SPIRITUALITÀ
“Tra me e mio figlio, salvate lui” Santa Gianna Beretta Molla | nel centenario della nascita
dal Numero 36 del 2 ottobre 2022
di Paolo Risso

«Ogni vocazione è una vocazione alla maternità: fisica, spirituale, morale, perché Dio ha posto in noi l’istinto della vita. Prepararsi alla propria vocazione è prepararsi a dare la vita. Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo» (Santa Gianna). 

Per recarci dalla borgata, dove abitavamo, al paese, si passava spesso dal cimitero (per breviorem viam), e qualche volta la mamma mi portava a pregare sulla tomba di una giovane madre di famiglia che, nel parto, aveva preferito morire pur di salvare il bambino. La mia mamma mi diceva: «L’avrei fatto anch’io per te».
Oggi invece l’aborto è ritenuto un “diritto”, ma chi è cristiano, chi è onesto sa che «la donna così ha toccato il fondo del proprio avvilimento e della più inconcepibile barbarie – al di sotto non si sprofonda più oltre –; ma ecco delle donne eroiche insorgere a riscattare, con gesto di suprema immolazione, la loro dignità di madri, a difendere il diritto delle loro creature alla vita, a condannare quante con incredibile efferatezza lo rinnegano. Pensare: si grida a squarciagola contro la pena di morte e non si grida altrettanto contro gli abortisti che fanno spietatamente strage di innocenti!» [1].


Madre per vocazione


Gianna Beretta nasce il 4 ottobre 1922 (cento anni fa) a Magenta (Milano), decima di tredici figli, da cattolicissima famiglia. Intelligente, sveglia, versatile, aperta alla verità e alla bellezza di Dio e delle cose, accoglie e vive un’intensa vita cristiana fatta di studio della fede, di preghiera, di Confessione frequente e regolare, di Messa-Comunione che presto diventa quotidiana. Dalla sua prima Comunione, vive tutta per Gesù. 
Gli Esercizi spirituali tra il 16 e il 18 marzo 1938, a 16 anni, in quinta ginnasio, la orientano verso la vita intesa come offerta e dono di amore; diciamolo chiaramente, verso la santità. Annota in quei giorni: «Voglio temere il peccato mortale come un serpente. Mille volte morire piuttosto che offendere il Signore». Al termine del liceo si iscrive alla facoltà di medicina e si laurea a Pavia, nel 1949, in medicina e chirurgia. Una professione come missione e sacrificio, tutta per servire. Nello stesso periodo frequenta l’Azione Cattolica e diventa presidente della Gioventù femminile di Magenta. Insegna l’amore a Gesù, il centro della sua vita, e l’aiuto ai più poveri. Si specializza in ostetricia e ginecologia: tutto al servizio della vita nascente e dei bambini più indifesi.
Si sente pronta a partire come missionaria laica per il Brasile, dove già lavorava come medico missionario suo fratello padre Alberto, cappuccino.
Prega e riflette a lungo sulla scelta: laica consacrata o sposa e madre di famiglia? Comunque sia, la sua vita sarà solo per Dio e non per motivi solo umani. Incontra l’ingegnere Pietro Molla e scocca la scintilla dell’amore nella luce radiosa di Dio. Gianna scrive: «L’amore deve essere totale, pieno, completo, regolato dalla Legge di Dio e deve eternarsi in Cielo».
Il 24 settembre 1955 Gianna e Pietro sono sposi. Gianna indossa un abito molto bello, perché a suo tempo, se Dio lo vorrà, “possa trasformarlo nella pianeta per la prima Messa di un figlio sacerdote”. «Ora, mio carissimo Pietro – scrive Gianna –, diventiamo collaboratori di Dio nella sua creazione, possiamo dare a Lui dei figli che lo amino e lo servano». È chiaro: sposa e madre sarà la sua vocazione.


Medico controcorrente


Dopo la laurea, la dottoressa aveva aperto con suo fratello medico, il dottor Ferdinando, a Mesero, non lontano da Magenta, uno studio che terrà aperto sino alla sua morte. Era medico condotto, come allora si diceva, medico INAM, medico responsabile dell’asilo nido di Magenta. Senza alcun compenso, di sua volontà prestava la sua opera di sanitaria presso la scuola materna locale e a favore della comunità parrocchiale di Magenta ad Armeno, sul lago d’Orta. Scriveva: «Noi medici lavoriamo sull’uomo [...], che non è solo un corpo, ma è spirito e come tale immortale. La nostra missione non è finita: quando le medicine non servono più, c’è l’anima da portare a Dio. Missione sacerdotale: come il sacerdote può toccare Gesù, così noi medici tocchiamo Gesù nel corpo dei nostri ammalati [...]. Che Gesù si faccia vedere in mezzo a noi; e trovi tanti medici che offrono se stessi per Lui».
Tra la fine dei suoi studi e l’inizio della sua professione, Gianna aveva ascoltato una conferenza di padre Virginio Rotondi sulla “limitazione delle nascite”. Ne aveva riassunto il contenuto con un orrore viscerale per l’aborto. Un giorno, è chiamata a recarsi presso una ragazza che aveva forti dolori addominali. La ragazza confessa di aver praticato un aborto. Gianna scoppia in lacrime e le domanda: «Ma non ti rincresce di aver ucciso tuo figlio? Non ti rimorde di aver offeso così gravemente Dio? Ma gli chiedi perdono?». Da quel giorno esorta i sacerdoti a insegnare l’orrore per un simile delitto. (Oggi a proposito, da “lor reverendi” c’è spesso un silenzio tombale su questo argomento). Un’altra volta si presenta nel suo ambulatorio un uomo a chiedere una medicina per far abortire la sua signora. Gianna gli risponde a tono: «Proprio a me lo vieni a chiedere?». E lo allontana subito.
Resa più autorevole dalla sua competenza di medico, se ne avvale nell’Azione Cattolica per fare tutto il bene possibile. Alle ragazze prospetta ideali sublimi e istilla convinzioni sicure. Dona loro il suo sorriso luminoso, la sua bontà incoraggiante. Il suo apostolato di medico è costellato di “fioretti”. Per un mese intero va a portare in bicicletta un litro di latte per una suora inferma; si reca ad assistere in casa una mamma 60enne che soffre di asma e non vuole che si rechi all’ambulatorio; va a fare le pulizie nelle case dei più poveri e porta loro dei piccoli doni, nei giorni del loro compleanno. Non accetta da loro alcuna ricompensa, anzi paga per loro le medicine. Nell’ultimo mese di gravidanza, va a fare le visite anche di notte. Poi, incredibile a dirsi ma vero, per ogni bambino che nasce, dà di sua tasca mezzo milione (di lire) in beneficenza.


