L’uomo considerato “macchina” e la “macchina” considerata uomo: ecco in due parole il transumanesimo. Approfondiamo il problema, individuando le sue cause remote e prossime.
Si sente spesso parlare di transumanesimo. Cos’è? Cosa vuol dire questa parola?
Presto detto. Il transumanesimo non è altro che la riduzione dell’uomo a macchina e l’elevazione della macchina a uomo. Nulla più... e scusate se è poco.
L’uomo viene ridotto a macchina. All’interno di questa prospettiva la fa da protagonista una concezione biologista dell’uomo. Si riprende la concezione positivista secondo cui l’uomo non è altro che il suo corpo per poi perfezionare questa stessa concezione con gli sviluppi della genetica, arrivando ad affermare che l’uomo è di fatto determinato dai suoi geni e dai suoi meccanismi neuronali. Insomma, tutto è meccanicisticamente determinato.
Ma – come dicevamo – il transumanesimo è anche il contrario. Anzi, è soprattutto il contrario, ovvero la macchina che diventa uomo finendo con il prendere il posto dell’uomo stesso. È il caso della cosiddetta “intelligenza artificiale”, che però è molto artificiale e assai poco intelligente. Infatti, l’intelligenza non si misura solo dalla capacità di risolvere problemi, bensì dalla possibilità di “avvertire” i problemi, che è cosa ben diversa. “Avvertire” i problemi vuol dire viverli, capirne non solo i meccanismi, ma il senso, la profondità, la questione. E qui non c’è macchina che tenga.
Detto questo, poniamoci però un’altra domanda, che è poi la più importante. Perché il transumanesimo? Da cosa è scaturito?
Bisogna tener presente che nella Storia non esistono i funghi, ovvero ciò che accade e si manifesta non è mai senza cause profonde, senza radici (come i funghi per l’appunto).
Il transumanesimo ha radici remote e prossime.
Le radici remote le possiamo trovare ancora una volta (diciamo “ancora una volta” perché questa causa è alla radice di tanti altri effetti) nell’antropologia cartesiana. Il Filosofo del Cogito (Cartesio) separò nell’uomo il corpo dall’anima (res extensa e res cogitans). E così il corpo dell’uomo, ridotto a “cosa”, ha finito con il perdere il suo vero significato. Da materia capace di ricevere la forma dell’anima, è divenuto materia inerte dove tutto si riduce a puro funzionamento meccanico. Da questa deriva il passaggio alla completa riduzione meccanica dell’uomo è stato del tutto consequenziale. Così come è stato consequenziale il passaggio ulteriore, cioè l’elevazione della macchina ad uomo. Infatti, se la vita umana è meccanica, la meccanica può essere anche in un certo qual modo vita umana.
Ma – dicevamo – esistono anche cause prossime che spiegano il transumanesimo. Meglio, esiste anche una causa prossima: la postmodernità. Questa ha segnato la distruzione del concetto stesso di certezza. Ogni pensiero forte è stato dissolto a favore del cosiddetto pensiero debole. La modernità nacque e si sviluppò conservando ancora una narrazione forte della vita e dell’uomo, tanto forte che coltivava in sé l’illusione dell’uomo che potesse divenire fondamento di tutto, dio-di-se-stesso. Ma questo pensiero forte, proprio perché “fortificato” non sulla verità bensì sulla menzogna (l’antropocentrismo radicale), è finito (per eterogenesi dei fini) a giungere all’opposto, ovvero a dissolvere l’uomo in favore di altro. Nelle varie correnti che caratterizzano la modernità l’uomo è sempre in funzione di qualcosa: della storia (storicismo), della materia (materialismo), degli impulsi irrazionali (irrazionalismo), dell’inconscio (psicanalisi), delle strutture (strutturalismo)... e così da che l’uomo doveva diventare con la sua tecnica artefice di tutto, è divenuto una vittima della tecnica stessa. Si è trasformato in macchina e la macchina si è trasformata in lui!