SPIRITUALITÀ
30 minuti con se stessi | Vivere la virtù dell’umiltà
dal Numero 19 del 15 maggio 2022
di Don Mario Proietti

Coloro che, come i santi, lottano per essere veramente umili, acquistano una personalità che attira gli altri. Con il loro comportamento abituale riescono a creare attorno a sé un’oasi di pace e gioia. L’umile stima veramente chi ha vicino, crede in quello che gli dicono e quando si trova a vivere in comunità o in famiglia, tutto sa perdonare e tutto sa comprendere.

Considera sempre che seguire il Maestro è consegnare la vita e non solo una direzione di marcia. Allora tu fuggi le due grandi tentazioni in cui l’anima cristiana può incappare. Esse sono la sufficienza di se stessi e la sufficienza in se stessi. Entrambe hanno già mostrato il loro veleno nel monaco Pelagio (1), ma ancora oggi seminano cadaveri un po’ ovunque.

La sufficienza di se stessi

La prima tentazione è quella di utilizzare le proprie sole forze prescindendo dalla grazia di Dio. È credere di poter essere inseriti e progredire nella conoscenza del mistero di Dio, che si chiama Mistica, accontentandosi delle sole forze umane. È pretendere di seguire un sentiero con le nostre sole forze, come se il raggiungere la meta dipendesse dalla sola nostra capacità o “meriti”. È come dire che solo io posso realizzare il bene di un’anima, io solo posso difenderne la dignità, io solo posso mandare avanti una determinata opera o ministero.

Sappi che questa tentazione deturpa la grandezza dell’Incarnazione: cioè di un Dio che è venuto incontro alla debolezza dell’uomo per essere per gli uomini via, verità e vita. Lui solo può colmare il divario tra ideale e reale, l’uomo può solo collaborare.

La sufficienza in se stessi

Questa seconda tentazione è un addormentamento dell’anima, il rallentamento della fede. Essa porta all’incapacità di sperare più di quanto il cuore osa fare. Chi cede a questa tentazione perde, giorno dopo giorno, l’orizzonte del sogno di Dio e il senso di quella chiamata, della sua vocazione, tutto ciò a motivo della superficialità nel curare la sensibilità dell’anima. È abbassare l’ideale a livello del reale della persona che resta sempre basso se confrontato con il sogno di Dio. È la tentazione ad accontentarsi della propria debolezza; ad adeguare il sogno di Dio a quello dell’uomo, è la rinuncia ad osare di più.

Tu ricorda, anima amata, che non si può consegnare la vita a Cristo senza un profondo atteggiamento d’umiltà. Ascolta l’insegnamento di una grande santa, santa Teresa d’Avila, apri il tuo cuore a quanto dice e rifletti: «Un vero umile non crede mai che gli si possa far torto in cosa alcuna [...]. Avvertano bene, soprattutto le anime contemplative, che se non si trovano molto determinate a perdonare qualunque ingiuria che loro venga fatta, non possono molto fidarsi della loro orazione. Per il fatto che l’anima che Dio unisce a sé in orazione sì alta, non sente alcuna di queste cose, e non le importa più l’essere stimata, o no; né che si dica bene, o male di lei: anzi le danno più pena gli onori ed il riposo, che i disonori ed i travagli».

L’umiltà è una nota distintiva basilare, uno dei fondamenti della vita cristiana autentica, perché è la dimora della carità. Quando in un’anima manca l’umiltà tutto è giudicato, tutto è condannato e nulla è perdonato di quanto non si comprende. L’umile è il basso, il piccolo, il povero, il meschino, l’insignificante. Fai tuoi tutti questi aggettivi, attribuiscili a te senza alcuna distinzione o condizione, così potrai rifugiarti in un’assoluta impassibilità dinanzi agli eventi del mondo e agli sconvolgimenti dell’anima.

Tu stessa nel definirti umana altro non dici che sei di terra, appartieni alla terra, sei stata tratta dalla terra. 

