RELIGIONE
La Via Crucis e il Calvario
dal Numero 12 del 17 marzo 2024
di Pietro Romano

Siamo giunti quasi al termine del nostro pellegrinaggio. Visitiamo i luoghi che hanno visto lo svolgimento degli ultimi momenti – i più strazianti – della vita terrena di Gesù. Lasciamoci condurre in questo cammino dalla nostra Mamma Corredentrice, teniamoci stretti a Lei con la recita dell’Ave Maria dei dolori.

Dal luogo dove sorgeva la Fortezza Antonia, ormai dai sec. XII/XIII, inizia il percorso tradizionale della Via Crucis di Gerusalemme, che giunge fino alla roccia del Golgota. Questo percorso ha subito alcune variazioni lungo i secoli, a causa della diversa organizzazione della città vecchia di Gerusalemme. Molto probabilmente Gesù, insieme agli altri condannati, percorse le strade principali della città superiore. Era consuetudine romana, infatti, far percorrere ai condannati le strade più frequentate, in modo da essere visti e biasimati dalla folla sempre molto numerosa. Oggi la cosiddetta Via Dolorosa è alquanto stretta, non tanto per la reale ampiezza della strada, quanto per il fatto che ai due lati di essa vi sono per lo più bancarelle e negozietti degli arabi, che vendono cose di ogni tipo. Tra profumi, aromi di spezie, rumori, grida, affollamento di persone che camminano nelle due direzioni opposte, turisti, mercanti e pellegrini, si può avere un’idea del doloroso percorso di Gesù verso la crocifissione e morte, accompagnato dai due ladroni e da un manipolo di guardie armate.


Il Golgota
Il luogo scelto per la crocifissione di Gesù si trovava a settentrione della città, secondo le norme previste, appena fuori le mura, dove vi era una piccola sporgenza rocciosa, rialzata di pochi metri dal terreno circostante. A causa dell’aspetto di questo rialzo, il luogo era chiamato il Cranio, che in latino si diceva Calvaria, in aramaico Golgota, in ebraico Gulgoleth. La piccola altezza del luogo era adatta a far sì che il condannato fosse visto facilmente dalla gente. Inoltre, vicino al Golgota vi era più di una tomba: si seguiva anche in questo caso la norma di crocifiggere in luoghi destinati alla sepoltura.


Lungo i secoli, con l’espansione della città verso settentrione, questo rialzo è quasi scomparso. Costantino, nel IV secolo, volendo costruire la basilica del Santo Sepolcro, fece livellare tutta l’area, eccetto la piccola parte del Cranio, che venne incorporata nella costruzione.


La Croce
L’accusa di bestemmia imputata a Gesù richiedeva, di norma, la lapidazione. Santo Stefano, ad esempio, fu lapidato per aver bestemmiato nel suo discorso ai sommi sacerdoti. Ai tempi di Gesù la crocifissione era di usanza già da molti anni nel giudaismo palestinese, quando iniziarono le prime relazioni con i romani, specialmente dal 63 a.C., quando Pompeo Magno espugnò Gerusalemme. Prima di allora era diffusa la terribile pena dell’impalamento. La crocifissione, prima che dai romani, era praticata dai greci e dagli egiziani. Cicerone chiama questa pena «supplizio il più crudele e il più tetro» e «estremo e sommo supplizio della schiavitù». Era, infatti, la pena riservata agli schiavi rei di delitti molto gravi. 


Ai tempi di Gesù la croce aveva tre forme: la croce immissa, o capitata, perché aveva il tratto superiore più corto, che faceva appunto da capo; la croce commissa, con tre soli bracci, senza il capo; la croce decussata o di sghembo, che comunemente viene detta croce di sant’Andrea, a forma di ics. Per Gesù fu utilizzata la croce immissa. Essa aveva due parti: il palo verticale che veniva piantato a terra, chiamato stipes o staticulum; e il palo orizzontale, che solo alla fine veniva unito al palo verticale, chiamato patibulum o antenna. A metà del palo verticale era fissato una specie di robusto zoccolo chiamato pegma o sedile, sul quale si poggiava il corpo del crocifisso per evitare che il peso del corpo strappasse le mani trafitte dai chiodi. 


