FEDE E CULTURA
Ecologismo e climatismo: le nuove ideologie politiche
dal Numero 40 del 31 ottobre 2021
di Fabio Trevisan

La questione ambientale che oggi riempie le agende politiche degli Stati, ha origini storiche e radici ideologiche ben definibili. Studiando lo sviluppo dell’ambientalismo americano, per esempio, è possibile rendersi conto di come movimenti d’interesse prettamente ambientale si siano via via evoluti in lobbies economicamente potenti e politicamente schierate anche in temi di natura non ecologica. Nemmeno la religione è esclusa, dal momento che l’ideologia ecologista riposa su una visione protestante dell’uomo e del mondo.

Alcuni cenni storici essenziali

Cerchiamo di comprendere l’evoluzione dell’ecologismo e del climatismo negli Stati Uniti. A tal fine è necessario anzitutto analizzare, seppur a brevi cenni, la portata del movimento ambientalista, almeno a partire dalla fine del XIX secolo, quando sorsero organizzazioni a tutela del vasto territorio americano, come ad esempio il Sierra Club, fondato nel 1892 in California. Questa organizzazione ambientalista rappresentava già nel suo motto: «Explore, enjoy and protect the planet» l’ardore e il credo del suo fondatore, il naturalista scozzese-americano John Muir (1838-1914). Muir, denominato anche “il padre dei parchi nazionali”, primo fra tutti il primo parco naturale della storia degli USA, il celebre Yellowstone Park, non era soltanto un ingegnere appassionato di geologia, botanica e zoologia, ma era soprattutto uno scrittore e pubblicista, a cui si deve lo slancio per la preservazione della cosiddetta “natura selvaggia” (wilderness). Dopo di lui, infatti, sorsero sul territorio statunitense organizzazioni ambientaliste come la Wilderness Society (1935) o la Defenders of Wildlife (1947), precorritrici di altre associazioni sul territorio, tese a sottolineare l’importanza della conservazione e preservazione della natura. Sull’attivismo di John Muir, basta menzionare l’attenzione di milioni di lettori ai suoi libri riguardanti osservazioni e avventure naturalistiche, in particolare nella Sierra Nevada, dalla quale prese il nome la successiva organizzazione. 

L’ideologia della Wilderness fu talmente potente e attraente che un suo biografo, Steven J. Holmes, lecturer alla Harvard University, parlò di Muir come «un santo patrono dell’attività ambientalista americana». In effetti, l’entusiasmo e il fervore appassionato che trasparivano dai suoi scritti non hanno suscitato solo l’ammirazione di innumerevoli schiere di lettori, ma hanno ispirato politici, ecologisti, profeti religiosi, divenendo un costante punto di riferimento nell’elaborazione di idee sulla relazione uomo-ambiente e, più precisamente, sul rapporto cultura-natura. 

Un altro autore, William Anderson, ha parlato di Muir come «l’archetipo della nostra unione con la terra», così come Donald Worster, Professore di Storia americana all’Università del Kansas, ha riconosciuto a lui la portata missionaria di «salvare il territorio americano dalla totale resa al materialismo». La sua vasta popolarità è stata ed è talmente diffusa che, ancora oggi, lo si ricorda attraverso il “John Muir Day”, il 21 aprile di ogni anno. 

Un’altra eminente figura dell’ambientalismo americano fu Theodore Roosevelt (1858-1919), amico di John Muir, 26° Presidente degli Stati Uniti dal 1901 al 1909, che istituì il Servizio forestale degli Stati Uniti e favorì la creazione dei primi parchi nazionali. Memorabile il suo discorso, nel maggio 1908 alla Casa Bianca, in cui parlò dell’impegno alla conservazione del patrimonio naturalistico come un dovere imprescindibile della Nazione. Roosevelt è considerato un “Padre della Patria”, tanto che la sua figura è scolpita a Mount Rushmore, nel Sud Dakota, assieme a George Washington, Abraham Lincoln e Thomas Jefferson. 