Se vorrai progredire nell’umiltà non ti dovrà mancare mai il timor di Dio. Esso lo avrai in te se ti abituerai a vivere in una continua presenza di Dio, è Lui che domina sulla tua vita. Abbi sempre la memoria di Dio, del suo permanere fisso nel tuo cuore, del suo abitare nella tua città fortificata e fintanto che la tua attenzione si rivolgerà costantemente a Lui saprai compiere quell’opera di purificazione che ti fa giungere alla purezza del cuore.

Altri mezzi che non dovranno mancare alla tua vita sono l’obbedienza alla volontà di Dio, fino all’eroismo. Mi chiedi cos’è quest’eroismo e io ti dico che esso è una vera e propria morte in croce per l’anima. 

L’anima umile abbraccia la pazienza con tutte le sue energie e segue silenziosa il cammino del calvario che si presenta nella scelta operata. San Benedetto ti dice che l’umiltà è sempre un progredire dell’anima, non si è mai sufficientemente umili.

Senti cosa ti dice il santo autore dell’Imitazione di Cristo a proposito della grandezza della rinuncia alla propria volontà e dell’obbedienza alla volontà di Dio: «[non seguendo la tua volontà] la natura si sentirà amareggiata, e molto ti costerà a sopportarlo in silenzio. In queste e in molte altre forme simili suole essere provato il servo fedele del Signore, per vedere se sa rinnegare se stesso e dominarsi in tutte le cose. Non c’è forse un’altra circostanza, nella quale ti sarebbe tanto opportuno il vincerti, come nel vedere e sopportare ciò che ripugna alla tua volontà» (2).

Questo non potrai mai raggiungerlo se Cristo non ti trascina in questo abbassamento e non vince l’orgoglio prodotto dal peccato originale. Con l’umiltà potrai immergerti in quell’imitazione di Cristo che non esitò «da ricco che era a farsi povero».

Anima cristiana, non potrà esserci vera umiltà se non confesserai le tue colpe, se non amerai l’essere umiliata e considerata ultima tra tutti, se non avrai una piena avvertenza e coscienza della tua miseria. È facile per un’anima ritenersi indegna dinanzi a Dio, ma è sublime se saprà apparire tale al cospetto degli uomini. Comprendi quanto utili sono al raggiungimento della santità le occasioni che il Signore permette ogni giorno. Quelle umiliazioni ricevute dagli amici, dai parenti, dai superiori e perfino dagli estranei sono rugiada che corrobora la tua virtù e ti avvicina alla meta della santità.

Lasciati guidare da un santo come Filippo Neri e medita quello che ti dice: «Uno, che voglia divenir veramente santo, toltine alcuni casi, non deve mai scusarsi, ancorché quello di che viene incolpato non sia vero. Così fece Gesù Cristo. Sentì rinfacciarsi il male, che non aveva fatto, e non disse mai parola, per liberarsi da quella confusione». E proprio così dovrai fare se aneli alla santità.

Comprendi ora quanto è importante una vita costruita sull’umiltà? E non può che essere così se sant’Agostino arriva a dire: «Se mi chiedete che cosa vi è di più essenziale nella religione e nella disciplina di Gesù Cristo, vi risponderò: la prima cosa è l’umiltà, la seconda, l’umiltà, e la terza, l’umiltà».

La vita di un cristiano, ancor più di un consacrato, è l’identificazione con Cristo: soltanto nella misura in cui ci uniamo a Lui, siamo introdotti nella comunione con il Dio vivente. Essere umile come lo è stato Cristo significa servire tutti, far morire l’uomo vecchio e le tendenze che il peccato originale ha guastato nella nostra natura. Un vero cristiano capisce che le umiliazioni, sopportate per amore, sono gustose e dolci, sono una benedizione di Dio. Solo chi le riceve così si apre a tutta la ricchezza della vita soprannaturale e può esclamare con san Paolo: «Ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui».

In contrasto con la profonda gioia interiore che proviene dall’umiltà, la superbia nell’anima non produce altro che inquietudine e insoddisfazione. La superbia tende ad orientare le cose verso il proprio io e ad analizzare gli eventi da una prospettiva esclusivamente soggettiva: se una cosa piace o no, se porta un vantaggio o richiede sforzo… senza considerare se si tratta di qualcosa di buono in se stesso o per gli altri. Questo egocentrismo porta a considerare che gli altri debbano agire e pensare secondo le proprie categorie, e a pretendere, più o meno esplicitamente, che si comportino secondo i nostri gusti. 

