SPIRITUALITÀ
“Il ribelle di Dio”. San Luigi Gonzaga
dal Numero 23 del 19 giugno 2022
di Paolo Risso

“Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto” - San Luigi Gonzaga sul letto di morte

Corti d’Italia e d’Europa nel ’500. Ambiente splendido, raffinatissimo. È il secolo di Carlo V e di Francesco I, di Filippo II di Spagna e di Elisabetta d’Inghilterra, dei principi e degli spadaccini dal sangue caldo. Sogni di potenza e di gloria. La pretesa di essere cristiani, anche quando si è solo ipocriti.

A Mantova e dintorni, governano i signori Gonzaga: ad ogni signore, il suo borgo. Castiglione delle Stiviere è uno di questi borghi, gradevole tra le colline ariose, con la brezza buona del lago. Là, dal marchese Ferrante Gonzaga e Marta Tana, nobildonna di Santena e Chieri (Torino), il 9 marzo 1568 nacque il loro primogenito: Luigi.

Guardavano tutti a lui: un padre orgoglioso, una madre tenerissima, dei servi adulatori, dei sudditi ai quali risultava simpatico. Presto nacquero Rodolfo e gli altri figli: numerosa famiglia. Ma Luigi era il primo: don Ferrante lo istruiva nell’arte militare, la mamma gli insegnava a pregare e a essere buono.

Quando don Ferrante partì per Casale Monferrato (AL) per addestrare le sue truppe, portò con sé Luigi per cominciare a farne un soldato vero. Ma lui è un marmocchio di 5 anni, molto sicuro di sé che passa il tempo tra i soldati, impara qualche parolaccia e un giorno dà fuoco alle armi. Uno spasso per i soldati e don Ferrante è orgoglioso delle sue bravate. Luigi viene a sapere che a pochi passi da Casale c’è il santuario della Madonna di Crea, che risale a sant’Eusebio (IV secolo), vescovo di Vercelli e difensore della Fede cattolica dall’eresia di Ario. Luigi vuole che lo portino a pregare la Madonna su quel Sacro Monte, dove oggi c’è una bellissima cappella a lui dedicata.

Ragazzo modello

A Castiglione la sua mamma lo lavora nel cuore: non dirà più parolacce né giocherà più con le armi, anche se sarà sempre un milite di Gesù. Luigi studia e riesce da gran signore, carattere dolce e forte. Impara le lingue, il latino, il greco, il francese, lo spagnolo. Il padre è felice di lui e lo sogna modello dei principi d’Europa. Ora ha 8 anni e fa una scoperta: Gesù Crocifisso piagato e sanguinante lo sconcerta, lo affascina. È morto per i peccati degli uomini, per amore. Luigi comincia a innamorarsi di Gesù. 

Un giorno dice a sua madre: «Voi desiderate un figlio religioso. Dio vi darà la grazia. Sarò io». Nel 1577 Luigi e Rodolfo sono a Firenze, ospiti dei Medici. Giocano nel giardino di Boboli, con Eleonora, Anna e Maria, figlie del duca mediceo, ma Luigi ha il cuore immerso in Dio. Suo paradiso sono le chiese di Firenze.

Vivace, disinvolto, sicuro di sé, comincia a conoscere di che fango, lacrime e sangue grondi quel mondo luccicante di orpelli e gaio di trivialità. Prega, offre, contesta quel mondo con la sua celestiale purezza, che gli dà una distinzione e signorilità singolare. Ama il Crocifisso e scalza con una lotta continua i difetti che scopre in se stesso. Ama la compagnia, ma si isola, perché lui non vuole aver nulla da spartire con quelli che si infangano. Tutto questo per amore a Gesù, nella gioia. 

È il secolo di Ignazio di Loyola, Filippo Neri, Francesco Saverio, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, i santi che sconvolsero gli “splendori” marcescenti del cosiddetto “rinascimento”. Luigi è della loro stoffa, limpido, diritto, non conosce compromesso e conformismo. Sa che la storia dei nobili spesso è colma di sangue e di impurità. Lui va contro-corrente, “contro-vento” a quel mondo cui “dichiara guerra” perché Gesù solo lo attrae. Vuole romperla di fronte quel triste retaggio e pure ha un bisogno grande di amore e di tenerezza.

Si affeziona in modo struggente alla Madonna e la prega con il Rosario tra le mani. Un giorno è là, in ginocchio, davanti all’immagine di Maria nella chiesa dell’Annunziata. È il 1579 e Luigi ha solo 11 anni. Consuma la sua prima offerta: offre a Dio, per le mani di Maria, il voto di perpetua verginità. Ora non appartiene più al mondo.

