RELIGIONE
La Passione di Santa Cristina La Santa che fu battezzata da Cristo
dal Numero 29 del 21 luglio 2024
di Cristina Siccardi

Santa Cristina da Bolsena, di nobile famiglia, rifiutandosi di sacrificare agli dei pagani, subì maltrattamenti e torture di ogni sorta da parte del padre. Il suo eroismo nell’affrontare i supplizi è di modello in questi tempi di depravazione e apostasia dalla fede.

Il 24 luglio ricorre la festa liturgica di santa Cristina da Bolsena, vissuta fra il III e IV secolo, martirizzata sotto Diocleziano: una delle più complesse e affascinanti figure dell’agiografia cristiana antica; infatti su di lei si sono occupati e si occupano i maggiori studiosi del Cristianesimo dei primi secoli, affrontando anche le complesse problematiche storico-archeologiche legate alla sua esistenza che ricorda i molteplici miracoli di alcuni martiri di quel tempo, i quali patirono sofferenze inaudite, ma prima di perire, furono miracolosamente salvati più e più volte, come accadde anche a san Giorgio.

La Passione di Santa Cristina è stata scritta in molte redazioni e in epoche diverse. Il testo più antico, ad oggi conosciuto, risale alla prima metà del V secolo ed è contenuto in un papiro proveniente da Oxjrhynchos, in Egitto, pubblicato nel 1911. Questo testo, giunto a noi attraverso un frammento, è stato tradotto e completato negli Atti latini della martire, in particolare nel cosiddetto codice “Farfense 29”, risalente al IX secolo.

Della Santa di Bolsena scrissero i più celebri autori del cristianesimo medioevale: Beda il Venerabile (VII secolo), Aldhelmo di Malmesbury († 709), Adone di Vienne († 875), Rabano Mauro, Giuseppe l’Innografo (IX secolo), Alfano di Salerno... La Passione di Cristina ebbe una grande fortuna letteraria, sia in lingua greca che latina, tanto da influenzare altre celebri narrazioni come quelle delle sante Barbara, Palazia, Laurenzia, fino ad arrivare a Filomena.

Anche il domenicano Jacopo da Varazze (1228-1298), nella sua celeberrima opera Legenda Aurea, descrive la Passione di santa Cristina, il cui nome significa “consacrata a Cristo”. Era una bellissima giovane di nobile famiglia, le cui origini sono discordanti a seconda delle fonti: quelle orientali registrano Tiro (Fenicia), quelle latine invece Tiro, in territorio laziale, che si affacciava sul Tirreno. Suo padre Urbano era il comandante delle milizie bolsenesi dell’imperatore romano. Molti erano i pretendenti di Cristina, ma ella era già stata destinata dai genitori al culto degli dèi. Tuttavia, istruita dallo Spirito Santo, ella aveva in orrore tale culto, dunque, all’età di undici anni fu rinchiusa dal padre in una torre insieme a dodici ancelle pagane, affinché la convincessero ad adorare delle statue di idoli romani d’oro e argento; ma la giovane, istruita da un angelo e proclamatasi cristiana, non solo non sacrificò agli dèi, ma distrusse le statue, gettò dalla finestra l’incenso che avrebbe dovuto bruciare in loro onore e donò l’oro e l’argento in elemosina ai poveri.

