SPECIALE ASSUNTA
La nostra trasfigurazione in Cristo
dal Numero 30 del 3 agosto 2025
di Dom Columba Marmion Tratto da: Cristo nei suoi misteri
La sfolgorante gloria che sul Tabor trasfigura il divin Redentore è un saggio di quella medesima gloria che, nella Patria beata, rivestirà i giusti al termine dell’esilio terreno. Il Figlio diletto del Padre è l’unica via per raggiungere tale ineffabile meta, ed è lo stesso Eterno Padre ad additarla quando proclama: «Ecco il mio Figlio diletto in cui ho poste le mie compiacenze. Ascoltatelo».
Nella Trasfigurazione assistiamo alla rivelazione della nostra futura grandezza. E in che modo? In quanto che l’eredità che Cristo possiede come Figlio di Dio l’accorda anche a noi, di diritto, come a suoi membri. È il pensiero di San Leone: «Con questo mistero della Trasfigurazione, una provvidenza non meno grande ha fondato la speranza della Chiesa: il Corpo intero di Cristo (cioè le anime che costituiscono il suo Mistico Corpo) può riconoscere fin d’ora quale trasformazione gli verrà accordata; i membri possono essere sicuri che saranno un giorno resi partecipi dell’onore che risplende nel loro Capo». Quaggiù per la grazia, noi siamo figli di Dio; ma «noi non sappiamo ancora quel che saremo un giorno in conseguenza di questa adozione»: Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato (1Gv 3,2); il giorno verrà allorquando – «avendo le folgori illuminata, scossa e fatta tremare la terra fin nei suoi fondamenti» – «i giusti, secondo la parola dello stesso Gesù, risorgeranno per la gloria»: Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro (Mt 13,43). I loro corpi saranno gloriosi a somiglianza del corpo di Cristo sul Tabor: la gloria stessa che sfolgora sull’umanità del Verbo Incarnato trasfigurerà il nostro corpo. San Paolo dice apertamente: «Trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21). [...] Se non che mi direte: Che cosa dobbiamo noi fare per arrivarvi? Quale via bisogna seguire per giungere a quella gloria beata onde noi contempliamo un raggio nella Trasfigurazione del nostro divin Salvatore? Non ve ne ha che una di queste vie e lo stesso Padre celeste ce la mostrerà. Il Padre che ci adotta, che ci chiama alla celeste eredità per farci parte della sua beatitudine e della pienezza della sua vita, il Padre ci addita Egli stesso il cammino in questo stesso mistero: «Ecco il mio Figlio diletto in cui ho poste le mie compiacenze». Ben è vero che abbiamo già udite queste parole al Battesimo di Gesù; ma, nella Trasfigurazione, il Padre aggiunge una nuova parola che include il segreto della nostra vita: «Ascoltatelo». È come se, per farci arrivare a Lui, Dio si rimettesse del tutto a Gesù. E tale è veramente l’economia dei disegni divini. Il Verbo Incarnato, essendo il Figlio di Dio che vive ognora nel seno del Padre, ci fa conoscere i segreti divini: «Lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Egli è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo; ove essa è, ivi non vi hanno tenebre; ascoltar Lui vale lo stesso che ascoltare il Padre che ci chiama, perché la dottrina di Gesù non è la sua dottrina ma la dottrina di Colui che l’ha mandato; «tutto quanto Egli c’insegna glielo ha detto il Padre di rivelarcelo»: Tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi (Gv 15,15). Egli è ormai «la sola via che conduca al Padre»: Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14,6). [...] E guardate: a farci ben comprendere questa cosa, Mosè ed Elia spariscono allorché la voce del Padre ci intima di ascoltare suo Figlio: «Appena la voce [del Padre] cessò, restò Gesù solo» (Lc 9,36). Egli solo è ormai il Mediatore, Egli solo compie i Profeti e riassume la Legge. Egli sostituisce le realtà alle figure ed alle profezie e, al posto della Legge antica di