SANTO NATALE
Martiri di Gesù Bambino
dal Numero 46 del 18 dicembre 2022
di Padre Ambrogio M. Canavesi

Il mistero della Natività del Verbo divino, pur nella sua intatta e fanciullesca innocenza, non è così lontano dal mistero dei piccoli martiri che, per un miracolo dell’Onnipotenza divina, nella porpora del sangue hanno reso bianche le vesti delle loro anime e, così purificati da ogni sozzura, si sono accostati con passo sicuro al Puro dei puri.

I candidi cori di angeli gioiosamente vocianti e le festose colonne di pastori musicanti nella notte del Santo Natale si assiepavano trepidanti intorno alla grotta di Betlemme, per dare il loro tributo di amore e di gioia al piccolo grande Re, incarnatosi per la nostra salvezza. In quella notte in cui il corso dei secoli si fermò estasiato e l’Eterno sotto le spoglie di un infante fece irruzione nel tempo, essi rappresentavano la moltitudine di tutti i devoti che in seguito avrebbero contemplato con gioia e amore la Natività di Nostro Signore. Tra tutte queste frotte in prima fila stanno i santi: le sante vergini, che con il loro amore casto e puro prendono quasi il posto della Vergine Maria nella fredda capanna, ambendo farsi “amiche, spose e madri” del Bambinello di Betlemme. Figurano poi i sapienti Padri della Chiesa che, lasciata ogni loro terrena scienza davanti all’Infinito limitatosi al corpo di un bambino, a imitazione di san Giuseppe si fanno bambini balbettanti e figli del Figlio per lo stupore dell’Incarnazione del Verbo. Accanto ad essi i colti Dottori della Chiesa che, resisi quasi come animali privi di ragione, come il bue e l’asinello, si fanno umili educandi di fronte alla scienza del Divin Maestro, assiso sulla sua cattedra di paglia e di assi. 
Ma ancora un gruppo di anime elette manca all’appello all’adorazione del Re dei Cieli: i martiri, che per un miracolo dell’Onnipotenza divina, nella porpora del sangue hanno reso bianche le vesti delle loro anime e, così purificati da ogni sozzura, si sono accostati con passo sicuro al Puro dei puri. Il mistero della Natività del Verbo divino, pur nella sua intatta e fanciullesca innocenza, non è affatto così lontano dal mistero di questi nostri santi fratelli, che hanno versato il sangue per Gesù e per la fede... anzi, in qualche modo, i due misteri sono inestricabilmente collegati: il martire è l’alter Christus per eccellenza, colui che imita Cristo e si identifica in Cristo nel momento culminante della sua vita e della sua missione, la Passione redentrice. Ma tra la Natività di Gesù e la sua Passione e Morte un filo ininterrotto si dipana, un filo rosso, rosso porpora come il sangue vivo uscito dalle loro arterie: l’amore redentivo per l’umanità e la volontà salvifica di Cristo non sono vivi solo nel momento culminante della Morte redentrice, quando il buon Gesù versò tutto il suo Sangue per la nostra salvezza, ma anche nell’idillio del presepe di Betlemme, quando poche lacrime versate sulla culla di legno già prefiguravano la Passione e Morte ed esprimevano l’ansia del Bambinello di redimere l’umanità peccatrice. 


I Santi Innocenti
Non a caso infatti nel ciclo natalizio della celebrazione dei santi la candida monotonia del colore liturgico bianco è interrotta una prima volta – il giorno dopo Natale – dal protomartire santo Stefano e, una seconda volta, due giorni dopo, dalla celebrazione dei Santi Innocenti, che del Protomartire sono in qualche modo i silenziosi e inconsapevoli precursori. Certo non c’è bisogno di sprecare molte parole per celebrare i Santi Innocenti come i primi “martiri di Gesù Bambino”. È noto infatti dal racconto evangelico come Erode, saputo dai Magi d’Oriente della nascita del novello Re in Betlemme ma incapace di identificarlo, decise di uccidere tutti i bambini sotto i 2 anni nella piccola cittadina giudaica. Nonostante la tradizione abbia talora un po’ amplificato numericamente la quantità di questi bambini martirizzati – arrivando persino a parlare di migliaia di bambini trucidati – in realtà secondo calcoli un po’ più realistici e accurati dovrebbe trattarsi di circa una quarantina di bambini, nati a Betlemme nei tre anni precedenti. 
