Scampato per miracolo dalla morte, padre Giuseppe M. Cesa diede una svolta alla sua vita. Se prima cercava le comodità e le ricercatezze, ora aveva un solo obiettivo: farsi santo e difendere l’Immacolata anche a costo del suo sangue.

Nella storia della Chiesa, quando dei privilegi della Madonna sono stati messi in dubbio, Gesù ha fatto sorgere qualche apostolo per difendere l’onore della sua Mamma. Tale è stato il caso del poco conosciuto Frate Minore Conventuale, il Ven. Giuseppe M. Cesa, morto ad Avellino nel 1744.
Nacque nell’omonima città nel 1686 da una famiglia di poveri contadini. I genitori di Flaviano Carlo, nome datogli al fonte battesimale, lo consideravano “un buon figliolo” e per mezzo di lui speravano che le condizioni della famiglia sarebbero migliorate. Lo zio materno, il padre Bernardino Mallardo, già maestro di Teologia, logica e filosofia nel convento di San Francesco ad Avellino, lo indirizzò alla vita religiosa, intravedendo in lui un futuro predicatore che avrebbe glorificato il nome della famiglia. All’età di 19 anni, fra Giuseppe M. Cesa – suo nuovo nome da religioso –ebbe la gioia di fare la sua professione religiosa.
Nei primi anni dopo la professione, fra Giuseppe passò un breve periodo ad Avellino prima di proseguire per Montella, dove iniziò gli studi filosofico-teologici. Ivi si dedicò con passione allo studio per prepararsi all’ordinazione sacerdotale, che avvenne nel 1710. Durante il periodo degli studi, fra Giuseppe si distinse per i progressi che faceva nell’amore di Dio e nella devozione alla Vergine Immacolata, di cui fu devotissimo fin dai più teneri anni e a cui consacrò tutta la sua vita e i suoi studi. I Superiori apprezzavano grandemente le sue doti di mente e di cuore e pensarono di fare di lui un maestro di scienze sacre, destinandolo agli studi universitari a Napoli affinché conseguisse la laurea in sacra Teologia.
Il padre Giuseppe conseguì tale laurea nel 1713 e l’Ordine contava ora un nuovo maestro o un nuovo “Reggente di studi”, come si diceva allora. Nei quindici anni successivi, il Venerabile coprì vari ruoli importanti nella provincia di Napoli, esercitando la sua attività inizialmente come Reggente o predicatore nei collegi dell’Ordine, dove era stimato per la sua dottrina ed eloquenza. Ritornato nel convento di Avellino verso il 1724, venne nominato Superiore della comunità, e seppe governarla con sapienza e profitto. Era il primo in tutto per quanto riguardava l’osservanza delle sacre Costituzioni dell’Ordine; era instancabile nella predicazione e i fedeli rispondevano con un’assidua frequenza dei Sacramenti. Come Superiore era benevolo verso i suoi Frati sapendo perdonare le loro mancanze, soprattutto le mancanze di rispetto e di visione soprannaturale verso i Superiori. L’unico difetto più evidente nel padre Giuseppe era la sua mediocre osservanza della povertà, soprattutto quando fu Superiore ad Avellino. Egli teneva presso di sé cose inutili, a volte rare e preziose, arredando la sua stanza con un certo gusto, con preferenza per le cose comode. Ma la Vergine Immacolata vegliava sul suo servo fedele che, pur rimanendo saldo nelle altre virtù, si era lasciato trascinare da un certo spirito di mondanità. Padre Giuseppe aveva bisogno di un forte richiamo per comprendere il suo stato e il pericolo in cui aveva messo la sua anima. L’Immacolata non lo fece aspettare a lungo.
Un giorno, nel 1728, tre persone tramarono contro la sua vita, decidendo che uno di essi, entrando di notte nella camera di padre Giuseppe, l’avrebbe strozzato, usando il veleno come arma di riserva. Alla vigilia dell’esecuzione, però, l’assassino fu toccato dalla grazia e si recò da padre Giuseppe per confessare in ginocchio, con le lacrime agli occhi, ciò che avevano pensato di fare. A tale rivelazione un senso di terrore s’impadronì di padre Giuseppe e, dando uno sguardo attorno a sé, si vide circondato da varie cose superflue che non erano in conformità con la povertà francescana che aveva professato anni prima e che facevano alimentare in lui la vanità. Diede via, quindi, le cose comode, tenendo solo ciò che era strettamente necessario; la sua stanza rimase arredata solo con un devoto quadro dell’Immacolata.
Seguendo l’esempio di altri confratelli, morti in concetto di santità, anche il padre Giuseppe fu un vero “Cavaliere dell’Immacolata”, che con la parola e con l’esempio attirava uno stuolo di anime ad amare e ad onorare l’Immacolata. Egli, infatti, arrivò a giurare di difendere con il sangue l’Immacolata Concezione, e da quel momento si mise a servizio della sua Regina con tutto se stesso affinché tutti l’amassero. Ogni giorno recitava il “Piccolo Ufficio della Beata Vergine Maria”, la salutava tutte le volte che l’orologio batteva le ore con un’Ave Maria e la giaculatoria “Sia benedetta la santa e purissima Concezione della Beatissima Vergine Maria”; dormiva sempre con un’immagine di Lei sul petto e ammirava e imitava i Santi che ne erano stati particolarmente devoti.
All’inizio di ogni novena che doveva predicare, preparava e distribuiva “ricette spirituali” ai fedeli presenti, una medicina salutare da prendere ogni giorno durante la novena affinché la predica potesse essere più efficace, quali virtù da esercitare, preghiere e mortificazioni da praticarsi in quei giorni in onore dell’Immacolata. Un metodo curioso che padre Giuseppe utilizzava per guarire i malati era la distribuzione di bigliettini con la scritta “In Conceptione Tua Virgo Immaculata Fuisti” o con solo le iniziali di questa frase: “I.C.T.V.I.F.”. Facendo ingoiare il bigliettino all’ammalato, avvennero varie guarigioni e altri prodigi, tanto che al processo il postulatore poté affermare di averne registrati più di ottomila.
Dopo un apostolato così lungo, intenso e faticoso, il padre Giuseppe sperimentò l’assistenza dell’Immacolata anche nel prepararsi e nell’affrontare la morte, che avvenne il 9 giugno 1744. Non potendo più celebrare la Santa Messa, egli teneva abbracciata un’immagine dell’Immacolata, rassegnandosi alla volontà di Dio. Negli ultimi istanti della sua vita terrena subì fortissime tentazioni. Il demonio cercava in ogni modo di rivendicarsi per tutte le grazie che padre Giuseppe aveva ricevuto e distribuito, in particolare dopo la sua conversione a una vita più santa. Nonostante gli assalti violenti del demonio, all’improvviso il volto del Venerabile s’illuminò e i suoi occhi guardarono fissi, in un’estasi d’amore, in alto. Era la Vergine Immacolata che veniva a sostenere il suo “Cavaliere” nella dura battaglia e a portarlo trionfatore in Cielo.