I FIORETTI
Gianna Michelagnoli
dal numero 6 del 4 febbraio 2024

«Abbiamo da poco festeggiato sessant’anni di matrimonio. E fu padre Pio a sposarci. Dobbiamo a lui il nostro incontro e perciò il Padre si sentiva un po’ responsabile per noi. Quando chiedeva di noi a qualche figlio spirituale di Prato, infatti diceva sempre: “Ma come stanno i due piccioncini?”». Così mi dice la signora Gianna Michelagnoli, 79 anni, che insieme al marito Sergio Rossi, 82 anni, ex industriale nel settore tessile, vive in una bella casa in un tranquillo quartiere di Prato. La loro storia è bellissima. 
«Comincia nel 1958 – continua la signora Gianna – quando i miei genitori sopravvissero a un terribile incidente stradale nel quale la loro auto venne schiacciata da un camion. Papà era sicurissimo di aver sentito la presenza di padre Pio in quei terribili momenti e così andò a trovarlo per ringraziarlo, si confessò da lui e divenne un suo devoto.


Nell’estate del 1960, avevo 16 anni. Una sera, ero a tavola con i miei quando la nostra domestica, originaria di San Giovanni Rotondo, ci disse che l’indomani sarebbe andata al paese, a trovare i parenti e anche padre Pio. “Mamma, papà, ci vado anch’io da padre Pio domani!”, esclamai di colpo. Calò il silenzio. E subito dentro di me pensai: “Perché mai ho detto una cosa del genere?”. La frase infatti mi era uscita spontanea senza che lo volessi, quasi non fosse dipeso dalla mia volontà. I miei genitori si dimostrarono contrari. Era fuori discussione! Non certo perché non credessero in padre Pio, come ho detto erano suoi devoti. Il fatto era che ero solo una ragazzina. Più tardi però, passando davanti alla loro camera da letto, sentii la mamma che diceva: “E se Gianna avesse avuto una chiamata? Forse dovremmo lasciarla andare”. E così il giorno dopo partii insieme alla domestica. Mamma e papà non volevano correre il rischio di ostacolare un progetto di padre Pio. E un progetto su di me, il Padre lo aveva.


Ricordo il viaggio in treno. Non c’era posto da nessuna parte e dovetti fare tutto il tragitto nel corridoio, davanti alla toilette e seduta sulla valigia. Arrivammo a San Giovanni Rotondo che era notte fonda, andammo subito a dormire perché il mattino seguente, alle 5.00, padre Pio celebrava la Santa Messa. C’era un pulmino che faceva la spola dall’albergo al convento e bisognava essere pronti alle 4.00. Dico la verità, non ricordo i particolari della Messa se non che c’erano moltissime persone. Però dopo la funzione, ebbi la possibilità di confessarmi dal Padre. E ho ancora nella mente quei suoi occhi che mi osservavano dalla grata del confessionale. Erano occhi grandi, misteriosi e bellissimi. Sotto il suo sguardo mi sentivo piccola piccola e a un certo punto scoppiai anche a piangere. Padre Pio fu allora amorevole e la sua voce era come una carezza. Non mi diceva nulla circa il mio arrivo a San Giovanni e quindi seguitavo a pensare: perché sono qui? Perché ho voluto venirci?