Ma come parlare di martirio di fronte a dei bambini totalmente inconsapevoli di ciò che si svolgeva loro attorno e privi dell’uso di ragione? Normalmente infatti si ammette che il martire non debba solo subire ma, in qualche modo, anche accettare la sua morte, e chiaramente ciò non è possibile nel caso di infanti minori di 24 mesi. A causa dello stretto collegamento e della prossimità con la nascita del Salvatore, per i Santi Innocenti si fa una sorta di eccezione a questa regola generale: pur rimanendo dei semplici infanti, incapaci di per sé di un vero e proprio atto di fede, essi sono veramente dei martiri, in quanto la loro morte seguì immediatamente alla vita del Redentore. Anzi in qualche modo proprio la nascita del Redentore fu la causa della loro morte. È vero infatti che, di per sé, il nascere nella stessa cittadina del Salvatore e nello stesso torno di tempo non è affatto una testimonianza di fede, ma è anche vero che nelle disposizioni della Provvidenza divina essi morirono a causa della nascita del Redentore e, in un certo senso, al posto dello stesso Gesù Bambino. Volendo uccidere Gesù, il novello Re dei Giudei, il sanguinario Erode uccise questi piccini. Ciò è sufficiente perché essi siano martiri del Natale o martiri di Gesù Bambino o, in qualche modo, pre-martiri. 
Mentre i martiri nel versare il loro sangue imitano il Sacrificio di Cristo, i Santi Innocenti hanno anticipato il Sacrificio e la Morte redentrice di Cristo: sono morti per e al posto di quel Cristo che, morendo per noi, ci ha dato la vita e la salvezza. In tal senso i Santi Innocenti partecipano con la loro vita all’adorazione del Bambino Gesù e alla celebrazione della sua Natività: al posto del canto degli angeli e della musica dei pastori, i loro singhiozzi e le loro urla costituiscono una sublime armonia e un solenne inno natalizio per il Re dei Cieli fattosi carne. Ogni goccia di sangue da loro versato è come un rubino per adornare la corona di gloria di Cristo nostro Signore, mentre il dolore straziante delle loro madri, davanti al folle gesto di quel folle re, anticipa il dolore corredentore della Santissima Madre di Gesù di fronte al crimine folle della condanna a morte del Redentore.


I martiri di Nicomedia
Legata alla festa del Natale è anche la figura di sant’Anastasia di Sirmio – probabilmente di nobile famiglia romana – che nella Città Eterna prima, e in Illiria poi, svolse attività caritative in favore dei cristiani privati dei loro beni e impoveriti a causa della legislazione di Diocleziano. Fatta anch’essa prigioniera, scampò a diversi supplizi di crudeltà inaudita ma, davanti al rifiuto di sacrificare agli dèi pagani, fu infine arsa viva per ordine dello stesso imperatore Diocleziano nell’anno 304. Se il suo nome ha un significato pasquale – “anastasis” in greco significa “risurrezione” – il giorno della sua esecuzione capitale è tradizionalmente fissato al 25 dicembre, come ci ricorda il Martirologio Romano. Ancor più interessante è che per questa motivazione la seconda delle tre Messe natalizie – quella “in Aurora” – tradizionalmente era celebrata proprio nella chiesa romana di Sant’Anastasia, fatto che fece ricollegare dai tempi antichi la vergine e martire alla celebrazione del Santo Natale. A maggior ragione meritano il titolo di “martiri del Natale” le molte migliaia di martiri che a Nicomedia «meritarono di nascere in Cielo nel medesimo giorno, in cui già Cristo si degnò di nascere in terra per la salute del mondo» (Martirologio Romano). La cronologia degli eventi e i dettagli storici non sono chiari, ma sicura è la storicità dei fatti. La città di Nicomedia – che ora ai più non dirà niente – era all’epoca della tetrarchia una delle quattro capitali dell’Impero romano, dove risiedeva proprio lo stesso augusto Diocleziano: a partire dal febbraio del 303 Diocleziano e il suo cesare Galerio incominciarono una politica e legislazione repressiva contro i cristiani presenti nella città, particolarmente numerosi e guidati dal santo vescovo Cirillo, prima, e da sant’Antimo poi. Un incendio divampato – o appositamente appiccato – nel palazzo imperiale fu considerato come una reazione violenta dei cristiani, il che comportò immediatamente una serie di persecuzioni contro i personaggi più eminenti della comunità cristiana, oltre che contro i luoghi di culto e i libri sacri. La persecuzione fu comunque graduale e non coinvolse immediatamente tutti i fedeli di Cristo: in questi primi mesi perirono tra gli altri il vescovo Cirillo, il martire Pietro e i santi Doroteo e Gorgonio. La persecuzione però anziché fiaccare la resistenza cristiana la rese ancora più strenua – come dovette ammettere dieci anni più tardi lo stesso Galerio –, tanto che una importante sacerdotessa pagana, Domna, proprio in quel periodo si convertì alla fede cristiana. 