servitù, mette la Legge novella di adozione e di amore. Per essere figlio del Padre celeste, per giungere «all’adozione perfetta» e gloriosa noi non dobbiamo far altro che ascoltare Gesù: «Le mie pecore ascoltano la mia voce» (Gv 10,27). E quand’è che Egli ci parla? Ci parla nel Vangelo, ci parla con la voce della Chiesa, con la voce dei pastori, con quella degli avvenimenti, delle prove e con le ispirazioni del suo Spirito. Senonché, a ben intendere queste voci, occorre il silenzio, occorre, come Gesù nella Trasfigurazione, ritirarsi in un luogo solitario. Certo, Gesù si trova dovunque, pur nel tumulto delle grandi città, ma non lo si ascolta bene che nella calma di un’anima circondata di silenzio, non lo si comprende perfettamente «che nella preghiera». Allora segnatamente Egli si rivela ad un’anima per attirarla a Sé e trasfigurarla. Nell’ora della preghiera ricordiamoci che il Padre ci mostra suo Figlio: «Questi è il Figlio mio, l’amato». Adoriamolo allora con riverenza profonda, fede viva e amore ardente. Ed allora lo udremo anche dire: «Egli solo ha parole di vita eterna»: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna (Gv 6,68). [...] Noi non dobbiamo ascoltare e seguire che il solo Gesù. Abbandoniamoci a Lui con la fede, la confidenza, l’amore, l’umiltà, l’obbedienza. Se l’anima nostra si chiude ai rumori della terra, al tumulto delle passioni e dei sensi, il Verbo Incarnato se ne renderà poco a poco padrone, ci farà comprendere che le vere gioie, le gioie più profonde sono quelle che si gustano al suo servizio. L’anima che ha la felicità di essere ammessa, come gli Apostoli privilegiati, nell’intimità del divino Maestro, proverà talvolta il bisogno di gridare con san Pietro: «Signore, noi stiamo bene qui». Certo, Gesù non ci conduce sempre al Tabor, «là dove si sta bene», non sempre Egli ci accorda consolazioni sensibili: se Egli ce le accorda, non bisogna respingerle perché esse vengono da Lui: occorre accoglierle umilmente, non però cercarle per sé medesime né restarvi attaccati. San Leone osserva che Nostro Signore non rispose a Pietro allorché gli propose di alzare delle tende per costruire una stabile dimora in quel luogo di beatitudine; non già, egli dice, perché tal cosa fosse da condannarsi, ma perché non era ancora il momento. Sino a che noi siamo quaggiù, Gesù ci conduce più spesso al Calvario, ossia alla contraddizione, alla prova, alla tentazione. Osservate: su che cosa si trattenne Egli a parlare sul monte con Mosè ed Elia? Forse sulle sue prerogative divine o sulla sua gloria che estasiava i discepoli? No, Egli parlò della sua prossima Passione, dell’immensità delle sue sofferenze che stupivano Mosè ed Elia nel modo stesso che li abbagliava l’eccesso del suo amore. È per la Croce che Gesù ci conduce alla vita, e poiché Egli sa che noi siamo deboli nella prova, Egli ha voluto mostrare nella sua Trasfigurazione quale gloria noi siamo chiamati a dividere con Lui se gli siamo sempre fedeli: «Coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17). Quaggiù non è il tempo del riposo ma quello del lavoro, dello sforzo, delle lotte e della pazienza. [...] «Noi non sappiamo – dice san Paolo – quale peso di gloria ci sia riservato per la più piccola sofferenza sopportata in unione con Gesù Cristo» (2Cor 4,17). «Dio è fedele» (1Cor 1,9) e, attraverso tutte le vicende per le quali fa passare un’anima, Egli la conduce infallibilmente a questa trasformazione che la rende somigliante al Figlio suo. Per tal modo la nostra trasfigurazione in Gesù si realizza, poco a poco, interiormente, sino a che il giorno venga allorché essa apparirà sfolgorante in quella società di Eletti che portano il segno dell’Agnello e che l’Agnello trasfigura perché essi son suoi.
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