Potenti alleati di Theodore Roosevelt, solo per citarne alcuni, furono l’antropologo, naturalista e scrittore, George Bird Grinnell (1849-1938) e il politico e guardia forestale Gifford Pinchot (1865-1946), i quali fondarono nel 1887, assieme a Roosevelt, il Boone and Crockett Club, che raccolse un importante numero di ambientalisti, scienziati, politici e intellettuali, dediti alla preservazione dell’American Wildlands. Successivamente, il cugino di Theodore, Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), 32° Presidente degli Stati Uniti, conosciuto per il New Deal dopo la crisi di Wall Street del 1929, fu a sua volta un tenace ambientalista, tanto che il suo Civilian Conservative Corps impiegò milioni di giovani americani nelle zone rurali e selvagge americane. La sua amministrazione perseguì un risoluto programma ecologico, culminato nella Wildlife Restoration Act del 1937. 

Sin dagli albori, quindi, la questione ambientale negli USA ha visto un’alleanza tra eminenti figure politiche e naturalisti, tra scienziati e scrittori, quasi a suggellare un patto per la conservazione del territorio, dai suoi grandi laghi alle montagne, dai canyon alle riserve naturali, dalla protezione dei parchi a tutta la flora e fauna circostante. 

 

Dalle prime organizzazioni al movimento ambientalista moderno

Fino ai primi anni ’20 del XX secolo sorsero sull’enorme territorio statunitense una serie di organizzazioni ambientaliste, come ad esempio la National Audobon Society e l’Izaak Walton League, le quali si prefiggevano inizialmente il compito della preservazione del patrimonio ornitologico e ittico della Nazione. La National Audobon Society (fondata nel 1905) prendeva infatti il nome dal famoso ornitologo, illustratore e pittore franco-americano John James Audobon (1785-1851), che illustrò, con grande successo, la varietà degli uccelli dell’America; l’Izaak Walton League (fondata nel 1922) si riferiva allo scrittore britannico Izaak Walton (1593-1683), che nel suo libro di successo: The compleat angler (Il perfetto pescatore) illustrava l’opportunità della pesca e delle attività ricreative all’aperto. Entrambe le organizzazioni avevano nel tempo ampliato i loro target iniziali, divenendo non solo preservatrici degli uccelli (organizzando, ad esempio, escursioni birdwatching) o delle attività a cielo aperto come la pesca, ma occupandosi della conservazione degli ecosistemi o, come si evince dal logo della Izaak Walton, della difesa del suolo, dell’aria, delle foreste, dell’acqua e della wildlife,basti pensare all’istituzione già nel 1924 del Mississipi River National Wildlife Refuge. 

Con il trascorrere del tempo queste organizzazioni ambientaliste statunitensi hanno visto incrementare le risorse finanziarie, le alleanze economiche e politiche, che hanno permesso non solo di divenire importanti lobbies, annoverando tra le loro fila illustri giuristi, scrittori, politici, naturalisti, ma di intessere stretti rapporti con i movimenti ambientalisti moderni. In particolare va menzionata la figura della biologa statunitense Rachel Carson (1907-1964), appartenente alla Audobon Society e autrice, nel 1962, di Silent spring (Primavera silenziosa), un volume che divenne punto di riferimento per i movimenti ambientalisti moderni al punto da condizionare la stessa politica nazionale americana in merito alla condanna dell’uso dei fitofarmaci, pesticidi, in particolare del famoso insetticida DDT, che poteva suscitare effetti cancerogeni sull’uomo. Anche la Izaak Walton League ha conseguito, nel tempo, successi politici di rilievo, avendo concorso concretamente e influenzando, ad esempio, leggi federali come la Clean Water Act del 1972 (sull’inquinamento delle acque) o la Save our streams,programma incentrato soprattutto sul monitoraggio e la qualità dell’ambiente. 