“Una vita come ribellione”

Nel 1580 Luigi è a Mantova, ma non frequenta la corte. Studia. Legge libri di vita spirituale. Prega. Il 22 luglio 1580 riceve la Prima Comunione da san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, in visita pastorale a Castiglione. Una festa, per lui, una gioia senza confini: d’ora in poi la sua vita si svolgerà spesso nelle corti, ma sarà l’intimo di Gesù.

È di nuovo a Casale, nel 1581, e sale a venerare la Madonna al santuario di Crea (anch’io mi sono inginocchiato più volte dove pregò Luigi). I suoi amici prediletti sono i Barnabiti e i Cappuccini: scopre che quegli uomini che hanno rinunciato a tutto sono i più liberi, i più ricchi, i più felici, perché possiedono Dio. Decide: anche lui sarà religioso. Intanto ritorna a Castiglione.

Il mondo gli appare colmo di peccato, e pertanto maledettamente triste. Forse sazio, ma disperato. Gesù Cristo diventa sempre di più il suo unico amore. Per Luigi non c’è che una cosa da compiere: amarlo, riparare per i peccati, portargli le anime. D’ora in poi, gran parte delle sue notti le passa in preghiera. I potenti ammazzano e si infangano: un ragazzo di 14 anni, della loro progenie, fa penitenza e veglia, orante, sul mondo.

Costretto a vivere tra gli argenti e gli ori, tra le sciabole e le dichiarazioni di “amore”, Luigi ha voglia di ridere ironico per quel vuoto. Per lui c’è solo il Cristo da amare. Dall’inizio del 1582 è alla corte di Madrid. Studia filosofia, matematica, le lingue straniere. Conosce a fondo quell’ambiente di fiaba cavalleresca, carico di “onore” e di “gloria”, ma non ne è incantato. Va a pregare nel monastero di Monserrato, nel santuario mariano dove ancora tutto parla di sant’Ignazio di Loyola. 

La corte di Madrid avrebbe affascinato chiunque. Per Luigi fu la prova più seria. Subì quel mondo, ma lo rifiutò. Dentro, gli “dichiarò guerra”. Deciso di bandire ogni rispetto umano e di vivere alla corte una vita santa, da religioso nel mondo. Era un’impresa da “conquistatore”.

I grandi di Spagna lo videro umile e disinvolto, raccolto in se stesso e come in atto di sfida a quell’ambiente. Ogni giorno, 5 ore di preghiera. Spesso la Confessione e la Comunione eucaristica: dalla Messa quotidiana, la luce e la forza sempre più intense. Docile e sottomesso, eppure ribelle e “rivoluzionario” (la rivoluzione della “Croce”) contro quella società artefatta e abusiva. Ribelle del Cristo contro un mondo che pretendeva a parole di essere cristiano e non lo era. Davanti alla contraffazione del Cristo, Luigi Gonzaga proponeva, con la vita e con la parola, Gesù Cristo vero, Gesù solo, con la sua Croce. Buttava via ogni paura, scioglieva i lacci, diventava libero dal mondo e innamorato e obbediente a Gesù solo. 

Gli costava sangue, ma questa era la vera rivoluzione. Luigi aveva solo 15 anni.

“Voglio farmi religioso”

Nel cuore Dio lo chiamava. A Madrid si era scelto come confessore il padre Paternò, gesuita. Cominciò a cercare la volontà di Dio. La Compagnia di Gesù, fondata da sant’Ignazio, lo attraeva, perché richiedeva ai suoi membri la rinuncia a tutte le dignità, anche quelle ecclesiastiche, operava tra giovani e promuoveva la conversione dei protestanti e le missioni tra i pagani... In una parola, viveva l’ardore delle sue origini con i suoi apostoli e i suoi martiri, come in Inghilterra sotto la regina Elisabetta, apostata e omicida.

Il 15 agosto 1583 festa dell’Assunta, Luigi ricevuto Gesù nell’Eucaristia nella cappella dei Gesuiti a Madrid, capì che davvero Dio lo voleva religioso nella loro Compagnia. Qualche giorno dopo, disse chiaro al padre: «Sono risoluto a passare la mia vita in Religione». Don Ferrante si fece paonazzo e gli gridò: «Piacesse a Dio, che potessi soffrire questo per amor suo». Ora iniziava un’altra battaglia: piegare il padre a dargli il consenso di consacrarsi a Dio.

Nel 1584, i Gonzaga ripartirono per l’Italia. A Castiglione, Ferrante propose al figlio un giro di convenienza in varie corti d’Italia. Luigi passò a Mantova, Ferrara, Parma, Pavia, Torino, Chieri. Nella corte di Torino rimproverò aspramente un uomo di 70 anni che teneva discorsi turpi con ragazzi. A Chieri, voltò le spalle a una festa di ballo, che lo zio, Ercole Trani, aveva organizzato per festeggiarlo. Ci voleva coraggio eroico a un sedicenne per agire così, ma Luigi era questo eroe.

