FEDE E CULTURA
La finestra di Overton
dal Numero 23 del 12 giugno 2016
di Antonio Farina

Da decenni forti pressioni culturali stanno tentando di “liberalizzare” nella società stili di vita e comportamenti immorali e innaturali. Joseph Overton ha descritto come, con vere e proprie strategie di comunicazione, in 6 mosse chi ne ha la competenza e i mezzi può abituare la gente ad accettare l’inaccettabile.

La Santa Madre Chiesa è sempre stata attenta e sensibile all’evoluzione della società perché è di fondamentale importanza conoscere le dinamiche sociali per mantenere aperto il dialogo con il “popolo di Dio” e per esercitare il Magistero in modo consono e comprensibile ai più. Molte volte è stata accusata di oscurantismo, di arretratezza culturale, di farraginosità, di usare un linguaggio obsoleto o troppo specialistico, di difendere ad oltranza dei principi morali che sembrano essere superati nei rapporti interpersonali moderni. «Nihil novi sub soli» – direbbe qualcuno – ma si tratta di accuse ingiuste. Un esempio l’abbiamo avuto qualche tempo fa quando il Cardinale Angelo Bagnasco esponendo la Prolusione al Consiglio permanente della CEI ha citato una tecnica di persuasione delle masse conosciuta come “finestra di Overton”. 
L’argomento è scottante per tanti motivi: in tutte le epoche passate le idee venivano fatte circolare a suon di decreti, editti, documenti e comunicazioni ufficiali, attraverso la cultura, la stampa, le università, i grandi raduni; attualmente i mezzi di comunicazione di massa si sono moltiplicati ed affinati per cui si è arrivati a dire che stiamo vivendo l’era dell’informazione. Non solo verbale, scritta, tradizionale, ma anche telematica, virtuale, elettronica, digitale, televisiva, radiofonica, pubblicitaria e satellitare perfino. La società è diventata quel villaggio globale teorizzato per la prima volta da Marshall McLuhan nel suo celebre libro del 1962 La galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico. 

Manipolazione dell’informazione

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e le problematiche di comunicazione sociale si sono complessificate in modo esponenziale e non sempre in una direzione “virtuosa”. Sappiamo benissimo che ci sono potentati economici e poteri forti (ed anche qualche “associazione” non proprio no profit...) che manipolano l’informazione, la piegano alle loro logiche perverse, introducono nelle coscienze e nel sentire comune idee, concetti e paradigmi di pensiero che vanno nella direzione delle loro ideologie e perseguono finalità molto spesso aberranti. Quando poi ciò avviene in modo occulto e addirittura con impiego di tecniche “subliminali” allora ci si trova di fronte ad un abuso dell’informazione.
Bagnasco paventava «l’introduzione e la successiva legalizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale...» che adesso o qualche anno addietro erano ritenuti semplicemente folli o abietti. 
Come può avvenire tutto ciò? Indubbiamente con le informazioni diffuse dai media, ma seguendo quale criterio e quale logica? A porsi per primo tale interrogativo è stato Joseph P. Overton (1960-2003), già vice-presidente del centro studi statunitense Mackinac Center for Public Policy. Morto in modo tragico schiantandosi al suolo con un ultraleggero, fece appena in tempo a teorizzare gli effetti sulla popolazione dei cosiddetti “centri di influenza del pensiero” ed ideò uno schema, un incasellamento, che porta il suo nome: La finestra di Overton (The Overton Window). 
Sostanzialmente è uno schema di comunicazione-persuasione, uno spazio-concettuale-quantizzato all’interno del quale si individuano 6 stadi o fasi in cui si possono seguire gli spostamenti dell’atteggiamento dell’opinione pubblica o dei legislatori rispetto a una certa idea o possibilità politica. Esaminiamoli in estrema sintesi. 

Secondo Overton le idee passano dalle seguenti fasi:
1) impensabili (inaccettabile, vietato);
2) radicali (vietato ma con eccezioni);
3) accettabili (cambio di prospettiva e dei termini di definizione);
4) sensate (razionalmente difendibili);
5) diffuse (socialmente accettabili);
6) legalizzate (introdotte a pieno titolo). 
Coloro che si occupano di ingegnerizzare il sociale e di influenzare l’etica pubblica (dalle superpotenze, alla politica, fino alle associazioni e corporazioni ideologizzate) cercano, attraverso i canali di diffusione dell’informazione, di proporre e far “slittare” una nuova idea da una finestra alla successiva in un processo graduale, in una serie di passi definiti. 