Dagli anni ’60 del XX secolo le questioni ambientali hanno incluso via via concetti come “sostenibilità”, “ecologia profonda”, “giustizia ambientale”, rinsaldando le prime organizzazioni ambientaliste a programmi e ideologie sempre più pervasive e collegando tali movimenti a campagne e attività dagli aspetti socio-politici sempre più marcati, in relazione ai temi della pace, dei diritti umani e degli animali, spesso solidarizzando con contestazioni (emblematica quella del rivoluzionario ’68, che ha visto una forte crescita proprio negli Stati Uniti) e battaglie non solo di natura ecologica. 

Altre rilevanti questioni di cui queste organizzazioni ambientaliste si sono occupate hanno riguardato varie tematiche, dal “buco dell’ozono” alle “piogge acide” e, più recentemente, l’“effetto serra” e il “riscaldamento globale”. Il panorama dei movimenti ambientalisti moderni che vanno, ad esempio, dal WWF-Stati Uniti del 1961 ai Friends of the Earth del 1969 fino a Greenpeace USA del 1972, ha visto così un ampio spettro di iniziative, come le proteste contro l’energia nucleare, l’inquinamento petrolifero, l’emissione di anidride carbonica e altri gas ad effetto serra.

 

L’ideologia della “natura selvaggia” (wilderness)

Come ha ben descritto il Direttore di Survival International, Stephen Corry, autore dell’interessante libro dal titolo: Tribal peoples for tomorrow’s world, il mito della wilderness riposa sulle origini del protestantesimo, in particolare della dottrina calvinista. Corry, che è direttore dei progetti del movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni e che si è battuto contro lo stereotipo colonialista del “cattivo selvaggio”, al punto da ricevere il prestigioso riconoscimento del Right livelihood Award nel 1989, ha approfondito la ricostruzione della Yosemite Valley, ossia delle battaglie tra uomini bianchi e nativi Americani (indiani). Questa Valle, famosa per le bellezze naturali della Sierra Nevada in California e luogo di incontro, ad esempio, tra i già menzionati John Muir e Theodore Roosevelt, si può connotare ed esaminare in termini religiosi, come ha rilevato il famoso pastore protestante Thomas Starr King (1824-1864) in un suo significativo sermone: «Su ogni roccia è scritto un passo della Sacra Scrittura». Lo stesso, più volte menzionato John Muir, descriveva l’ascesa sulle montagne della Sierra Nevada in questi termini: «Ogni cosa diviene religione, il mondo intero sembra una chiesa e le montagne altari... nell’essenza incontaminata di Dio sta la speranza del mondo, non esiste nulla di veramente selvaggio che sia impuro»

L’ideologia wilderness è sostenuta, come ha precisato Stephen Corry, da tre precetti centrali del calvinismo: la Bibbia come verità letterale, Dio che si manifesta nel creato (nella Natura) e il genere umano, che è corrotto dal peccato. Questa matrice calvinista ha dato luogo a una concezione che ha unito questa base teologica al rapimento estatico del romanticismo verso il paesaggio, in cui la Natura (la Wilderness) era il divino e l’uomo il male, destinato a contaminare la buona creazione di Dio. Da ciò si evince il rapporto sproporzionato tra Bene e male, tra l’Opera somma di Dio e la devastazione dell’essere umano corrotto dal peccato e quindi della relazione asimmetrica tra Natura e cultura. 

Secondo il Direttore della Survival International, non si può comprendere la nascita del movimento ambientalista americano a prescindere dalla matrice calvinista. Non a caso i più importanti ambientalisti statunitensi, come ha descritto nei suoi studi, provenivano da questo substrato religioso-culturale: «Rachel Carson era la figlia di un devoto presbiteriano calvinista; David Brower [uno dei fondatori di Friends of the Earth] si descriveva come un ex presbiteriano; Aldo Leopold, considerato l’ispiratore della moderna biologia di conservazione, era nato in una famiglia di protestanti luterani di origine tedesca...». 