Episodio culminante di questa violenta persecuzione fu quello del Natale del 302, quando, davanti all’immensa moltitudine dei fedeli radunatisi per festeggiare la nascita di Nostro Signore, Diocleziano ordinò che si sbarrassero le porte della chiesa. A quel punto fece mettere all’entrata un tripode con fiamme e carbone per bruciare incenso, ordinando che chiunque fosse uscito dalla chiesa avrebbe avuto salva la vita se avesse bruciato incenso in onore di Giove. La risposta unanime del popolo cristiano fu che avrebbero accettato la morte piuttosto che tradire quel Gesù che si era fatto carne e sangue per la nostra salvezza. Davanti alla santa ostinazione dei cristiani venne il comando di dare fuoco alla chiesa insieme a tutti quelli che vi erano all’interno... martiri del Natale e martiri della gioia, questi cristiani di Nicomedia accorsi in chiesa per celebrare sulla terra la nascita del Bambinello e, immediatamente, trovatisi al suo cospetto nella Betlemme del Cielo.


I piccoli martiri di Gesù Bambino
Se il martirio dei Santi Innocenti è tanto prossimamente collegato all’evento storico del Natale da poter definire questi a pieno titolo “martiri del Santo Natale”, è anche vero che ogni piccolo fanciullo che abbia pagato con la propria vita la fede a Cristo si è in qualche modo conformato a Cristo. Il martirio è partecipazione alla Passione di Cristo Redentore – e dunque del Cristo ormai adulto –, ma la fanciullezza e l’innocenza di questi piccoli li assimilò inevitabilmente anche al Cristo infante, che nella fredda mangiatoia di Betlemme sperimentò fin da subito, con spirito di martire, le durezze della vita terrena. La volontà redentrice di Cristo infatti si prolunga da Betlemme al Calvario, anzi dal seno dell’Annunziata di Nazareth al seno della Corredentrice di Gerusalemme. Così, in qualche modo, tutti i martiri infanti dell’epoca antica e moderna si sono distesi con Gesù Bambino su quelle dure assi di legno di Betlemme, che già prefiguravano la Croce del Calvario, e nel loro corpo hanno completato ciò che mancava alla Passione di Cristo. Tra questi non possiamo dimenticare i piccoli martiri dei tempi antichi come il piccolo taumaturgo san Vito, morto a 7 anni sotto l’imperatore Diocleziano, l’adolescente san Pancrazio, o la grande piccola sant’Agnese, morta a 12 anni. 
Sempre dell’epoca romana non bisogna dimenticare l’inclito protettore dei chierichetti, san Tarcisio, che nel suo amore e nella sua dedizione per l’Eucaristia, dimostrò anche la sua profonda devozione per il mistero della santa Incarnazione di Cristo, di cui l’Eucaristia è la prosecuzione sacramentale. In un periodo di persecuzione, essendo i sacerdoti impediti nel loro ministero o di troppo esiguo numero, fu affidata al giovinetto la missione di portare l’Eucaristia ai cristiani nascosti e ai carcerati. Scoperto da alcuni pagani, rifiutò di consegnare le Ostie che nascondeva sul petto all’altezza del cuore e fu dunque ucciso barbaramente ma, per un prodigio, le Sacre Specie che custodiva si incarnarono nel suo corpo morto, sfuggendo così alla profanazione. 
