corde. Così dicevo spiegando ogni cosa ai compagni. E intanto velocemente giunse la nave all’isola delle due Sirene, un vento favorevole la spingeva. Allora subito il vento cessò e venne la bonaccia tranquilla, un dio addormentò le onde. Si alzavano in piedi i compagni, ammainarono la vela e la gettarono in fondo alla nave. Poi sedevano ai remi e facevano biancheggiare l’acqua con le lisce pale d’abete. Ed io tagliavo una grossa forma di cera in piccoli pezzi con l’affilata arma di bronzo e li schiacciavo con le mani robuste. E ben presto si ammolliva la cera poiché la vinceva la grande mia forza, e lo splendore del Sole sovrano, figlio di Iperione. Uno dopo l’altro, la spalmai sulle orecchie a tutti i compagni. Essi mi legarono nella nave le mani e i piedi, stando io là ritto alla base dell’albero e a questo allacciavano le funi. Poi si sedevano e andavano battendo coi remi il mare. Ma quando ero tanto lontano quanto si fa sentire uno che grida, e rapidamente loro spingevano, non sfuggì alle Sirene che passava vicino una celere nave, e intonavano un canto melodioso: “Vieni qui, Odisseo glorioso, grande vanto degli Achei ferma la nave, se vuoi ascoltare la nostra voce. Nessuno mai è passato di qui con la nave senza prima udire dalle nostre bocche la voce dal dolce suono ma poi se ne va con viva gioia e conosce più cose. Noi sappiamo tutto quello che nell’ampia pianura di Troia soffrirono gli Argivi e i Troiani per volontà degli dèi. E sappiamo anche quanto avviene sulla terra che nutre tanta gente”. Così dicevano emettendo la bella voce. Ed io volevo ascoltare e ordinavo ai compagni di sciogliermi e facevo segni con gli occhi. Quelli curvandosi remavano. Subito si alzavano in piedi Perimede ed Euriloco, e mi legavano con molte corde e mi stringevano ancora di più. Dopo che furono passati oltre, e non udivamo più la voce delle Sirene e neppure il canto, in fretta i miei fedeli compagni si tolsero via la cera che avevo spalmato loro sulle orecchie, e sciolsero me dai legami» (Odissea, Trad. Ippolito Pindemonte).
Coinvolgente e di grande suggestione la lotta interiore del mitico figlio di Laerte contro l’ipnotico e suadente lamento delle Sirene. Cosa possiamo imparare dalle sue gesta? C’è qualcosa di spirituale ed universale in questo racconto così ricco di pathos da sembrare la scena di un film? Ebbene Omero che è vissuto in epoca precristiana sembra però aver compreso bene tre questioni fondamentali:
1) Non c’è modo di resistere alle tentazioni con la sola forza della volontà per quanto eroica, provata, formidabile come quella di Ulisse.
2) Per gli uomini comuni, ma anche per quelli eccezionali, è conveniente fuggire l’occasione del peccato, tappandosi le orecchie e se necessario anche gli occhi, anzi remando di gran voga per allontanarsi dal tentatore o dalle tentatrici.
3) Anche quando la volontà ha ceduto – come nel caso del prode Ulisse – ci vuole qualcuno che “vincoli” con delle robuste corde la nostra natura ribelle per evitare che cada definitivamente preda del male.
Nella sua spontanea accettazione della prova, Ulisse ci ricorda innanzitutto l’eroismo di Nostro Signore Gesù Cristo il quale per insegnare a noi, suoi fratelli e compagni, come si lotta contro le tentazioni si è fatto non legare, ma inchiodare al Legno della Croce. Egli era immune alle tentazioni ma ha accettato lo stesso di affrontarle nel deserto e ancor più sul Calvario per essere d’esempio all’umanità. Procedendo in questo simbolismo ravvisiamo nell’albero maestro della nave proprio la figura di Gesù albero maestro della Chiesa al quale dobbiamo legarci in modo stretto con le funi mistiche dei Sacramenti, della Preghiera, del Santo Rosario che, come lo definisce il beato Bartolo Longo è la «catena dolce che ci rannoda a Dio». Solo legandoci al Signore e con la forza della grazia Santificante avremo la certezza di non soccombere ad ogni influsso malefico.
Individuiamo infine con chiarezza anche la posizione dell’uomo moderno, bersagliato, vessato, assediato dalle voci lascive ed allettanti di mille Sirene. Le Sirene di quelli che promettono la felicità sulla terra in cambio della propria anima. Le Sirene di coloro che invitano ad abbandonare le regole morali, “tanto non servono a niente e non le segue più nessuno”. Le Sirene degli imbonitori della Tv, della pubblicità, del consumismo, della cultura perfino che spingono all’edonismo, alla cura del corpo, ai piaceri sensuali, allo stordimento dello spirito perché, secondo loro, la vita è breve e tutto finisce con la morte. Il “Carpe diem” di Orazio cioè “cogli il momento fuggevole e non ti curare del tuo destino eterno” è la parola d’ordine imperante del secolo presente. In questo meccanismo letale e corrosivo vengono macinate molte coscienze, soprattutto quelle dei giovani che si affacciano alla vita sempre più spesso spiritualmente disarmati perché nelle famiglie e nelle scuole non si trasmette più la fede.
Ulisse, il più astuto degli eroi greci, ci fornisce anche l’unica soluzione al problema: facciamoci legare al Legno della Croce insieme a Gesù.

[1] Solo nel Medioevo le Sirene furono raffigurate come creature dal corpo per metà di donna e per metà pesce.

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