SPIRITUALITÀ
6 maggio | Un atleta, un principe di Dio: San Domenico Savio
dal Numero 17 del 30 aprile 2023
di Paolo Risso

«Non sono in grado di fare grandi cose, ma voglio che tutto ciò che faccio, anche la cosa più piccola, sia per la maggior gloria di Dio» (san Domenico Savio).

Sulla collina rivestita di vigneti, boschi e campi di meliga, tra Castelnuovo d’Asti e Becchi, c’è un borgo: casolari sparsi, una chiesetta con il campanile simile a un dito puntato verso il cielo. Il borgo si chiama Murialdo. A fianco della strada c’è un caseggiato antico dai muri che odorano di tempi lontani, di lavoro e di fatica. In quel caseggiato di Murialdo trascorse dieci anni della sua breve esistenza Domenico Savio.
Era nato il 2 aprile 1842 a Riva di Chieri (Torino) dove il papà Carlo, con la mamma Brigida, si era trasferito per “buscarsi” il pane con la piccola officina di fabbro... Ma quando il bimbo non contava ancora 2 anni, tornarono a Murialdo, terra di santi come don Bosco e don Cafasso. Ma chi è Domenico Savio? Non è “un santino”, ma un piccolo eroe, un giovanissimo distinto signore della santità.
Il cuore a Uno solo
È un bimbetto di pochi anni e già si ritira nella sua stanzetta a pregare. Papà lavora da mane a sera. Spesso i bambini se ne infischiano se papà lavora, ma Domenico lo attende alla sera per dirgli: «Ma sei stanco, papà? Io sono un buono a nulla ma prego il buon Dio per te e per me». La mamma lo porta alla Santa Messa tutte le domeniche, frugolo di 5 anni. I suoi coetanei schiamazzano, in attesa del prete. Domenico si inginocchia per terra e prega sulla porta della chiesa.
Viene un tale a pranzo a casa sua e si mette a mangiare senza neppure dire una preghiera: Domenico non viene a pranzo, perché «non posso mangiare con uno che divora tutto come le bestie». Ci vuole coraggio a comportarsi così. 
Dentro ha Gesù che lo istruisce e lo affascina: Domenico lo ascolta. A 7 anni è ammesso alla prima Comunione. Tocca il cielo con un dito, quel giorno, a Castelnuovo. Con il cuore in festa, spiattella quattro propositi, come quattro rampe da atleta per salire sulle vette di Dio, da rocciatore di sesto grado: «1) mi confesserò e mi comunicherò molto sovente; 2) voglio santificare le feste; 3) i miei amici saranno Gesù e Maria; 4) la morte ma non i peccati». Si è soliti, parlando di lui, sottolineare il quarto proposito, ma io penso che il più importante sia il terzo: “Gesù è l’amico per eccellenza” che gli riscalda il cuore, lo innamora, lo spinge al sacrificio, fino alla morte, se Lui lo vuole. È come dire: «Quanto ho di più caro al mondo è Gesù Cristo» (Vladimir Solov’ëv), come i mistici, come i martiri che cadono sotto il piombo per non tradire il divin Maestro! Il suo cuore Domenico lo dona a Gesù solo e per sempre! 
Cresce e vuole imparare. Va a scuola a costo di fatica: una quindicina di chilometri ogni giorno, solo, a piedi. «Non hai paura?», gli domandano. «Ho l’Angelo custode che mi accompagna». I compagni lo chiamano a tuffarsi nelle onde di un torrente. Lui capisce che la cosa sa di volgare e si impenna: «Non è una buona azione!». Volta loro le spalle e se ne va per la sua strada. Ha solo 10 anni, ma ha già la stoffa del capo.
Una mattina d’inverno, a scuola, mentre si attende il maestro (un buon prete di nome don Cugliero), i compagni riempiono la stufa di sassi e di neve. Al maestro adirato, i ragazzacci dicono: «È stato Domenico!». Lui non si scolpa, non protesta... e il maestro lo castiga con severità, mentre gli altri sghignazzano. Ma all’indomani, la verità si viene a sapere. «Perché – gli domanda l’insegnante – non mi hai detto che eri innocente?». «Quel tale – gli risponde Domenico –, già colpevole di altre mancanze, sarebbe stato cacciato da scuola. Io pensavo di essere perdonato. E poi pensavo a Gesù, anche Lui calunniato e punito ingiustamente...».
Ragazzi miei, qui siamo molto in alto: altroché i vari Enrico, Derossi, Precossi e Garonne del libro Cuore di De Amicis: quelli sono macchiette, Domenico è un gigante di ragazzo, per dono di Gesù Crocifisso!
Alla scuola di don Bosco
Quella mattina, don Cugliero, il maestro di Mondonio (dove Domenico si era trasferito con la sua famiglia), si asciugò una lacrima sul ciglio. Poi ne parlò con don Bosco. Il 2 ottobre 1854, don Bosco, con la “banda” dei suoi ragazzi, si trovava sull’aia della sua casetta a Becchi a festeggiare la Madonna del Rosario. Papà Carlo Savio accompagnò Domenico da lui: don Bosco lo trovò subito intelligente, carico di doti, la stoffa di un campione. E se lo portò a Torino, un amico in più per conquistare il mondo a Cristo e a Maria Ausiliatrice.
Nell’ufficio di quel prete c’è una scritta: «Dammi le anime, Signore, e prenditi il resto». Domenico legge e commenta: «Qui si fa, non commercio di denari, ma di anime». Qualche giorno dopo, don Bosco spiega: «È volontà di Dio che ci facciamo santi. Dio ci prepara un grande premio». Domenico va a parlare a quattr’occhi con don Bosco: «Come devo fare?». Don Bosco gli insegna la sua via per la santità: «Servi il Signore nella gioia». 