L’ideologia della “natura selvaggia” (wilderness) sta nell’errore di considerarla quale Natura Vergine e Incontaminata (da rilevare l’analogia con alcuni dogmi cattolici mariani) che l’opera dell’uomo peccatore ha deturpato; pertanto è necessario liberare la wilderness dalla presenza umana. 

Non è un caso che il Sierra Club pubblicò nel 1968 “The Population Bomb”, un libro del famoso ambientalista e biologo statunitense Paul R. Ehrlich, in cui si prospettava il dramma della sovrappopolazione come fattore del degrado ambientale. Il mondo, infatti, è visto e descritto come un terreno di scontro tra l’uomo e la Natura divina.

Comprendiamo così le posizioni eugenetiche e razziste volte a ridurre il presunto eccessivo popolamento, come quella emblematica di Dave Foreman, fondatore di Earth First! ed ex direttore del Sierra Club: «La Terra è divinità e il vero oggetto della devozione umana». Roger G. Kennedy (1926-2011), che oltre ad essere stato a capo della National Park Service,ha assunto preminenti ruoli nel settore bancario, nella produzione di programmi televisivi e nell’amministrazione di musei, così esprimeva la sua concezione: «Dovremmo concepire la wilderness come parte della nostra vita religiosa»

Da queste prese di posizione, in cui l’umanità è vista come “qualcosa di maligno”, non è difficile dedurne le “logiche” conseguenze tese, ad esempio, a ridurre l’attuale popolazione di circa 7 miliardi a 2 miliardi. Sarebbe interessante osservare, ma ciò andrebbe oltre la presente analisi delle radici ideologiche dell’ambientalismo statunitense, come queste tesi della wilderness si sposino con concezioni “etiche” dettate dal mondo della finanza; basti pensare alle analoghe prese di posizione contro la presunta sovrappopolazione di Bill Gates o dalle osservazioni contro il male prodotto dal genere umano di Elon Musk. Sta di fatto che coloro che visitano il Parco Nazionale di Yosemite, venerato come un tempio sacro dai guru dell’ambientalismo americano, si trovano a sottostare a delle ferree decisioni come il registrarsi, indicando scrupolosamente gli itinerari e i luoghi in cui vorrebbero sostare, portando i necessari permessi, pena l’espulsione e il divieto di non lasciare alcuna traccia di sé. Nella wilderness dell’Eden le persone sono a malapena tollerate.

 

Protestantesimo e calvinismo

Il protestantesimo in generale, e il calvinismo nello specifico, non hanno plasmato soltanto l’ambientalismo degli Stati Uniti, ma anche il mondo finanziario dell’intero sistema liberal-capitalistico. Quando, ad esempio, l’American Committee for International Wildlife arrivò nel 1938 a porre sotto accusa la civiltà tecnologica, rea della distruzione della wilderness (la natura selvaggia) originaria, non solo ripropose la tematica dello scontro tra Natura-cultura, ma alimentò l’importanza del singolo individuo rispetto alla società umana nel suo complesso. Gli Stati Uniti infatti, non avendo conosciuto storicamente la Cristianità, ad esempio quella medievale europea, non hanno potuto considerare l’equilibrio e la potenza di una visione autoritaria e organica come fu quella cattolica di quel periodo, connotata dall’interdipendenza dei principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, in primis quelli di solidarietà e sussidiarietà, e dall’esplosione vitale dei corpi intermedi, delle corporazioni di arti e mestieri, delle piccole municipalità, dei banchi di mutuo soccorso e delle diverse articolazioni sociali, culturali e religiose presenti nel territorio. Parafrasando un celebre detto, si potrebbe dire che un motto come potrebbe essere: “Dimmi che Dio hai e ti dirò chi sei” rimane il tema centrale della visione dell’uomo negli Stati Uniti e quindi del posto della persona umana nel mondo e della sua qualità. 