Il padre cercò di convincerla con le buone, ma lei risposte: «Non mi chiamare tua figlia, ma figlia di colui a cui è lecito tributare il sacrificio di lode; poiché io non offro sacrifici agli dèi, ma al Dio che è nel cielo», «offro sacrifici al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo». Quando egli seppe che cosa ne era stato degli idoli, dell’oro e dell’argento, ordinò che fosse spogliata e battuta da dodici servi, i quali eseguirono l’ordine fino a che non gli vennero meno le forze. Venne imprigionata e incatenata e poi condotta in tribunale e le fu richiesto di offrire sacrifici agli dèi; ma lei non solo non si smosse dal suo proposito, ma parlò chiaro e pubblicamente. Quindi il padre infuriato ordinò di straziarle le carni con unghie di ferro e di farle a pezzi ogni membro, e come racconta Jacopo da Varazze, Cristina prendeva i pezzi della propria carne e, gettandoli in faccia al padre, diceva: «Prendi, tiranno, e mangia la carne che hai generato!». Allora il padre la fece porre su una ruota, fece poi attizzare un gran fuoco con l’olio, ma la fiamma, divampando, uccise 1500 pagani. Tutti questi miracoli vennero interpretati dal padre come atti maligni e comandò che le fosse legata una pietra al collo e fosse gettata in mare. Ma ecco che gli angeli la sollevarono fra le loro braccia e Cristo stesso discese fino a lei e la battezzò con queste parole: «Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Poi la affidò all’arcangelo Michele. Di fronte a tanti fatti straordinari il padre, pervicacemente incredulo, si sentì dire dalla figlia: «Uomo stolto e infelice, è Cristo che mi fa tali grazie!». Ma lui ordinò che fosse imprigionata e decapitata il giorno dopo. Quella stessa notte Urbano morì. Il destino di Cristina fu quindi consegnato nelle mani di un giudice non meno iniquo, di nome Elio, il quale fece immergere la ragazza in un calderone bollente colmo d’olio, resina e pece. Cristina lodava Iddio e lo ringraziava e le pareva di essere dolcemente cullata in quel calderone. Il giudice, irato, fece radere il capo della Santa e ordinò che fosse condotta nuda fino al tempio di Apollo: non appena vi arrivò, l’idolo cadde a pezzi e per lo spavento, nell’apprendere quella notizia, il giudice morì sul colpo.

Gli successe Giuliano, che fece accendere una fornace per gettarla dentro: qui la fanciulla rimase per cinque giorni in compagnia degli angeli, senza soffrire alcun male. A questo punto, comandò che le fossero posti addosso due aspidi, due vipere e due colubri; ma le vipere le si arrotolarono ai piedi, gli aspidi le circondarono il seno e i colubri le leccarono il sudore intorno al collo. Qualcuno invitò un incantatore di serpenti perché li incitasse contro la giovane, ma le bestie si rivoltarono contro di lui, uccidendolo. Cristina comandò ai serpenti di andarsene nel deserto e poi resuscitò il morto. Giuliano, esasperato, ordinò di strapparle le mammelle, da cui sgorgò latte invece di sangue, e le fece tagliare la lingua, ma Cristina per questo non perse la parola, e gettò il pezzo di lingua in faccia al giudice, che perse la vista. Infine, Giuliano fece trafiggere a morte la martire con due frecce nel cuore e una nel fianco. Correva l’anno del Signore 297 circa.

La fede della santa martire Cristina nella Verità rivelata, come quella di tutti i martiri di Santa Romana Chiesa, è la risposta più efficace alle teorie ecumeniste e interreligiose dei nostri tempi. Ella subì tutto il peggio (che Cristo trasformò in serenità aurea, pace e amore) e morì pur di non onorare le divinità pagane: sarebbe stato semplice farlo per aver salva la vita: un poco di incenso, qualche invocazione recitata, nulla più…  ma non tradì Cristo, non tradì la Verità nella salvezza, e Lui non la fece patire e la glorificò in terra e in Cielo.

Così conclude la Passione Jacopo da Varazze: «Il corpo della santa riposa in una città fortificata, che si chiama Bolsena, fra Civitavecchia e Viterbo. Tiro, che si trovava vicino a Bolsena, è stata distrutta dalle fondamenta».

La Basilica di Santa Cristina a Bolsena sorse e si sviluppò proprio sul luogo della sepoltura della martire, che riposa nella Grotta di Santa Cristina, in fondo alla quale si trova il suo monumento, che risale all’epoca della scoperta del suo corpo, nel 1880. La scultura che riproduce la Santa, in terracotta, è opera di Benedetto Buglioni della fine del XV secolo. L’antico ambiente dalla devozione e dal fascino millenari fu testimone, nel 1263, di uno dei più famosi miracoli eucaristici: questo è il luogo più sacro di Bolsena, che la tradizione ritiene fosse in epoca romana luogo di culto del dio Apollo. Nella Passione si fa proprio riferimento al fatto che la sepoltura della Santa si trovava accanto al tempio di Apollo; infatti, nell’area catacombale che si apre a sinistra della basilica ipogea, sono tuttora conservati numerosi reperti romani.

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