Al ritorno, Luigi trovò il padre più deciso che mai a sbarrargli la via per il convento: gli pose davanti i personaggi più illustri per smuoverlo dal proposito o, almeno, per provare al massimo la sua vocazione. Luigi rispondeva come un capo nato, un dialettico stringente: ero lo Spirito che parlava in lui. Un giorno, il padre gli gridò altero: «Levati dai miei piedi!». Qualche giorno dopo, Luigi fu ritrovato nella sua camera, in ginocchio davanti al crocifisso, mentre pregava e si fustigava. Il crocifisso era lì per ascoltarlo. Il suo amore per lui cresceva a vista d’occhio. Gesù era la sua vita, il suo sostegno, il suo unico Tutto. Per Gesù l’aveva rotta con il mondo e voleva lasciare il mondo.

Intanto il padre cominciava a cedere. Nel 1585 lo mandò a Milano a sbrigare affari. Luigi ne approfittò per studiare al Collegio di Brera, dai Gesuiti. Durante il carnevale, una folla di giovani principi sfilavano su cavalli magnifici. Luigi andò alla sfilata e si presentò su un piccolo vecchio mulo. Se la rideva così di quel mondo, gli faceva la parodia, come uno dei più grandi beffatori di civiltà al tramonto. Quando rientrò a Castiglione, finalmente il padre gli disse: «Poiché Dio ti chiama, va’ figlio mio».

Libero di amare

Luigi esultava. A Mantova davanti ai signori dell’impero, firmò la sua rinuncia al marchesato. Rodolfo ne diventava l’erede. Il 4 novembre 1585, partì per Roma. Fu a Loreto a pregare la Madonna nella Santa Casa. Il 25 novembre a Roma iniziava il noviziato. Era libero e felice: spezzati i lacci del mondo, poteva amare il Cristo di amore totalitario, assoluto. Vivere per Lui e immolarsi per i fratelli. Il servizio a Cristo per amore sarà la sua gloria. I confratelli lo videro nella sua umiltà – voleva essere trattato come gli altri –, nella sua preghiera prolungata, nell’osservanza della Regola, fatto quasi regola vivente... ilare, in pace, “lavorato” dalla grazia di Dio.

Non ci sono fatti straordinari da narrare: era lui, Luigi, straordinario nella sua vita religiosa, intessuta di passione ardente a Gesù, di desiderio fortissimo di consumarsi per le anime, nella carità. Il 25 novembre 1587, si consacrò a Dio con i santi voti. Poi tornò a Mantova a far da paciere tra i familiari per la successione al marchesato di Solferino, e a regolarizzare il matrimonio tra suo fratello Rodolfo e Elena Aliprandi. Festeggiato il 9 marzo 1590, il suo ventiduesimo compleanno, Luigi ripartì per Roma.

Sull’Urbe infierivano la fame e la peste. I religiosi si occuparono nel servizio dei poveri e degli ammalati. Luigi, in prima fila, tra loro: il principe che serviva il Cristo nelle membra piagate dei derelitti. Il 3 marzo 1591 si mise a letto, con la febbre alta, spossato: aveva dato tutto. La malattia rivelò al massimo la sua carità, la sua pazienza, la sua pace. Il confessore, padre Roberto Bellarmino (futuro cardinale e santo) vedeva Dio vivo nella sua anima.

Luigi ricevette il Viatico, l’Olio degli infermi. Quando gli dissero che la morte era vicina, recitò il Te Deum, in ringraziamento. Scrisse alla madre: «Ora grande dev’essere la tua gioia». Guardava il Crocifisso con grande amore e ripeteva: «Desidero essere con Lui». E ancora: «Mi sono rallegrato all’udire: andremo alla casa del Signore». Il 20 giugno chiese ancora Gesù, Pane di vita, e l’Unzione degli infermi. Salutò i confratelli uno per uno. Disse: «Ora andiamo in Cielo». Nella notte fonda gremita di stelle, il padre Bellarmino iniziava le preci degli agonizzanti. Luigi ripeteva le parole di Gesù: «Nelle tue mani, Padre, consegno l’anima mia». Alle ore 3.00 del 21 giugno 1591 l’anima umile e grande di Luigi Gonzaga, a 23 anni, si ricongiunse all’Amore.

Luigi non è il “bambino buono” che qualcuno pensa e non ha nulla di sdolcinato. Egli seppe prendere l’iniziativa contro la deformazione di Cristo nel mondo: con l’ipocrisia, con il vizio non patteggia. Con il peccato non dialoga per non essere truffato. Luigi è ribelle al mondo per amore a Cristo. È un gigante, un eroe... Innamorato, anticonformista, libero e felice. “Rivoluzionario”, perché scrolla le spalle e rifiuta il “pensiero unico”. E il mondo d’oggi ha bisogno di giovani come Luigi, per diffondere il vero “umanesimo” che è solo l’umanesimo cristiano.

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