Una volta pronunciata la sentenza di crocifissione, sul luogo dell’esecuzione veniva preparato solamente il palo verticale. Questo non era molto alto, all’incirca 4 o 5 metri, tanto che i piedi del condannato restavano sollevati da terra per l’altezza di un uomo o poco meno.


Il triste corteo verso il Calvario 
Dopo la flagellazione, il condannato era accompagnato da almeno quattro soldati, con a capo un centurione che aveva il compito di accertare la morte del crocifisso (chiamato per questo exactor mortis). Sulle spalle del condannato si poneva il patibulum, mentre innanzi a lui un servo di giustizia portava una tavoletta sulla quale era scritto con caratteri ben visibili il delitto del condannato. A volte questa tavoletta gli veniva appesa al collo. Il corteo si avviava verso il luogo del supplizio, passando di preferenza per le strade più popolate e frequentate, in modo da dare più pubblicità all’esecuzione. Lungo questo triste cammino, il condannato riceveva ogni sorta di ludibrio sia da parte dei soldati che da parte della gente incuriosita e inferocita. 


Anche per Gesù il corteo era formato dai soldati di scorta, da Lui quale principale condannato, e da due volgari ladroni, anch’essi condannati alla crocifissione. Ogni condannato era accompagnato dalla sua tavoletta, sulla quale era scritto pubblicamente il delitto commesso. La tavoletta di Gesù era scritta nelle tre lingue più comuni nella regione: in ebraico (aramaico), greco e latino. Essa recava la dicitura del testo dettato da Pilato stesso: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”.


Rechiamoci in spirito a Gerusalemme, lungo la Via Dolorosa, e ripercorriamola contemplando il Salvatore fatto oggetto di lazzi e sarcasmi dalla plebaglia, caricato del palo trasversale, che cammina a stento. Era circa mezzogiorno e Gesù da prima della mezzanotte aveva subito ogni sorta di prove fisiche e morali di una violenza incomparabile: dall’amoroso e doloroso congedo dagli Apostoli nel Cenacolo, al Getsemani; dall’arresto al processo davanti al sinedrio, ai ludibri in casa di Caifa, al processo davanti a Pilato; e infine la spaventosa e terribile flagellazione. Queste sofferenze inaudite gli avevano tolto ogni residuo di forze. Sotto il peso della trave Egli vacillava, incespicava ad ogni passo, poteva stramazzare al suolo da un momento all’altro per non rialzarsi più.


Facciamoci noi stessi cirenei di Gesù, non per forza, ma per amore: aiutiamolo, con la nostra preghiera e i nostri sacrifici, a portare il peso enorme di quella Croce che fu il prezzo della nostra Redenzione!


La crocifissione
Una volta giunti al luogo del supplizio, il condannato veniva spogliato delle sue vesti, disteso a terra in modo che il palo orizzontale da lui portato stesse in corrispondenza delle sue braccia aperte. Venivano inchiodate prima le mani, poi con una fune cinta al petto il condannato veniva elevato sul palo verticale (l’ascendere crucem degli scrittori romani). I due pali così venivano congiunti con chiodi o corde, e si passava ad inchiodare i piedi. Così ridotto, il crocifisso aspettava la morte, forzatamente e continuamente esposto alla vista della gente d’ogni fatta che passava di là, mentre i soldati che stavano di guardia ai suoi piedi impedivano a chiunque di avvicinarsi per recare un sollievo qualsiasi. «La morte poteva avvenire per dissanguamento, per febbre vulneraria, per gli strazi della fame e più ancora della sete, o per altre cause fisiologiche. Spesso non si faceva attendere molto, specialmente a causa della spossatezza prodotta dalla terribile flagellazione che aveva preceduto la crocifissione; ma spesso organismi più robusti resistevano giornate intere sulla croce, spegnendosi a poco a poco in una spaventosa agonia. Talvolta i carnefici acceleravano a bella posta la morte o producendo con un fuoco un denso fumo sotto la croce, o trapassando con un colpo di lancia il corpo del crocifisso, oppure praticandogli il “crurifragio” romano che consisteva nello spezzare i femori dell’agonizzante a colpi di clava. Avvenuta poi la morte, nei tempi più antichi il cadavere rimaneva ancora sulla croce fino alla decomposizione, e fino al totale scempio che ne facevano i cani saltando dal basso e gli uccelli calando dall’alto; invece, dai tempi circa d’Augusto, si concedeva ordinariamente il cadavere ad amici o parenti che l’avessero richiesto alle autorità per seppellirlo». 


