RELIGIONE
Venerazione di san Francesco per i sacerdoti
dal Numero 11 del 10 marzo 2024
di Grazia de Michelis

L’amore di san Francesco per l’Eucaristia non poteva non spingerlo ad amare anche colui che ci dona l’Eucaristia. Chiediamo al Serafico Padre di concedere anche a noi il suo amore per i sacerdoti, a noi che forse anziché pregare per loro siamo molto più propensi a cadere in critiche e giudizi.

San Francesco d’Assisi considerava il sacerdozio inseparabile dall’Eucaristia, per il fatto che solo i ministri ordinati in sacris possono consacrare il Corpo del Signore. 


Il Celano scrive che, anche prima di abbandonare il mondo, il giovane Francesco «aderendo in modo totale alla fede cattolica e destinato ad assumere la missione apostolica, fu [...] pieno di riverenza per [...] i ministri di Dio» (2Cel 8: FF 590). Lo stesso Santo lasciò scritto, nel suo Testamento, che aveva ricevuto dal Signore una grande fede nei sacerdoti, a motivo della loro ordinazione sacramentale, in virtù della quale egli non voleva soffermarsi sui loro peccati, vedendo in essi, con gli occhi della fede, il Figlio di Dio.


Fin dall’inizio della sua conversione, si impegnò ad aiutare i sacerdoti in diversi modi: donò denaro al povero prete della chiesa di San Damiano; si prestò frequentemente a pulire le chiese abbandonate o trascurate; regalò arredi sacri ai sacerdoti che non avevano la possibilità di comprarli. 


Nel tempo in cui egli viveva, purtroppo lo stile di vita rilassato e spesso immorale dei sacerdoti, nonché la trascuratezza con cui essi trattavano l’Eucaristia, fecero cadere in disistima presso i fedeli la considerazione dell’eccellenza della loro dignità. Molti fedeli, sotto l’influsso dell’eresia catara, cedettero all’errore dottrinale secondo cui, se i sacerdoti non conducevano una vita esemplare, i laici potevano sostituirsi a loro nella consacrazione del Corpo di Cristo, ritenendo che fosse il merito e non l’ordinazione sacramentale a conferire il diritto di consacrare. Contro questo errore, sempre fedele agli insegnamenti della Santa Chiesa Romana, san Francesco ribadì con chiarezza che solo il sacerdote regolarmente ordinato può transustanziare il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo e amministrarlo ai fedeli, indipendentemente dalla sua integrità morale, e ciò grazie al potere che gli viene conferito dalla Chiesa al momento dell’ordinazione. 


Il Celano ci informa che il Santo voleva che si dimostrasse grande rispetto alle mani del sacerdote, proprio perché esse hanno la prerogativa di consacrare l’Eucaristia. Diceva spesso che se gli fosse capitato di incontrare insieme un santo proveniente dal Cielo e un sacerdote, avrebbe salutato prima quest’ultimo baciandogli prontamente le mani, che avevano toccato il Verbo della vita. Anche nella Leggenda dei Tre Compagni si racconta che raccomandava ai frati di onorare in maniera particolare i sacerdoti e di salutarli chinando il capo e baciando loro le mani; se poi li vedevano a cavallo, esigeva che baciassero non solo le loro mani, ma addirittura gli zoccoli del cavallo a cui stavano in groppa. 


Aborriva in modo assoluto il disprezzo alla persona dei chierici ed asseriva che quand’anche essi fossero peccatori, nessuno dovesse esprimere giudizi su di loro, poiché il Signore riserva solo a se stesso tale diritto. Ed incalzava scrivendo che, essendo profondamente onorabile il ministero che essi svolgono a contatto con il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, quanti peccano contro di loro commettono una colpa più grave di quella che commetterebbero se peccassero contro tutti gli altri uomini di questo mondo. I frati, pertanto, in conformità allo spirito e agli insegnamenti del fondatore, ossequiavano i sacerdoti senza giudicare la loro condotta e si confessavano da ciascuno di essi senza distinzione. 


San Francesco onorava i sacerdoti anche a motivo del ministero della Parola di Dio da essi svolto e per l’amministrazione del sacramento della Riconciliazione ad essi riservato. Per tal motivo, nella Lettera a tutti i fedeli, ribadisce con forza che nessuno può essere salvo se non per la mediazione del ministero sacerdotale.


Consapevole che la sua missione di sostegno alla Chiesa comportava anche offrire un contributo alla riforma del clero, non lesinava raccomandazioni ai sacerdoti per aiutarli a corrispondere alla grandezza della loro vocazione e missione. Nelle sue peregrinazioni apostoliche li spronava alla cura delle anime e cercava di inculcare loro la sollecitudine per la pulizia delle chiese e delle suppellettili sacre usate per la celebrazione dei divini misteri. Nella Lettera a tutti i Chierici, esorta all’emendazione quei sacerdoti che mancano di rispetto al Signore usando calici, corporali e tovaglie vili per consacrare il suo Corpo e Sangue. Lamenta, inoltre, la negligenza di quanti lasciano l’Eucaristia in luoghi indecorosi e l’amministrano senza riverenza, ricordando loro che di ciò dovranno rendere conto a Dio nel giorno del Giudizio. 


Nella Lettera al Capitolo generale e a tutti i frati si rivolge accoratamente a tutti i sacerdoti dell’Ordine ricordando loro l’alta dignità a cui sono stati elevati, inducendoli a riflettere su quanto deve essere santo, giusto e degno colui che accoglie nelle proprie mani, riceve nel cuore e amministra agli altri il Sacramento della vita. Li esorta a celebrare la Santa Messa con coscienza pura e profondo raccoglimento, con intenzione retta, per piacere a Dio e non agli uomini, sottolineando, in particolare, l’illegittimità del cambiamento arbitrario delle parole della Consacrazione. A tal proposito scrive: «Sue infatti, sono le parole: “Fate questo in memoria di me”; se uno farà diversamente, diventa un Giuda traditore e si fa reo del Corpo e del Sangue del Signore» (FF 218). Credeva fermamente, infatti, che quando il sacerdote celebra agisce in persona Christi e, pertanto, è Cristo stesso che in lui proferisce le parole che transustanziano il pane e il vino nel suo Santissimo Corpo e nel suo Preziosissimo Sangue. Afferma, inoltre, che concedendo loro il ministero, il Signore onora i sacerdoti più di tutti gli altri uomini.


Nella storia dell’Ordine Serafico troviamo figure luminose di santi che hanno illustrato la dignità sacerdotale secondo l’idea che ne aveva il loro fondatore. Pensiamo, ad esempio, a sant’Antonio di Padova, san Bernardino da Siena, san Lorenzo da Brindisi, san Giuseppe da Copertino, san Leonardo da Porto Maurizio, san Leopoldo Mandi?, san Pio da Pietrelcina, san Massimiliano M. Kolbe. 


San Francesco, invece, benché possedesse le qualità per accedere al sacerdozio, volle restare sempre diacono. Comprendendo perfettamente la grazia ineguagliabile che il sacerdote riceve al momento dell’ordinazione, con la configurazione sacramentale a Cristo – sacerdos alter Christus –, non se ne sentiva degno. Tuttavia, pur non avendo il carattere sacerdotale, raggiunse la perfetta conformità a Gesù, Vittima e Ostia, che, per volontà di Dio, si rese visibile anche esteriormente con il dono delle stigmate.  
 

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