Martire per la maternità


L’abbiamo scritto: si era sposata per essere madre e così farsi santa. Per lei il fine del matrimonio è formare una numerosa e santa famiglia. Alla sorella suor Virginia, dal viaggio di nozze, scrive: «Prega perché il Signore mi mandi presto tanti figli bravi e santi». Scrive il marito, l’ingegner Molla: «Nasce Pierluigi e la sua gioia di madre è piena e perfetta. La gioia si rinnova con la nascita di Mariolina e poi di Lauretta». Poi per due volte le gravidanze si interrompono spontaneamente. Finalmente scopre di diventare madre un’altra volta. Ma appena due mesi dopo, tutto si complica. Accanto all’utero in gestazione, il medico scopre una grossa tumefazione. Gianna obbliga il chirurgo a far di tutto per salvare la creatura. La vita è salva, ma gravi incognite si affacciano sulla sorte di Gianna, la quale decide di curarsi da sola, pur sapendo a quali rischi va incontro. Pietro, suo marito, scrive: «Gianna continua la sua missione di madre e di medico sino agli ultimi giorni, con impareggiabile forza d’animo. La nostra gioia è velata da un’intima preoccupazione. Gianna mi confidava che mai come allora aveva bisogno di amorevolezza e di comprensione. Mi preoccupava quel suo silenzioso ordinare per giorni e giorni ogni angolo della nostra casa, ogni cassetto... come per un lunghissimo viaggio».
Ed ecco, la decisione: «Solo alcuni giorni prima del parto, con tono fermo e al tempo stesso sereno, con uno sguardo profondo che non ho mai dimenticato, mi dichiarò: “Se dovete decidere tra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete, e lo esigo, il bimbo. Salvate lui”».
Il Venerdì Santo del 1962, Gianna è ricoverata all’ospedale di Monza, e la mattina seguente, 21 aprile 1962, nasce la quartogenita: Gianna Emanuela, Gianna in onore della mamma. La domenica di Pasqua e nei due giorni successivi ha sofferenze inaudite dovute alla peritonite settica. Il 24 aprile giunge dall’India la sorella missionaria suor Virginia e Gianna le confida: «Sapessi quanto si soffre, quando si lasciano dei bambini tanto piccoli». Chiede di baciare un crocifisso ed esclama: «Oh, se non ci fosse Gesù che ci consola in certi momenti...». Nei suoi dolori atroci rifiuta ogni calmante e nell’agonia ripete: «Gesù ti amo... Gesù ti amo...».
È dimessa dall’ospedale di Monza il 28 aprile 1962, alle 4.00 del mattino. Muore poche ore dopo nella sua casa di Magenta: una martire per la maternità entrava nel Paradiso di Dio e dei santi. Il sacrificio della dottoressa Gianna Beretta Molla commosse il mondo intero. La stampa, la tv parlarono di lei e divulgarono la sua storia. Attorno al suo nome, presto dilagò una sempre più vasta fama di santità. Fin da subito, papa Giovanni XXIII e papa Paolo VI l’hanno spesso citata con sconfinata ammirazione.
La sua ora scoccò con il Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale, svolto il processo di beatificazione e canonizzazione, il 24 aprile 1994 l’ha prima beatificata, poi l’ha iscritta tra i santi il 16 maggio 2004.
Il suo stile di vita di ragazza cattolica, di medico, di sposa e di madre fino all’eroismo appare oggi di scottante attualità, in mezzo a un mondo che, con la pretesa di essere civile, a causa dell’aborto legalizzato è il mondo di una strage continua degli innocenti, i più innocenti che ci siano: i bambini non ancora nati.
A questo punto mi viene in mente lo sdegno della tigre di Trilussa, la quale tigre, solidale con altre bestie sollevatesi contro “l’omo”, giunto il suo turno di parlare, esprime così la sua protesta: «E io, disse la tigre, ciò er dolore, / che lui me paragoni e me confonna / er core mio cor core de la donna / ch’ammazza er fijo pe’ sarvà l’onore! / So’ una tigre, è verissimo, ma io / nun assassino mica er sangue mio!» [2]. Dal romanesco, già chiaro di suo, traduciamo: «Io, disse la tigre, ho il dolore / che l’uomo mi paragoni e mi confonda / il mio cuore con il cuore della donna / che ammazza suo figlio per salvare l’onore! / Sono una tigre, è verissimo, ma io / non assassino i figli del sangue mio».

Note
1) D. Mondrone, Gianna Beretta Molla, in I santi ci sono ancora, vol. IV, Pro sanctitate, Roma 1979, pp. 74-93.
2) Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, p. 289.

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