Ancora più esplicitamente “natalizio” fu invece il martirio del giovinetto sant’Artema, che da scolaro si prodigava coraggiosamente nella sua classe nell’annunciare il messaggio cristiano. In modo particolare davanti agli increduli pagani si faceva difensore e assertore dell’Incarnazione di Cristo, che dalle altezze del Cielo si era fatto uomo per redimerci e dimostrarci il suo amore. Giunti i tempi della persecuzione, un giorno un sacerdote pagano si recò a scuola e gli chiese di rinnegare la sua fede e il mistero dell’Incarnazione di Dio, ma davanti a una nuova affermazione di questo, lo fece trafiggere dagli altri discepoli con gli stili di ferro che usavano per scrivere sulla loro tavola cerata. Mentre spirava, però, il giovane santo martire invocò gli angeli del Cielo che, davanti a quei pagani furiosi, sollevarono il corpo di Artema e ne portarono l’anima in Cielo. 
Sbaglieremmo però a pensare che solo l’epoca antica registri il martirio di giovani cristiani assassinati dai pagani. Il dodicenne coreano san Pietro Yu Tae-ch’ol e le sante adolescenti cinesi Lucia Wang Cheng, Maria Fan Kun, Maria Qi Yu e Maria Zheng Xu sono esempi di come anche in epoca moderna il paganesimo abbia ucciso i giovani convertiti cristiani. 
Ancora più doloroso il caso dei giovani e infanti martiri della Vandea, uccisi dai fautori della Rivoluzione francese. La Vandea infatti era una regione francese che, anche dopo il trionfo dei rivoluzionari anticristiani, si dimostrò fedele al re e soprattutto alla Santa Chiesa. Nel 1793, nel contesto del sanguinario “Terrore”, i giacobini decisero di fare piazza pulita di questi retrogradi e zotici cattolici: migliaia di uomini furono annegati dalle “colonne infernali”, ovvero dalle unità dell’esercito inviate appositamente per compiere eccidi di massa. Nel piccolo villaggio di Les-Lucs-sur-Boulogne la gente del luogo si radunò in chiesa a pregare il santo Rosario, per impetrare l’aiuto di Dio contro questi infernali persecutori. Irritati dalla loro fede, i rivoluzionari diedero alle fiamme la chiesa con tutta la gente al suo interno. Tra coloro che rinnovarono la passione dei martiri di Nicomedia molti non avevano altro che pochi mesi e numerosissimi furono i bambini sotto i 10 anni.


