PASQUA
Pagine scelte | La prima apostola del Vangelo
dal Numero 15 del 17 aprile 2022
di Padre Serafino Tognetti, CFD

“Maria!”, “Rabbunì!”. Ecco la sposa e lo Sposo. Ecco le nozze divine. Ecco l’unione di Dio con l’uomo. Ecco la Chiesa. Ecco il mistero della morte e risurrezione del Signore.

L’atto dell’unzione nella casa di Betania è di straordinaria intensità. È un atto d’amore. Maria fa il gesto che avrebbe dovuto fare il sommo sacerdote: ungere Gesù come Messia, come re, come sacerdote. Nell’Antico Testamento il re veniva unto, gli veniva versato l’olio sul capo (ricordiamo Saul e Davide). Chi veniva proclamato re d’Israele riceveva l’unzione che lo consacrava, cioè che lo rendeva sacro per la funzione che doveva svolgere. Alla stessa maniera venivano unti anche i sacerdoti: veniva versato l’olio sul loro capo, e questo gesto li consacrava a Dio per svolgere il servizio sacerdotale. Anche adesso, nella Chiesa Cattolica, il giorno della nostra consacrazione noi sacerdoti veniamo unti con l’olio sulle mani. Ciò vuol dire che siamo dedicati a Dio, siamo particolari, possiamo fare delle cose che nessun altro uomo può fare: consacrare le Sacre Specie e assolvere i peccatori. 

Gesù doveva essere riconosciuto dai capi del popolo come re d’Israele, Messia inviato al mondo, e sacerdote unico e universale. Ma questo non fu fatto dai capi del popolo. Anzi, nel versetto precedente si dice: «I sommi sacerdoti avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunziasse, perché essi potessero prenderlo» (Gv 11,57). Dunque i sommi sacerdoti, tutt’altro che intenzionati a ungerlo e riconoscerlo Messia e re, lo vogliono addirittura uccidere. Ed ecco la donna, Maria di Betania. Alcuni studiosi dicono che questa Maria sorella di Lazzaro non sia la stessa Maria di Magdala, ma noi restiamo con la tradizione più accreditata: che questa Maria di Betania sia anche la donna perdonata dai molti peccati, divenuta discepola fedele, che poi sarà sotto la croce insieme a Maria Santissima. 

In un ambiente familiare, in una casa, durante un banchetto, ella entra e fa quello che devono fare i sommi sacerdoti: prendere l’olio prezioso e ungere il corpo di Gesù. Il gesto non viene dalla classe sacerdotale, ma dalla donna che è stata perdonata e salvata: è lei che riconosce di essere davanti al Re dell’universo e al vero sommo Sacerdote, è lei che agisce a nome di tutti gli uomini: ella non ha alcuna funzione pubblica, non è un sacerdote, ma rappresenta l’umanità perdonata. Direi di più: rappresenta la Chiesa. Di più ancora: rappresenta la Chiesa-sposa. La sposa infedele e peccatrice è già stata perdonata. Nel momento in cui rompe il vasetto di olio profumato, il profumo si espande in tutta la sala. Questo profumo è segno dell’amore che si espande, simbolo e segno dell’amore della donna. [...].

È questa forse l’immagine più bella e più vera dell’amore. Fuori è tutto tenebra. Gesù è odiato dai capi, dai sacerdoti del Sinedrio che lo vogliono uccidere. Gesù va dove è amato, e dove è amato l’amore si effonde. Questo significa che se il mondo è nelle tenebre (lo dice anche l’evangelista Giovanni: «Tutto il mondo è posto sotto il maligno», 1Gv 5,19), ci sono tuttavia dei luoghi di amore in cui Gesù è amato. Questi luoghi sono le singole case: non luoghi pubblici, ma l’intimità domestica. Oggi queste case altro non sono che i nostri cuori. Fuori ci può essere la tempesta, ma se io amo e sono amato, nel mio cuore Gesù siede alla mia mensa. [...].

