SPIRITUALITÀ
Edith Stein e la croce
dal Numero 33 del 3 settembre 2023
di Francesco Radesi

«Si può capire veramente la “teologia della croce” soltanto se si comincia a soffrire del “peso della croce”». A insegnarcelo è una martire dei campi di concentramento, che ha assaporato la profondità della croce fino a dare la vita. 

Edith Stein, forse più conosciuta così in ambito filosofico-letterario, nel panorama cattolico è nota con il nome di santa Teresa Benedetta della Croce. Della sua vita diamo solo qualche accenno. 

Ultima di undici figli, nacque da una famiglia ebrea, a Breslavia, il 12 ottobre 1891, giorno in cui si celebrava lo Yom Kippur, la maggior festività ebraica, il cosiddetto “giorno dell’espiazione”. Proprio questa data della nascita fu per la carmelitana quasi un vaticinio della sua morte. Il padre, commerciante di legname, venne a mancare quando Edith non aveva ancora compiuto il secondo anno d’età. La madre, una donna molto religiosa, solerte e volitiva, rimasta sola dovette sia accudire alla famiglia sia condurre la grande azienda; non riuscì però a mantenere nei figli una fede vitale. Edith perse la fede in Dio: «In piena coscienza e di libera scelta – scriverà più tardi la Stein – smisi di pregare». Dopo aver conseguito brillantemente la maturità nel 1911, iniziò a studiare germanistica e storia all’Università di Breslavia, più per conseguire una base di futuro sostentamento che per passione. Il suo vero interesse era invece la filosofia. Nel 1913 divenne allieva e assistente del filosofo Husserl, poi docente universitaria e infine suora carmelitana. Scrisse pagine di profonda e illuminante riflessione sul fenomeno religioso, analizzato non in chiave dogmatica ma attraverso l’ottica fenomenologica della sua personale esperienza che, nel suo caso, è un’esperienza di fede vissuta. La fede, ella dice, trascende la ragione, nella fede il cristiano incontra Dio e non un sistema di credenze – chiara allusione, quest’ultima, alla mentalità ebraica di cui è stata figlia prima di convertirsi. Scopre la fede dopo una fase di “radicale incredulità” quando “il problema di Dio” esulava del tutto dalle sue preoccupazioni. Dal 1919 al 1923 una serie di esperienze e di circostanze fecero nascere in lei “il problema di Dio e della fede”. La lettura tutta d’un fiato della vita di santa Teresa d’Avila segna la svolta ed ella approda definitivamente alla conversione: il 1° gennaio 1922 riceve il Battesimo e l’Eucaristia. La sua vita è segnata dai tragici avvenimenti del ’900. Figlia di ebrei è perseguitata dal nazismo e costretta a fuggire dal Carmelo di Colonia, dove aveva emesso i voti religiosi nel 1933. Si rifugia in Olanda, ma il 2 agosto 1942 è catturata dalla Gestapo e deportata ad Auschwitz, dove, una settimana dopo, sarà uccisa. In una lettera alla superiora del Carmelo di Ecth, in Olanda, la Stein lascia in testamento le sue ultime riflessioni, affermando che si può capire veramente la “teologia della croce” soltanto se si comincia a soffrire del “peso della croce” [1].

Nell’opera Scientia Crucis anche Edith Stein vuole sottolineare a quale dignità è chiamato l’uomo, e lo fa, paradossalmente, attraverso un simbolo che può apparire avvilente, la Croce appunto, se non lo si considera nella piena portata del messaggio che esso significa; se non si considera che su quella Croce c’è un uomo, di più, c’è un Dio che si è lasciato (e si lascia ancora) inchiodare dagli uomini, che sono al contempo sue creature e suoi carnefici; se non si considera che Dio sa capovolgere la “croce” dei nostri ragionamenti, affermando l’onnipotenza della sua divinità nella sconfitta della sua umanità. È la regola del paradosso evangelico: la Croce è scandalo per i Giudei e per chiunque non ha fede (cf 1Cor 1,23), ma è trionfo per i cristiani e per chiunque ha fede (cf Gal 6,14); la Croce inchioda l’uomo-Dio, ma – in un certo senso – lo fa anche più Dio, perché mostra fino a che punto l’Amore, che è l’essenza propria di Dio, ha saputo amare. Infatti, «a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,7-8).