I martiri dell’odio a Cristo
Se ogni bambino martire in qualche modo è un martire di Gesù Bambino, ancora più possono vantare questo legittimo titolo i numerosi martiri bambini che nel corso di molti secoli finirono vittime dell’odio e della crudeltà di alcune sette estremistiche di Ebrei. Il discrimine tra il giudaismo  – con la sua presunta fedeltà all’Antica Alleanza – e il Cristianesimo, scaturito dalla Nuova Alleanza, è costituito proprio da Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, in cui si compiono le speranze dei patriarchi, i vaticini dei profeti e le figure dell’Antico Testamento. Gesù è il Messia venuto per liberare il popolo di Israele dalla schiavitù del peccato e guidarlo verso il Paradiso, ma i Giudei – eredi dei tronfi farisei e dei politicanti sadducei – non lo hanno superbamente riconosciuto, rifiutandosi di vedere nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso del Golgota Colui che dai tempi antichi era stato promesso. Da quel momento il loro odio si riversò contro la persona e la figura di Gesù Cristo nostro Signore e, non di rado, contro i suoi fedeli. Un caso particolare di ciò fu quel discusso fenomeno che, nel corso del Medioevo e dell’epoca moderna, si verificò in molte città europee e del Medio Oriente e che prende il nome di “omicidio rituale”. In alcune sette ebraiche, in cui la fedeltà alle antiche tradizioni si mischiava all’odio anticristiano e a pratiche magiche, infatti, all’approssimarsi della Pasqua ebraica (e dunque di quella cristiana) si commettevano omicidi di piccoli bambini cristiani, per utilizzarne il corpo e soprattutto il sangue per macabri rituali. Per quanto oggi gli storici tendano a negare l’esistenza stessa del fenomeno, i nomi di bambini quali il beato Simonino di Trento, san Riccardo di Pontoise, il beato Andrea da Rinn, il beato Rodolfo di Berna, sant’Ugo di Lincoln, il beato Lorenzino Sossio e san Cristoforo della Guardia attestano l’evidenza di omicidi perpetrati ai danni di bambini cristiani all’approssimarsi della Pasqua, con evidenti indizi che rimandano a dei colpevoli tra la comunità ebraica. In alcuni casi poi il fatto assunse anche una particolare tragicità. Dopo essere stato ucciso, il cuore dello spagnolo san Cristoforo della Guardia – di soli 4 anni – fu bruciato e ridotto in polvere. La polvere venne poi mischiata a frammenti di Ostia e usata come medicamento magico. In alcuni casi il sangue di questi bambini venne usato per impastare pagnotte, a imitazione e scherno della santa Eucaristia. Ancor più cruento – ma ancor più simile alla morte di Gesù – il caso dello svizzero Rodolfo di Berna, crocifisso per parodiare la Passione di Cristo, e del settenne bambino spagnolo san Domenico del Val che a Saragozza venne rapito, vestito di una tunica bianca e poi crocifisso a un muro, praticandogli una ferita al costato mentre egli invocava il nome di Cristo... tanto simile a Gesù Crocifisso, eppure tanto piccolo come Gesù Bambino.


Le martiri della purezza
Accanto ai piccoli fanciulli che si sono tanto assimilati a Cristo da dare la vita per la fede, non dobbiamo dimenticare la schiera delle martiri della purezza. San Bonaventura nel suo celebre opuscolo sull’infanzia di Gesù (Le cinque feste di Gesù Bambino) riflette come la caratteristica principale del Neonato divino sia la purezza. La purezza e la castità sono le virtù che rifulgono nella grotta di Betlemme, dove Dio volle appunto che solo tre vergini stessero: Gesù, Maria e Giuseppe. E nell’osceno mondo pagano, che tanto spesso divinizzava la sessualità, il Verbo Incarnato portò la purezza e persino la verginità, come attributi precipui di coloro che sono di Dio e vogliono stare vicini a Dio. Come non vedere dunque nelle martiri della purezza uno specchio di Gesù Bambino, che con la sua disarmata e innocente purezza e castità sfida le immonde oscenità dell’umanità deviata? 
La piccola santa Maria Goretti è così la capofila di queste martiri: canonizzata da Pio XII, la piccola fanciulla uccisa a Nettuno nel 1902, a 12 anni, divenne fin da subito il baluardo della virtù della castità di fronte a questo mondo sprofondato nei peccati contro il sesto Comandamento. La piccola infatti resistette alle lusinghe e poi al tentativo di violenza del vicino di casa Alessandro Serenelli, redarguendolo con carità cristiana: «Che fai, Alessandro? No, no, Dio non vuole. Così si va all’inferno». Il giovane, acceso di passione, mosso nell’orgoglio a causa del rifiuto e, infine, accecato dall’ira, trafisse il corpo della fanciulla con 14 coltellate. Sul letto di morte – con una vera e propria intenzione redentrice – la piccola Maria disse con tono angelico: «Per amore di Gesù lo perdono e voglio che venga con me in Paradiso». 