Se l’uomo è essenzialmente corrotto nella sua natura – come deriva da una concezione protestante, che differisce sostanzialmente dalla visione cattolica in cui l’uomo è solo segnato dal peccato originale – conseguentemente l’uomo non solo non può fare parte integrante della Natura (intesa come manifestazione divina), ma se ne deve stare fuori per non contaminarla. 

Posizioni come quelle, ad esempio, del biologo e politico statunitense Barry Commoner (1917-2012), docente di fisiologia vegetale all’Università di Washington, riferite al primo Earth Day del 22 aprile 1970 tenutosi al Fairmount Park di Philadelphia, sono rivelatrici di un pensiero ecologista e climatista ancora presente, basti pensare ai Fridays for Future e ai Climatestrike della giovane e celebre attivista Greta Thunberg: «Questo pianeta è minacciato dalla distruzione e noi che ci viviamo siamo minacciati dalla morte. I cieli sono appestati, le acque sporche... viviamo sull’orlo dell’annientamento nucleare: siamo nel mezzo di una crisi di sopravvivenza». 

Gli stessi concetti di Barry Commoner del 1970, a distanza di cinquant’anni, si possono ancora udire nei volti più celebri della rivoluzione giovanile green dei nostri tempi, dalla svedese Greta Thunberg alla californiana Alexandria Villasenor, considerata la “Greta Thunberg degli Stati Uniti”. Come la più celebre Greta, anche lei ogni venerdì espone cartelloni di protesta all’esterno del palazzo di vetro delle Nazioni Unite a New York, nei quali si possono leggere: “Strike for climate o altri slogan, come ad esempio: “COP24 failed us”, riferite al fallimento delle conferenze sui cambiamenti climatici, come quella di Katowice del 2018 e dopo che l’amministrazione di Donald Trump aveva notificato all’ONU il ritiro dagli accordi della Climate change conference di Parigi, in particolare quello sulle emissioni delle centrali elettriche a carbone. La battaglia politica interna tra democratici (in particolare la giovane progressista Alexandria Ocasio-Cortez ha sostenuto l’impegno ad azzerare le emissioni di gas a effetto serra negli Stati Uniti entro il 2050) e repubblicani (Trump ha sempre dichiarato l’esagerata preoccupazione dell’ambientalismo moderno e la tendenza a falsificarne i dati, criticando in modo esplicito la teoria del cambiamento climatico) non deve tuttavia non farci considerare le radici ideologiche di natura teologico-culturale già precedentemente enunciate. 

In questo clima politico-economico va letta anche la polemica sostenuta dagli ambientalisti statunitensi agli inizi del 2020 contro il regista Michael Moore, precedentemente riconosciuto come idolo della sinistra progressista e green americana, per aver attaccato la produzione delle auto elettriche e dei pannelli solari, sostenuti dai movimenti ecologisti e climatisti. In un documentario: “Planet of the Humans”, Moore ha attaccato la Tesla di Elon Musk, produttrice di auto elettriche, rea di saccheggiare minerali naturali, con un impatto devastante proprio sullo stesso ambiente e si è scagliato contro la produzione dei pannelli solari, di cui si è arricchita ad esempio la dinastia capitalista dei Koch. 

Queste diatribe e polemiche interne, che smascherano l’ipocrisia del movimento ambientalista e del capitalismo americano, non devono infine farci dimenticare che, dal New Deal di Roosevelt al Green New Deal attuale, le nuove ideologie politiche dell’ecologismo e del climatismo globale hanno percorso la medesima direzione. Attraverso la pur doverosa salvaguardia dell’ambiente e del vasto territorio americano, hanno permesso di farci riconoscere cosa c’è veramente in gioco, ossia l’ideologia della wilderness e del conflitto Natura-cultura con tutte le contraddizioni conseguenti.

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