Da quel giorno, Domenico diventa l’intimo di Gesù. Ogni otto giorni, la Confessione; tutti i giorni la Santa Messa e la Comunione, e che festa, amici! Con la gioia nel cuore, si butta nel gioco a conquistare i compagni a Gesù; nella scuola per essere il primo, non per emergere, ma per aver ascendente sugli altri e aiutarli. Simpatico, pieno di vita quando gioca, vuol vincere e se la gode un mondo. Ma al piano di sopra c’è un compagno malato: Domenico gli fa compagnia e gli insegna a soffrire per Gesù. Tra i ragazzi ce n’è uno che ha portato giornali sconci. Domenico glieli straccia a pezzetti, anche se rischia di prenderle. C’è un protestante che arriva a fare propaganda tra le mura dell’oratorio di don Bosco, lui lo caccia via e allontana i compagni perché non lo ascoltino.
Va a scuola in città, a Torino, e impara latino e greco e la sa lunga, ma quando sulla via c’è un tale che bestemmia, lui lo richiama dolcemente a non farlo più. Passa Gesù Eucaristico portato dal sacerdote agli ammalati: Domenico si inginocchia nel fango della strada e fa inginocchiare un ufficiale impettito nella sua divisa sabauda, stendendogli il suo fazzoletto per terra. Due compagni fanno a sassate fino a spaccarsi la testa: lui fa da paciere, rischiando di aver la testa rotta a loro posto.
Nelle vacanze a Mondonio, si fa catechista e animatore di giochi. Autorevole per bontà e letizia, tutti lo ascoltano e ne sono interiormente scossi e cambiati. All’oratorio, adesso, gli brucia dentro una passione: quella di essere sempre più simile a Gesù Crocifisso. Tra le lenzuola del suo letto nasconde sassolini e spine per dormirci sopra e fare penitenza per la conversione dei ragazzi lontani da Dio. Una mattina di gennaio, don Bosco lo trova a letto tutto intirizzito con una coperta sola: «Gesù era più povero di me nella capanna e sulla croce», gli risponde Domenico.
L’8 dicembre 1854, il Santo Padre Pio IX aveva proclamato Maria Santissima Immacolata nella sua concezione. Domenico vuole fare qualcosa per la Madonna e si consiglia con don Bosco. Poi raduna i suoi migliori amici: «Uniamoci, fondiamo una compagnia allo scopo di aiutare don Bosco a salvare molte anime». La Confessione e la Comunione frequente, possibilmente quotidiana, la preghiera e l’istruzione religiosa, l’impegno tenace per portare a Dio i compagni più difficili sono i cardini della “squadra apostolica”, ancora viva oggi: la “Compagnia dell’Immacolata”. Domenico è il più giovane fondatore di un gruppo di apostolato!
Don Bosco è la sua guida in tutto, ma qualche volta è Domenico che guida don Bosco in opere di bene straordinarie, come quel giorno che lo accompagna in una soffitta dove una povera vecchietta sta morendo abbandonata da tutti. Oppure come quella notte buia in cui conduce don Bosco a dare gli ultimi sacramenti a un moribondo disperato. Gesù gli parla al cuore come quella mattina in cui Domenico si ferma per diverse ore in estasi davanti al Tabernacolo del suo “unico Amore”. O quando Gesù gli disse di far sapere a Pio IX di perseverare nel ricostruire la gerarchia cattolica in Inghilterra da secoli caduta sotto l’eresia anglicana. La sua sofferenza più grande: quando vede centinaia di religiosi buttati sul lastrico, in seguito alla confisca dei loro beni a opera delle “leggi eversive” di Siccardi (1850) e di Rattazzi (1855/1856); poi i cortei funebri di diversi principi di casa Savoia, che don Bosco, uomo di Dio, aveva profetizzato al re Vittorio Emanuele II in persona come castigo divino per quelle “leggi”.
Promosso sul campo
All’inizio del 1857, Domenico Savio si è fatto fragile, molto fragile. Rientra nella sua casetta a Mondonio: intuisce che Gesù lo chiama all’incontro definitivo. Si prepara festante come chi va a un convitto di nozze. Il papà Carlo gli legge la preghiera della buona morte. Domenico si fa vivace e ha la voce del trionfatore: «Addio, papà e mamma carissimi... oh, che bella cosa io vedo mai...».
È la sera del 9 marzo 1857, è la Madonna che viene a prenderlo per introdurlo nella vita che non muore. Lo dirà lui stesso in sogno a don Bosco (o, meglio, in visione!): «È stata Maria la mia più grande consolazione in vita e in morte. Lo dica ai suoi figli che non dimentichino mai di pregarla». 
Così era Domenico Savio, un ragazzo di 15 anni, colmo di amore, d’intelligenza, limpido e forte. Un vero eroe della vita. La sua fama di santità dilagò in tutta la Chiesa, nel mondo intero. Vennero i miracoli a confermare la sua santità. Il 12 giugno 1954, mattina di primavera, nella Basilica di San Pietro a Roma, il Santo Padre Pio XII lo proclamò santo davanti a migliaia di ragazzi e di giovani, venuti da tutto il mondo. Poi il grande Pontefice si inginocchiò davanti a quel ragazzo per rendergli onore e venerazione e per invocare la sua intercessione presso Dio per tutta la Chiesa. 
Domenico Savio, un “capitano di 15 anni”, trascinatore di altri ragazzi a Cristo su tutte le strade della terra, promosso sul “campo di battaglia”, il campo più sublime e più radioso, quello della santità. Solo Gesù Cristo sa formare ragazzi così. Domenico, un vero atleta, un signore, anzi un principe di Dio.  

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