Analogo il caso della brasiliana beata Albertina Berkenbrock, di 12 anni, morta nel 1931 a São Luís, dopo aver resistito al tentativo di aggressione e violenza carnale da parte di un povero a cui era solita portare il cibo. Mentre il poveretto, frustrato, la sgozzava con un coltello, la piccola martire seppe solo ribadire: «Non voglio il peccato». Sulla sequela delle due Sante della purezza il XX secolo ricorda tanti casi analoghi come quello delle serve di Dio: la portoghese Maria Vieira da Silva, la spagnola Josefina Vilaseca, l’ungherese Maria Bodi; della beata Piera Morosini e di Marisa Porcellana. Tutte pronte a dare la propria vita per non offendere Dio con il peccato e per preservare casto quel corpo che il Signore aveva loro donato: pure come Gesù Bambino, eppure martoriate proprio in quel corpo in cui dimorava un’anima veramente verginale. 
Non molto diverso poi il caso della martire dei tempi antichi, santa Solangia, piccola e santa pastorella. A 7 anni scelse di votare la sua verginità a Dio, scegliendo Cristo come suo Sposo: in cambio di questa sublime offerta nuziale, lo Sposo divino le diede in dono una stella che, a imitazione di quella che aveva guidato i Re Magi, la guidava durante le notti per condurre le bestie al pascolo. Essendo di egregia bellezza, alcuni anni dopo un re la invitò a sposarlo, ma ella rifiutò, segnalando come avesse già sposato il Re dei Cieli: a causa del rifiuto le fu troncato il capo.


I martiri di Gesù Bambino
Un po’ collegato al Santo Natale è il caso dei famosi martiri giapponesi, almeno per alcune coincidenze cronologiche: il beato Michele Nakashima, professo gesuita, dopo molti mesi di prigionia in cui strenuamente rifiutò di apostatare, fu in effetti ucciso proprio il 25 dicembre, mentre un gruppo di 25 martiri – tra cui i santi bambini Tommaso Cesaki, Antonio da Nagasaki e Lodovico Ibarki –  furono crocifissi il giorno dell’Epifania del 1597. 
La storia dell’agiografia però ci riporta casi di santi martiri in cui il collegamento natalizio non è solamente cronologico. Il martire san Montano, un soldato romano vittima della persecuzione di Diocleziano, quando si trovava in prigione in attesa della sentenza capitale, ricevette la visita di Gesù Bambino che lo confortò nelle sofferenze con queste dolci parole: «Abbi in te la grazia mia. Io fui e sono con te. Molto ti resta da patire, ma Io giuro che i tiranni non potranno vincerti con le loro violenze: stai unito a me, e non tenere». Prima di partire il Bambinello toccò la ruvida mano del soldato con la sua manina, conferendogli all’istante una forza e una gioia inusitata, tanto che fino al doloroso e straziante martirio san Montano non cessò di cantare e giubilare: «Beati quelli che credono in Gesù Cristo». 
Curiosa anche la storia di un certo san Giorgio martire, un saraceno convertito alla vera fede e poi morto per mano dei suoi ex correligionari. Un giorno entrò in una chiesa cattolica con la volontà di profanarla e fare violenza ai cristiani, ma rimase inorridito da una visione: durante la Santa Messa vide infatti il celebrante che faceva a pezzi per tre volte il corpo di un bambino, e poi vide che comunicava il popolo con il corpo e il sangue del bambino. Spaventato e inorridito dalla crudeltà efferata che attribuiva ai cristiani, tentò di avventarsi sul sacerdote, per ucciderlo e vendicare la morte del bambino, ma il sacerdote con molta calma gli spiegò come in quell’occasione il Signore gli avesse permesso di vedere dietro i veli del sacramento dell’Eucaristia, la quale è in realtà un sacrificio incruento. Inteso questo, il saraceno comprese la sublimità della Religione e del culto cattolico, si convertì e si fece battezzare con il nome di Giorgio; in seguito morì martire. Un altro martire che dunque da lontano – al pari dei Re Magi di Oriente – venne ad adorare il Bambinello divino, non offrendo in dono oro, incenso e mirra, ma la sua stessa vita: l’oro della fede, l’incenso della preghiera e la mirra della morte da martire. 
Che i santi martiri di Gesù Bambino ci aiutino a vivere intensamente il Natale e a comprendere come valga la pena di dare la nostra vita per il Fanciullo divino. 

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