Tali erano le norme generali seguite per tutte le crocifissioni, e furono seguite anche per la crocifissione di Gesù.


Quando il corteo giunse al luogo del Cranio si procedette senz’altro alla crocifissione dei condannati. Tutti e tre furono spogliati delle loro vesti, lasciando loro, come uso giudaico, un piccolo panno per il loro pudore. Le vesti dei crocifissi divenivano oggetto di spartizione tra i soldati di guardia. La Croce di Gesù stava nel mezzo; ai due lati quelle dei due ladroni. Sulla sua Croce fu apposta la tavoletta di condanna. Tutte le operazioni della crocifissione terminarono quando il mezzogiorno era passato di poco.


O tu che leggi, recati sul Calvario e contempla il Crocifisso: mentre il suo corpo era sfigurato e disfatto, senza più alcuna energia fisica, la sua mente era assorta nel pensiero del Padre celeste al quale stava offrendo il sacrificio di tutto se stesso e dal quale implorava perdono per tutti.


Nella penombra del sacro luogo si può venerare e toccare la roccia sulla quale quel Venerdì Santo fu eretta la santa Croce e rimanere prostrati in silenziosa preghiera, baciando quel sacro suolo che accolse il Sangue redentore del Figlio di Dio.


La Madre Addolorata e Corredentrice
Dall’alto della Croce Gesù vedeva solo un piccolo gruppo, che stava a pochi passi da Lui, ricevendone qualche conforto. Ma era davvero un conforto, e non piuttosto un aumento di dolore? Il gruppo, infatti, era formato da persone familiari o amiche, che, secondo la legge romana, potevano assistere allo spettacolo, a patto che non si avvicinassero ad offrire soccorsi al crocifisso. San Giovanni ci ha trasmesso i nomi di questo piccolo gruppo più vicino alla Croce: oltre a Giovanni, facevano parte di questo gruppo la Madre di Lui (Gesù), e la sorella della Madre di Lui, Maria di Cleopa (Alfeo), e Maria di Magdala (cf Gv 19,25). Qui lasciamo la parola al Ricciotti: «Nel gruppo più vicino stava dunque, insieme al discepolo prediletto, la Madre di Gesù. Era un conforto quella vista per il Crocifisso? Come a Lei era impedito dai soldati di avvicinarsi a Lui, così a Lui i chiodi impedivano ogni gesto verso di Lei. Potevano comunicare fra loro solo con lo sguardo: a Maria la voce era impedita dal pianto, a Gesù dall’estrema debolezza. La Madre guardava il Figlio, e forse pensava che quelle membra si erano formate nel seno di Lei in maniera unica al mondo, mentre adesso erano divenute oggetto di sommo spavento: il Figlio guardava la Madre, e forse pensava che quella donna era stata proclamata benedetta fra le donne, mentre adesso era divenuta oggetto di somma pietà. Ma ad un certo punto il Crocifisso, raccolte alquanto le forze e accennando alla Madre con la testa, disse: Donna, ecco il tuo figlio; poi accennando al discepolo prediletto: Ecco la tua Madre. In questo suo testamento il morituro univa per sempre i suoi più grandi amori terreni, la donna di Bethlehem e il giovane che aveva sentito battere il Cuore di Lui nell’Ultima Cena. Da quel giorno Giovanni prese in casa sua Maria». 


Sul Calvario, nella basilica del Santo Sepolcro, si può contemplare una riproduzione lignea molto bella ed espressiva della Vergine Addolorata che, proprio lì, è sempre sotto la Croce ai piedi del suo Gesù. Dinanzi a questa statua passano migliaia di fedeli implorando grazie, lasciando come ex-voto per le grazie ricevute, anelli e collane d’oro, rose o cuori d’oro. Anche noi prostriamoci ai piedi della Vergine Corredentrice, uniamoci al suo dolore materno e impariamo da Lei a generare le anime attraverso la Croce del Figlio accettata con amore e generosità.


