I FIORETTI
“In nome di Gesù, cammina!”
dal Numero 28 del 24 luglio 2022

Frank e Alice Jones sono due coniugi inglesi [...] che vivono a St. Helens nel Lancashire, un piccolo centro industriale a venti chilometri da Liverpool. Non avevano mai sentito parlare di padre Pio. Non sapevano chi fosse stato, dove avesse vissuto, che cosa avesse fatto. Eppure padre Pio si è manifestato anche a loro. Alice Jones era semiparalizzata da sette anni e padre Pio l’ha guarita. Ecco l’incredibile storia raccontata dalla stessa miracolata.

«L’incidente che doveva lasciarmi semi-invalida accadde il 27 marzo 1973 – dice Alice Jones –. Io allora ero insegnante elementare della scuola locale e quel giorno stavo sollevando un pesante tavolo, quando un alunno sbadatamente mi urtò facendomi cadere.

Tentai di sollevarmi ma le mie gambe sembravano diventate di ovatta. Arrivarono dei colleghi a soccorrermi e, in preda a dolori lancinanti, fui accompagnata a casa. Il medico mi prescrisse alcuni sedativi e il riposo completo per alcune settimane.

Nei mesi successivi, gradualmente le cose peggiorarono e nel marzo del 1974 fui ricoverata nell’ospedale di Broad-green, a Liverpool, e sottoposta a una lunga operazione. I chirurghi trovarono che la spina dorsale era contratta e distorta. Scoprirono anche che ero affetta da un neurofibroma che mi causava la paralisi della spalla sinistra.

Dopo un paio d’anni fui sottoposta a una seconda operazione, questa volta nell’ospedale di St. Helens, per inserire un supporto d’acciaio nella colonna vertebrale. Ciò mi impediva di piegarmi.

Rimasi immobile a letto 12 mesi, con il busto e l’arto sinistro ingessati. Ogni quattro ore una gru mi sollevava consentendo agli infermieri di cambiarmi posizione. L’operazione era stata un fallimento.

Ritornai a casa, più disperata di prima. Potevo muovermi soltanto facendo uso di un supporto ortopedico con una scarpa a una estremità, munito di una molla per riportare il piede in posizione normale, un busto di acciaio e due grucce.

Dopo la seconda operazione avevo riportato anche una infezione al piede sinistro.

I dolori erano indescrivibili e me ne stavo rannicchiata per terra tutto il giorno, avendo quasi paura di respirare per non provocare spasimi ai nervi dorsali.

Seguì un periodo di profonda depressione, durante il quale pensai più volte al suicidio.

Prendevo una ventina di pastiglie tranquillanti ogni giorno, e in più bevevo almeno una mezza bottiglia di whisky. Non ero più un essere umano, ma un rottame, incapace persino di andare al gabinetto da sola.

In seguito perdetti anche la fede e non riuscivo più a pregare. Mio marito mi propose di andare in pellegrinaggio a Lourdes, ma io rifiutai non avendo più fiducia in nessuno e in nulla, nemmeno in Dio.

Avevo perduto il mio lavoro, avevamo esaurito tutti i nostri risparmi ed ebbi il colpo di grazia quando morì mia madre, che adoravo. Immobilizzata com’ero, non potei neanche andare al suo funerale.

Nel 1980, per celebrare il centenario della diocesi di Liverpool, la chiesa di “St. James the Great”, alla quale appartenevo, invitò due preti di altre diocesi, uno dei quali era il reverendo Eric Fisher, il quale avrebbe diretto, nella nostra chiesa, un corso di “guarigioni spirituali”.

Io rifiutai di partecipare, primo perché ormai non credevo più e poi perché non potevo proprio muovermi e non volevo essere portata di peso.

Non avevo mai visto il reverendo Fisher e fu lui, messo al corrente del mio caso, a insistere per venirmi a trovare a casa.

«Mi apparve un vecchio monaco»

Arrivò martedì 27 maggio. Era un uomo giovane, gioviale, molto diverso da come lo avevo immaginato.

Gli dissi che ero paralizzata da sette anni ed espressi i miei dubbi sulle sue facoltà di “guaritore spirituale”. Gli chiesi anche di non parlarmi di Dio.

“Va bene, parliamo di te”, mi rispose.

Io cominciai a riversare tutta l’amarezza che avevo represso dentro di me per sette lunghi e dolorosi anni, confidando a padre Fisher la mia decisione di suicidarmi.

Mi lasciò sfogare, quindi mi toccò la schiena con le mani e io sentii, per la prima volta in tanti anni, un calore formicolante che mi rimase addosso per tutta la notte.

Padre Fisher se ne andò e mia figlia minore, Leslie, che allora aveva 21 anni, mi fece notare che, nella stanza, era rimasto un forte profumo di rose o di viole. “Quel reverendo usa una lavanda o una lozione dopobarba molto intensa” commentò. Io però non sentivo alcun profumo.

Padre Fisher ritornò l’indomani, mercoledì 28 maggio, verso le 11 del mattino. Io ero sdraiata per terra, che era la posizione più comoda per me, e nel salottino c’erano mia figlia Leslie e suo marito Steven.

Padre Fisher mi disse subito che aveva pregato a lungo per me e che aveva avuto una rivelazione: la mia deformità e i miei dolori sarebbero scomparsi.