“L’aborto” attraverso la finestra di Overton

Com’è evidente questo schema consente agli “osservatori privilegiati” di avere soltanto un quadro della situazione, ma ai centri di potere che sono in grado di influenzare l’opinione pubblica attraverso la propaganda mirata, la capacità di persuasione, la proposizione di “modelli” da imitare, di esercitare un potere effettivo sulle coscienze. Insomma le “cavie” siamo noi e non è un esperimento futuro: siamo già stati “trattati” in passato alla stregua di topi transgenici. 
L’esempio più eclatante che possiamo fornire è il caso dell’aborto. Si parte dal tradizionale concetto che l’aborto è un crimine efferato, abominevole e moralmente inaccettabile (casella 1), ma poi negli anni ’60 compaiono partiti politici, segnatamente i Radicali di Pannella e Bonino (ma anche Lotta continua, Avanguardia operaia, PdUP-Manifesto), che cominciano a indire conferenze, gruppi di studio, incaricati di “razionalizzare” il fenomeno, di chiedersi cosa fare per farlo uscire dal sommerso, come governare in modo esplicito i casi leciti: rimasto scolpito nelle cronache il famoso caso Seveso per cui alcuni deputati chiedevano l’aborto terapeutico per le donne incinte di Seveso intossicate dalla diossina. Deroga alla norma in certi frangenti (casella 2). 
Successivamente i movimenti femministi alzano il tono della contesa spalleggiati dal Partito della Morte e cominciano le rivendicazioni: lo slogan “L’utero è mio e lo gestisco io” scandisce per le strade e nelle manifestazioni giovanili ed universitarie di tutta l’Italia. Ecco che il termine crudo ed evocante castighi divini “aborto” viene sostituito dal più asettico, distaccato e razionale “interruzione della gravidanza”, siamo chiaramente nella fase 3. Finalmente arriva l’avallo della pseudo-scienza: in fin dei conti il concepito altro non è che un grumo di cellule indistinte che si differenziano nella fase di sviluppo dell’organismo umano (zigote, morula, blastula, ecc.), non c’è coscienza, non si tratta ancora di un individuo. L’aborto è diventato così un fatto razionalmente difendibile (fase 4). 
Il passaggio nella fase 5 è più sfumato e impercettibile. Nella seconda metà degli anni ’70 la donna si sente “liberata” dai condizionamenti sociali, è abbattuto lo spettro del sessismo, ora c’è la parità dei sessi, niente più discriminazioni, no alla violenza sulle donne (l’ovvio viene mischiato con l’arbitrio) e l’aborto diventa materia di rivendicazione sociale universalmente accettata (stadio 5). Prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal Codice Penale italiano un reato punito con la reclusione da due a cinque anni, poi arriva la legge italiana sulla IVG: la Legge 22 maggio 1978, n. 194 (generalmente citata come “la 194”) (1). Lo Stato – come si disse – «garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile» e siamo entrati a pieno titolo nell’ultima fase, la fase 6. 
Naturalmente questo ultimo stadio è stato condito ed ammantato dal classico fregio dell’ipocrisia del linguaggio politichese-giuridico: «Nei primi novanta giorni di gravidanza il ricorso alla IVG è permesso alla donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali, o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (art. 4), ecc., ecc.». La Legge consente alla donna di poter abortire in una struttura pubblica: ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione, previa preparazione da parte dei consultori...

Tristi prospettive future

Ecco questa è la triste storia dell’aborto seguita attraverso la finestra di Overton, ma ciò che bolle in pentola ai nostri giorni è qualcosa di realmente ributtante e sconvolgente: 
- Il cannibalismo. C’è chi sostiene sia arrivato già nella fase 4! «Perché non dovrei mangiare un mio simile se è consenziente? Perché non siamo liberi di mangiare ciò che vogliamo e perfino i cadaveri?». In Germania (patria del cannibalismo) si è registrato il caso di Detlev Guentzel, un poliziotto antropofago che ha divorato Wojciech Stempniewicz, un politico consenziente militante nelle fila della CDU, la democrazia cristiana tedesca (sic!) (2)...
- La pedofilia e la xeno-filia. Si immagini il livello di aberrazione cui siamo arrivati. La pedofilia non è considerata più un crimine ma “un disordine...”.
- La xeno-gestazione: i bambini concepiti in provetta e inseriti nell’utero di una scrofa... (avete capito bene: una scrofa!). A che fase sarà arrivata questa idea? Sicuramente alla fase infernale.
San Pio da Pietrelcina negli stessi anni in cui l’aborto percorreva le caselle della finestra di Overton esortava a pregare questa giaculatoria: «O Gesù, salva gli eletti nell’ora delle tenebre!». Forse ci siamo, forse è veramente arrivata l’ora delle tenebre.   

Note
1) Vengono a cadere i reati previsti dal titolo 10 del libro II del codice penale con l’abrogazione degli articoli dal 545 al 555, oltre alle norme di cui alle lettere b) ed f) dell’articolo 103 del T.U. delle leggi sanitarie. 
2) Fonte: Roberto dal Bosco, FDF.com

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