La morte
Gesù Crocifisso declinava rapidamente, e con Lui all’improvviso, cominciò a declinare anche la luce del sole: «Dall’ora sesta si fece tenebra su tutta la terra fino all’ora nona» (Mt 27,45), ossia dal mezzogiorno alle 3.00 pomeridiane. Questo oscuramento del giorno fu certamente un fatto miracoloso avvenuto per la morte di Gesù, non spiegabile scientificamente. 


L’agonia di Gesù durò circa tre ore, ma su di essa gli Evangelisti hanno steso un velo di sacro mistero. Il corpo perdeva incessantemente sangue e forza vitale attraverso gli squarci delle mani e dei piedi e attraverso le vaste lacerazioni prodotte dalla flagellazione; il capo era trapassato dalle punture delle spine; nessun muscolo trovava riposo sulla Croce. I tormenti si accavallavano e si accrescevano divenendo sempre più atroci, senza un istante di requie. In quel tenebroso oceano di spasimi solo la più alta vetta dell’anima era serena, sublimata nella contemplazione del Padre. L’agonizzante era in silenzio. Ma a un tratto, vicino all’ora nona, Gesù gettò un alto grido dicendo in aramaico: «’El?, ’El? l?m? sh?baqtani», ossia l’inizio del Salmo 22: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Poi il Crocifisso pronunciò un’altra parola: «Ho sete!». L’arsura, nelle condizioni di dissanguamento e di spossatezza in cui si trovava Gesù, era un fatto naturalissimo. Ma la sete rientrava anche nella visione del Messia sofferente. Per questo san Giovanni fa rilevare che Gesù, affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete!» (19,28). Udendo l’implorazione del Crocifisso, uno dei soldati inzuppò una spugna e mettendola in cima a un’asta l’appressò alle labbra dell’assetato.


Intanto, in contemporanea, nella città avvennero dei fatti straordinari: nell’interno del Tempio pendevano due grandi cortine ricamate: all’ora nona, quando moriva Gesù, una di queste cortine (probabilmente la più interna) si scisse in due parti dall’alto in basso, come a significare che il suo ufficio era ormai finito. 

Avvennero anche scosse telluriche, le rocce si spaccarono, e le tombe si aprirono, e molti corpi dei santi addormentati si ridestarono: e usciti dalle tombe dopo la Risurrezione di Lui entrarono nella Città Santa e apparvero a molti (cf Mt 27,51-53). Come conseguenza dello sconvolgimento tellurico, già nel secolo IV si poteva vedere una fenditura, che ancora oggi è visibile lungo la parte rocciosa del Calvario incorporata nella basilica del Santo Sepolcro: questa fenditura è lunga circa 1,70 metri e larga 0,25 e contrariamente alle solite spaccature sismiche che corrono lungo le venature della roccia corre trasversalmente ad esse. 


Pilato, dopo le insistenti richieste dei sinedriti, inviò altri soldati affinché praticassero sui crocifissi il “crurifragio” (rottura delle gambe con colpi di clava) e poi li deponessero dalle croci. Ai due ladroni, ancora vivi, fu praticato il “crurifragio”, al contrario a Gesù, che era con tutta evidenza già morto, fu risparmiato; tuttavia uno gli dette un colpo di lancia in direzione del cuore, giusto per non lasciare alcun dubbio sulla morte di Lui. La ferita prodotta dalla lancia fu molto larga, un vero squarcio in cui poteva quasi entrare una mano (cf Gv 20,25.27), e dallo squarcio uscì sangue e acqua.


“Ave Maria” dei dolori
Attribuita a san Bonaventura e frutto della sua grande devozione alla Madonna Addolorata, è un’Ave Maria incentrata sui dolori della Vergine ai piedi della Croce. Recitiamola spesso mentre contempliamo la Passione di Gesù: sarà un modo per stare vicino al Redentore Crocifisso, tenuti per mano dalla sua Mamma Corredentrice:


«Ave, o Maria, piena di dolori; il Crocifisso è con te; tu sei lacrimevole tra le donne, e lacrimevole il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre del Crocifisso, lacrime ottieni a noi crocifissori del Figlio tuo, adesso e nell’ora della nostra morte. Così sia».  

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