Mi disse: “Sfilati il supporto di acciaio della gamba e gettalo via”. Mi palpò la gamba paralizzata e provai un dolore lancinante, che non avevo mai provato prima. Era tremendo come se fossi stata trafitta da un ferro rovente. Mi sollevai dal pavimento e mi sedetti a fatica in una poltrona. Padre Fi- sher insistette: “Prova a camminare”.

Improvvisamente, sovrapposta sulla sua faccia, scorsi l’immagine di un vecchio con una folta barba, vestito da monaco. Aveva una cicatrice sul volto e le mani chiuse, come se fossero rattrappite. Si mosse, ed era accanto a me.

Percepii che il vecchio frate mi stava parlando: parlava una lingua diversa dalla mia, ma stranamente comprendevo le sue parole. Disse: “Gesù, Gesù”. Quindi sollevò una mano e aggiunse, quasi sottovoce: “Il tuo piede è ora forte, la tua gamba è guarita. Alzati e cammina”.

Io esitai. Per sette anni non avevo mai mosso un passo senza il supporto artificiale e senza le stampelle. Il vecchio monaco insistette, questa volta con un tono di comando: “In nome di Gesù, cammina!”. Io eseguii l’ordine e senza alcun aiuto raggiunsi da sola l’altro angolo della stanza.

Il frate scomparve di colpo e al suo posto ricomparve padre Fisher.

Allo stesso tempo scomparvero tutti i miei dolori. Non sapevo se ero viva o se mi trovavo nel regno dei defunti. Non sapevo chi fosse stata quell’apparizione: era troppo vecchio per essere Gesù e pensai, non so perché, che fosse Mosè.

Padre Fisher tracciò il segno della croce nell’aria. “Ora non hai più bisogno di me” disse prima di andarsene e uscì.

Passati i primi momenti di sbalordimento, corsi nella mia camera da letto, tirai fuori dall’armadio un vecchio paio di scarpe con i tacchi alti, che non avevo più calzato da sette anni, me le infilai, presi in braccio il mio nipotino e cominciai a danzare per la casa, pazza di gioia.

Telefonai subito a mio marito, che da 30 anni era infermiere nel reparto ortopedico del nostro ospedale: “Frank, Frank, posso camminare, posso muovermi, non ho più alcun dolore” urlai tra le lacrime.

Pensò avessi ingoiato una forte dose di tranquillanti, che fossi in stato di allucinazione. “Calmati, stai tranquilla, non far nulla. Vengo subito a casa” mi rassicurò».

«Per la scienza sono ancora inferma»

Frank Jones, il marito di Alice presente alla conversazione, conferma tutto. «Quando vidi mia moglie piroettare agilmente con quelle scarpe con i tacchi a spillo, credetti a un’allucinazione» dice. «Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Alle cinque del mattino le esaminai la schiena e non trovai nulla di anormale. Per anni era stata fredda come il ghiaccio, ora era calda e flessibile, il sangue fluiva normalmente, non c’era più traccia del fibroma».

«Mia figlia e mio genero – continua Alice Jones – erano presenti quando io ripresi a camminare. Non scorsero il frate, ma sentirono il forte profumo che aveva lasciato nell’aria e che solo io, stranamente, non avevo notato.

Il giorno successivo andammo tutti in chiesa e padre Fisher mi diede un’immaginetta. Su un lato c’era la foto di un monaco con la barba. “È lui – esclamai sorpresa –, è il vecchio che è apparso nella mia visione! Chi è?”.

“È padre Pio, un frate italiano amico dei sofferenti” disse il reverendo Eric Fisher, aggiungendo di essere diventato suo amico tanti anni prima, quando aveva compiuto un viaggio a San Giovanni Rotondo.

Fino a quel momento non avevo mai sentito quel nome, né avevo mai visto una fotografia di padre Pio.

Decisi di andare a San Giovanni Rotondo. Io, mio marito e il reverendo Fisher effettuammo il pellegrinaggio alla fine di ottobre del 1980. Arrivati a San Giovanni Rotondo mi sembrò di riconoscere il luogo come se ci fossi già stata e mi diressi a passo sicuro verso l’altare della Madonna.

Da quel giorno non ho più avuto bisogno di grucce, né di tranquillanti, neanche di una aspirina. Ero talmente convinta della mia guarigione che ho restituito anche il libretto della pensione di semi-invalidità. Da allora mi sento diversa, è come se avessi iniziato una nuova vita colma di amore e di serenità.

Ma le sorprese non erano terminate: il 19 agosto 1980 mi sottoposi ad altre radiografie, su consiglio del dottor Francis Mooney, fervente cattolico e noto patologo. Stranamente, queste mostrarono la spina dorsale come fosse ancora danneggiata e rigida, a causa di una scoliosi lombare nella zona sinistra. E questa è l’incredibile realtà: io ho la schiena rigida, come quando ero paralizzata. Ma nello stesso tempo, posso camminare, ballare, chinarmi fino a toccare il pavimento con le palme delle mani, effettuare flessioni e torsioni del busto senza alcun dolore e senza fatica alcuna. E nessuno sa spiegare come possa tutto questo avvenire».

 

di Renzo Allegri, Il Settimanale di Padre Pio, N. 28/2022

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