Pochi giorni dopo arrivò Giovanni Bardazzi. Era un personaggio molto noto tra i devoti di Prato. Era un convertito diventato figlio spirituale di padre Pio. Con la sua auto accompagnava sempre persone dal Padre, e quella volta con Giovanni c’era anche un ragazzo di 19 anni, un certo Sergio Rossi, di cui avevo sentito parlare senza mai incontrarlo. Avevamo frequentato la stessa scuola, ma aveva la reputazione di essere un figlio di papà molto viziato, sempre in cerca di facili amori... insomma uno da cui stare alla larga. Seppi poi che non era venuto a San Giovanni Rotondo per padre Pio, ma per andare a caccia sul Gargano. Il mattino seguente mi alzai ancora alle 4.00 per prendere il pulmino e salire in tempo al convento per la Messa. Stavo aspettando il passaggio, quando mi accorsi che lì accanto c’era proprio quel Sergio. “Che ci fai qui?”, gli chiesi. “Non lo so – mi rispose –, mi sono svegliato... ma non so perché sono qui”. La sua risposta mi incuriosì. La associai alla mia decisione di partire, presa così all’improvviso. Quel giorno io e Sergio andammo a Messa insieme e stavolta non mi persi un solo istante. Ecco perché posso dire ora com’era la Messa di padre Pio, un qualcosa di mai vissuto prima. In quei momenti si aveva l’impressione di essere fuori dal tempo oppure in un altro mondo. Là, inginocchiata, penso di aver visto il Paradiso. Padre Pio celebrava nella chiesetta piccola ed eravamo tutti stretti, a pochi metri da lui. E lo si vedeva realmente vivere la Passione di Gesù sul proprio corpo. Si capiva che soffriva terribilmente e che andava in estasi. Al momento dell’elevazione, ad esempio, non smetteva di dire: “Oh mio Dio! Oh mio Dio!”, e poi si alzava da terra! È proprio così, non sto scherzando. Padre Pio levitava, lo vedevamo tutti benissimo, ma quel prodigio non destava stupore, tanto si era assorti e concentrati nel mistero che si stava celebrando. In quell’atmosfera di Paradiso sembrava essere la normalità. La Messa durava ore, ma pareva un soffio. 
Quel giorno Sergio andò a confessarsi, ma padre Pio non gli diede l’assoluzione. Anzi lo cacciò, anche se con gentilezza. “Torna quando sarai più preparato”, gli disse secco. A quelle parole, Sergio si sgretolò. Lo vidi affranto, un’anima in pena. Iniziò a farsi mille domande, a rivedere la sua vita, come si comportava e si ripromise di migliorare e di tornare presto.


Nel frattempo, però, tra noi era scattato qualcosa di bello. Tornati a Prato, scoprimmo di volerci bene. Tuttavia mio padre era fortemente contrario. Non gli piaceva Sergio e diceva che era un poco di buono. Sergio invece era cambiato, padre Pio lo aveva fatto maturare. Era evidente. Si mise in mezzo anche Giovanni Bardazzi, il figlio spirituale di padre Pio. Si era accorto pure lui del cambiamento di Sergio e così tutti i giorni provava a convincere mio padre. Finché papà sbottò: “Senti Giovanni, vai da padre Pio e chiedigli cosa ne pensa di questa storia. Se lui è d’accordo, allora andrà bene anche per me”. Papà era sicuro che padre Pio avrebbe detto di no perché aveva già allontanato Sergio senza dargli l’assoluzione. Quindi non si dette pensiero più di tanto.


Bardazzi e Sergio partirono da Prato alla volta di San Giovanni Rotondo, salirono al convento e Sergio andò a confessarsi. E questa volta il Padre lo assolse. Sergio però non aveva il coraggio di chiedergli il suo parere sul nostro amore perché temeva che padre Pio fosse contrario. Ci pensò il buon Bardazzi, che si era preso a cuore la nostra storia. Giovanni raccontò tutto di noi a padre Pio ed egli, mentre ascoltava, sorrideva e annuiva con la testa, come se sapesse già tutto quanto. Alla fine disse: “Se si vogliono bene, noi cosa possiamo farci!”. Quindi si voltò verso Sergio, gli fece un gran sorriso e disse: “Eh sì, e vi sposerò io!”. 
Sergio si sentì scoppiare dalla gioia. Telefonò subito a casa e quando papà seppe cosa aveva detto padre Pio, non poté fare altro che acconsentire. Ci sposammo il 20 aprile del 1963 e fu uno degli ultimi matrimoni che padre Pio celebrò prima che i superiori glielo impedissero a causa della sua salute. Si era preso a cuore la nostra unione e quando Bardazzi e altri figli spirituali di Prato andavano a trovarlo, lui chiedeva sempre di noi. “I ragazzi? Come stanno i due piccioncini? Salutatemeli tanto’’».  

 

di Roberto Allegri 

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