La croce è il mezzo per uscire da se stessi, dal proprio piccolo “io”, per fare un enorme salto e passare dall’“io” a Dio. È «una luce sul proprio sé, sul mondo, sulla realtà stessa di Dio. Ma per arrivare a questa luce occorre farsi condurre da Dio nelle “segrete stanze della propria interiorità”, avere il coraggio di compiere quel passo che sposta il centro della propria esistenza dal proprio sé, racchiuso in una sfera umana e quindi finita, a Dio che la trascende. Su questa base Edith costruisce il cammino dell’esperienza di una mistica della croce. Questo spostamento dal proprio sé a Dio, questo nuovo equilibrio, può avvenire solo attraverso il distacco da se stessi e dal mondo, per essere davvero aperti in modo totale alla vita divina» [2]. Questo può avvenire solamente passando attraverso quella che san Giovanni della Croce definisce “notte oscura”. 

Ma con il termine “notte” si intende anche, e soprattutto, la purificazione dell’intelletto che è messo a tacere dalla fede: la ragione deve ammettere il suo limite davanti al mistero. Si intende anche spoliazione per giungere al possesso di Dio: con la ragione possiamo arrivare a dimostrare l’esistenza di Dio, ma è solo con la fede che possiamo possederlo nella nostra esistenza. Ma, per possederlo, l’uomo deve evidentemente spogliarsi di se stesso, del proprio orgoglio a cui rinuncerà definitivamente solo se messo alle strette, solo nella “notte oscura” del suo essere, solo all’ombra della croce, quando non avrà più alcun appiglio. «Nell’aridità e nel vuoto – continua la Stein – l’anima diventa umile. L’orgoglio di un tempo sparisce quando in se stessi non si trova più nulla che dia l’autorizzazione a guardare gli altri dall’alto in basso» [3]. La notte oscura «diventa una scuola di tutte le virtù: allena alla rassegnazione, alla pazienza, dal momento che si è fedeli alla vita spirituale senza trovarvi consolazione e ristoro» [4]. A questo punto non resta che fidarsi di Dio, solo allora «la notte non è precipitare nell’abisso della mancanza di senso, ma è l’esperienza sensibile dell’invisibile e dell’inafferrabile» [5]. 

Sull’“altare dell’olocausto” sale anche Edith Stein e la sua offerta si consumerà fuori delle mura del Carmelo, nel campo di concentramento di Auschwitz. «Forse nella camera a gas, nell’atto finale della sua vita qualcosa si è compiuto, qualcosa le si è rivelato» [6], forse il traguardo della ricerca della verità è stato raggiunto nella scelta libera, piena e coerente della fede in un Dio che ama donandosi e che pertanto va amato allo stesso modo, fidandosi ciecamente e fino alla fine delle sue vie più che delle nostre (cf Is 55,8). In quello che possiamo considerare il suo testamento spirituale Edith riassume la sua bramata conquista identificandola nell’abbandono pieno a qualsiasi croce il Signore le porrà davanti, disponendosi già a morire per Colui che l’ha amata per prima (cf 1Gv 4,19) offrendo la propria vita per lei: «Fin da ora accetto con gioia la morte che Dio mi ha riservato, sottomettendomi completamente alla sua volontà. Prego il Signore perché accetti la mia vita e la mia morte a suo onore e lode, secondo le intenzioni della Chiesa, e affinché il Signore sia accolto dal suo popolo e il suo Regno venga con gloria, per la salvezza della Germania e la pace nel mondo, infine per i miei cari, vivi e defunti e, per tutti coloro che Dio mi ha affidato: che nessuno di loro si perda» [7]. Arrestata il 2 agosto del 1942, morirà nelle camere a gas, ad Auschwitz, il 9 agosto dello stesso anno. La notte la conduce alla croce, e questa a Cristo, a una persona, all’uomo-Dio crocifisso per lei. Il suo cammino esistenziale è ora compiuto. Nella notte della prova si è erta luminosa la fede nella croce che salva, che libera, in cui si trova il senso della vita. È la verità tanto cercata, quella verità che – dice santa Teresa d’Avila – soffre ma non muore, e anzi, proprio in questa sua capacità di soffrire e non morire si rivela essere l’unica verità. 

 

Note

1) Cf J. Bouflet, Edith Stein. Filosofa crocifissa, Edizioni Paoline, Milano 2001.

2) P. Ciardella (a cura di), La mistica del quotidiano. Percorsi e figure, Edizioni Paoline, Milano 2005, pp. 154-155.

3) Santa Teresa Benedetta della Croce (E. Stein), Scientia Crucis. Studio su San Giovanni della Croce, OCD, p. 76.

4) Ibidem.

5) L. Boella - A. Buttarelli, Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, p. 39.

6) Ivi, p. 16.

7) Santa Teresa Benedetta della Croce (E. Stein), La mistica della croce, a cura di W. Herbstrith, Città Nuova, Roma 1985, pp. 94-95.

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