San Pio da Pietrelcina e San Massimiliano M. Kolbe, entrambi francescani, furono dei grandi missionari, sebbene in maniera diversa. Non molti sanno infatti che padre Pio bruciava dal desiderio di andare missionario in terre lontane.

Due straordinari figli del Serafico Padre San Francesco: stiamo parlando del “crocifisso del Gargano”, San Pio da Pietrelcina, stimmatizzato per cinquant’anni, e del “Folle dell’Immacolata”, San Massimiliano M. Kolbe, Fondatore della Città dell’Immacolata, una fucina in piena azione per fasciare l’intero globo di stampa mariana.
Il primo è nato sette anni prima del secondo, vissuto quasi interamente nel convento di San Giovanni Rotondo, nascosto agli occhi di tutti, ma visibile al mondo intero. Il secondo, uno dei fiori più belli della terra polacca, è stato un religioso geniale, un innovatore, con una mente brillante che anticipava i tempi, tutta impiegata per la gloria di Dio.
Tanti sono gli elementi che accomunano queste due anime francescane, ma noi ci concentreremo specialmente su uno: la missionarietà.
In primo luogo, l’aspetto missionario è fondamentale nel carisma francescano: basti pensare al capitolo XII della Regola in cui San Francesco spiega come si devono comportare coloro che vanno nelle terre degli infedeli: «Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati». Come hanno messo in pratica la missionarietà i nostri due Santi?
Forse non è molto nota l’ansia missionaria di San Pio: egli, infatti, sin da quando era un giovane frate, desiderava partire missionario in India e sperava con tutto il cuore che arrivasse il giorno in cui l’obbedienza l’avrebbe mandato lì. In due lettere poco conosciute, scritta la prima nel 1921 e la seconda nel 1922 ad un Frate cappuccino toscano che era Vescovo in India, monsignor Angelo Giuseppe Poli, egli riferisce di aver fatto istanze vivissime presso i superiori per poter essere missionario in India, ma conclude, «non sono stato ritenuto degno».
Così scrisse nella lettera del 1921: «Mio carissimo monsignore, Gesù sia sempre tutto vostro, vi assista sempre ed in tutto con la sua vigile grazia e renda sempre più fruttuosa la vostra missione, affidatavi dal divin Pastore e vi faccia santo uno con il suo gregge! […] Sentite, Padre, anch’io ho fatto istanze vivissime presso il mio direttore per essere arruolato tra i vostri missionari ma, povero me, non mi ha trovato degno. E nessuna cosa è valsa finora a farmi ottenere questa segnalata grazia. Debbo ritornare alla carica? Raccomandate anche voi quest’affare a Gesù, e ditegli che se mi vuole tra i suoi missionari disponga le altrui volontà. Ed intanto giacché non mi è concesso anche di essere realmente ascritto tra i suoi missionari, mi ingegnerò di esserlo in ispirito. Vi accompagnerò ovunque con preghiere e con gemiti, nella speranza che non isdegnerete di accogliermi come uno degli ultimi vostri missionari».
Nella seconda lettera, quella del febbraio del 1922, il Santo ritorna sull’argomento scrivendo così a questo Vescovo: «Quanto desidererei essere costì, per annunciare il Signore, per essere missionario in quella Chiesa che sta sorgendo come Chiesa del Signore». Questo ci basta per comprendere lo zelo bruciante del cuore di San Pio che, nonostante tutte le difficoltà e i problemi fisici che aveva, noncurante di tutto, desiderava annunciare il Vangelo. Sembra di sentire un eco di quanto detto da San Paolo: «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16).
San Pio non è mai andato in missione come desiderava con tutto il cuore, ma è stato missionario di carità e di sofferenza a San Giovanni Rotondo. La Provvidenza divina voleva questo per lui, ed egli ha accettato la volontà di Dio con tutta la generosità del suo cuore. Come non pensare alle migliaia e migliaia di anime che ha convertito, guidato, aiutato spiritualmente, assistito? Come non pensare alle folle immense che provenivano da tutto il mondo per andare a trovare «un povero frate che prega»? A tutti i malati curati e salvati grazie alla Casa Sollievo della Sofferenza, l’ospedale voluto proprio dal Santo del Gargano? Come non si può considerare San Pio il prototipo del missionario, cioè colui che, non solo evangelizza le anime lontane da Dio, ma si offre per loro, soffre, espia per i loro peccati, affinché Dio si degni di essere più misericordioso verso di loro? Tutto questo San Pio l’ha fatto al massimo grado, con un’umiltà e una semplicità disarmanti.
Anche San Massimiliano M. Kolbe desiderava con tutto il cuore andare in India, per costruire lì una Città dell’Immacolata. Egli era sbarcato a Kerala nel 1932. Aveva scritto precedentemente: «Prima o poi dovremo arrivare da qualche parte in India». Purtroppo il suo ideale missionario nella terra indiana non si realizzerà, ma la causa dell’Immacolata era stata già ampiamente diffusa in tutto il mondo. Nel suo testamento spirituale scrisse ai Frati: «Sinora tutti insieme abbiamo lavorato per l’Immacolata; quand’io sarò morto, allora ricordatevi che tocca a voi continuare, a voi raccomando la Milizia dell’Immacolata. Senza limiti e senza restrizioni dedicatevi alla causa dell’Immacolata, affrontate per Essa ogni sacrificio, fino allo spargimento del sangue se occorrerà, e dovrete diffondere la Milizia dell’Immacolata fino agli estremi confini della terra».
I cuori di San Pio e di San Massimiliano bruciavano ardentemente di ansia missionaria. Entrambi malati, perseguitati, con tante difficoltà interne ed esterne, a coloro che intimavano loro di riposarsi, dicevano: «Ci riposeremo in Paradiso!». San Massimiliano era solito dire: «Noi abbracceremo il mondo intero!». Con tutta la sua attività editoriale, con la stazione radio, le migliaia di copie stampate dei periodici, veramente l’ha abbracciato. Ma si può abbracciare il mondo intero anche senza viaggiare, senza scrivere o pubblicare qualcosa, e nel totale nascondimento. Come? San Pio ce lo insegna. Si può essere missionari “in spirito”. Pregare e offrirsi per le anime più lontane dalla fede, senza ricevere neanche un “grazie”.
Solo in Paradiso sapremo veramente quanto questi due giganti di santità hanno fatto per le anime di tutto il mondo.