La scena

«Maria, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento». È un colpo di scena. Sono a tavola, stanno mangiando. A un certo punto Maria entra con un vasetto e fa qualcosa di molto strano e inaspettato, tant’è che Giuda subito reagisce, ma nel Vangelo di Marco (in Giovanni non se ne fa nota) si dice che anche tutti gli altri, quindi anche i discepoli, brontolarono per questo spreco. Cos’è questo nardo profumato? Ci viene detto fosse una libbra; una libbra è circa tre etti, quindi una discreta quantità. Il nardo era una sostanza profumata molto costosa perché veniva dall’India, e il nardo più pregiato si doveva andare a raccogliere sui monti – sembra addirittura che questa piantina crescesse solo oltre i 3000 metri, quindi provate a immaginare: si doveva andare sui monti, raccoglierlo, quindi estrarne l’essenza dalle radici. Anche questo è un simbolo interessante: il fiore muore, muore la parte più superficiale e più bella, esposta al sole, e si prendono le radici; significa che per amare bisogna morire a se stessi. Per avere un’idea del valore di questa essenza, immaginate anche le operazioni di importazione con i mezzi di allora; tant’è che Giuda, che conosce il valore del denaro, parla di 300 denari. Ora, il calcolo farebbe corrispondere i 300 denari a un anno di salario di un operaio medio di oggi. Potremmo dire che questo vasetto di olio profumato oggi avrebbe il valore di circa 15.000 euro. Pensate voi ad avere in casa un vasetto con dentro un unguento da 15.000 euro... Una sostanza decisamente molto costosa e prestigiosa. 

La donna rompe il contenitore e comincia a ungere il Signore Gesù. Si noti che questo gesto, in un contesto religioso, sarebbe piuttosto indecoroso. Dice un’intimità: i piedi del Signore, i capelli della donna... Sono immagini che, diciamolo francamente, esprimono una gestualità di cui forse, se la vedessimo per la prima volta, anche noi rimarremmo un po’ turbati. [...]. Maria non ha paura di essere fraintesa, non teme le critiche. Rompe il vasetto, e il profumo che si espande in tutta la stanza è il segno del suo amore. Maria non fa calcoli, non le interessa che il profumo costi 15.000 euro. Avendo avuto il perdono, Maria dà al Signore tutto quello che ha: “È tutto, Signore! Quello che ho di più prezioso è tutto tuo”. Si entra nella dimensione dell’amore totale. Maria dà tutto. Il profumo che si espande non guarda se stesso. L’amore è proprio così: non fa calcoli, non considera cosa gliene viene e non guarda che cosa spreca; l’amore si espone anche al ridicolo e alla critica. 

Il cuore del Vangelo

Maria sa benissimo che questo gesto provocherà delle lamentele anche tra i suoi fratelli, ma non le importa nulla. È la prima persona in tutto il Vangelo che fa un gesto di amore nei confronti di Gesù. Escludiamo per un momento Maria Santissima e i trent’anni della vita di Nazareth: Maria Santissima è senza peccato, parliamo del mondo dei peccatori. Nel Vangelo ci sono molte persone che vanno dal Signore a chiedere qualcosa: chi la guarigione, chi il consiglio, chi la pietà, chi un pane: nessuno va da Lui semplicemente per manifestargli amore, senza chiedere nulla in cambio. L’amore di Dio non chiede niente, è gratuito, si dona, perché l’amore vero è fatto così. Noi difficilmente conosciamo l’amore “vero”, quello che non fa calcoli, che non dice “ti amo” per avere qualcosa in cambio; ti faccio un gesto, ma aspetto che tu mi dia il ritorno. No, l’amore vero, quello di Dio, è l’amore effusivo, cioè si dona e basta. È vero che Maria di Betania ha avuto il perdono, ma è anche vero che Gesù di lei ha detto: «Ha molto amato, perciò le è stato anche molto perdonato» (Lc 7,47). Maria di Betania è la prima persona in tutto il Vangelo che ama Gesù gratuitamente, “sprecando” tutto, gettando via tutto il profumo mentre poteva darne la metà e tenere il resto per sé. Invece no, lo dà tutto. Silvano Fausti, commentatore di questo passo, afferma: «Questo gesto della donna è il vero Natale di Gesù». Significa che Gesù “nasce” realmente in questo gesto, perché Maria di Betania con il suo amore lo fa vivere, essendo Dio amore. Con questo gesto di amore gratuito, la sorella di Lazzaro è l’unica che conosce Gesù, che veramente dice: “Ho capito chi sei”. 

Nella scena domina l’amore della donna peccatrice salvata. Ecco il simbolo della Chiesa, che risponde al suo Signore Gesù non con un grazie indifferente, ma con la stessa moneta, cioè con la stessa totalità. Dio ha creato l’uomo perché l’uomo lo ami. Noi siamo fatti per l’amore, creati a immagine e somiglianza di Dio, ma siamo molto abituati a un amore do ut des, che è l’economia di Giuda: io ti do qualcosa e aspetto il ritorno.

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