Così si spiega che un uomo superbo sia soggetto a frequenti arrabbiature quando pensa di non essere stato tenuto sufficientemente in conto, o che si rattristi, se si accorge dei propri errori o delle migliori qualità degli altri.

Quando una persona si lascia trasportare dalla superbia, pur cercando la propria soddisfazione, prova sempre una sorta d’inquietudine. Che cosa le manca per essere felice? Nulla, perché ha tutto! Ma ha perso di vista la cosa fondamentale che è la possibilità di darsi agli altri. La superbia è sempre un’eco della prima ribellione con la quale l’uomo cercò di sostituirsi a Dio, e la cui conseguenza fu la perdita dell’amicizia con il Creatore e dell’armonia con se stesso. L’individuo orgoglioso ha una tale fiducia nelle sue potenzialità, da dimenticare la sua natura bisognosa di redenzione. Vive talmente attaccato ai propri gusti e opinioni, da non riuscire a valutare positivamente una visione diversa dalla sua. 

Non riesce a risolvere i propri conflitti interiori ed è soggetto a ripetuti contrasti con gli altri. La difficoltà a sottomettersi ad altre volontà lo porta a non accettare neppure il volere di Dio. Si convincerà facilmente che Dio non gli può chiedere ciò egli non desidera e può succedere che perfino la coscienza di essere una creatura che dipende da Dio, diventi per lui un motivo di risentimento.

L’anima della persona umile prova la più gran pienezza interiore quando si rende conto che Dio è un Dio personale, che ci ha creato, ci mantiene nell’esistenza e si rivela a noi con un volto umano in Gesù Cristo.

Coloro che, come i santi, lottano per essere veramente umili, acquistano una personalità che attira gli altri. Con il loro comportamento abituale riescono a creare attorno a sé un’oasi di pace e di gioia, perché riconoscono il valore degli altri. L’umile stima veramente chi ha vicino, crede in quello che gli dicono e quando si trova a vivere in una comunità o in famiglia, tutto sa perdonare e tutto sa comprendere.

Il vero umile è mosso dalla voglia di aiutare, condividere e convivere con tutti, sull’esempio di Maria che si muove in fretta verso la casa di sua cugina Elisabetta. Il vero umile è capace di riconoscere quanto deve a coloro che gli stanno accanto, senza pretendere né reclamare diritti, sa ascoltare ma sa anche chiedere.

Quando l’anima è presa dall’ansia o dal pessimismo diffuso, ciò non dipende dalla piccolezza umana o dallo sforzo che si deve fare dinanzi ad un determinato compito, ma dal vedere le cose in una prospettiva troppo centrata su se stessa.

Non ti chiedi il perché gli uomini sono tristi? Perché la vita sulla terra non si svolge come loro personalmente sperano, perché sorgono ostacoli che impediscono o rendono difficile la soddisfazione delle loro pretese.

Ed anche qui ti viene incontro l’autore dell’Imitazione di Cristo che descrive l’anima che Gesù conforma a sé attraverso la strada dell’umiltà: «Tu devi essere ancora provato sulla terra e tentato in molte forme. Di tanto in tanto godrai qualche consolazione; ma la pienezza di felicità da saziarti, no. Sii forte e coraggioso così nell’operare come nel soffrire ciò che contraria la natura. Bisogna che tu ti rivesti dell’uomo nuovo e diventi un altro uomo. Bisogna che spesso tu faccia quello che non vorresti, e rinunci a quello che vorresti. Ciò che piace agli altri riuscirà; ciò che piace a te, non andrà avanti. Ciò che diranno gli altri, sarà ascoltato; di ciò che dici tu, non si farà nessun conto. Gli altri chiederanno ed avranno; tu domanderai e non otterrai nulla. Gli altri saranno grandi sulla bocca degli uomini, di te invece non si parlerà neppure. Gli altri avranno questo e quell’incarico, tu invece sarai giudicato un buono a nulla» (3).

L’anima che è innamorata di Dio, impara ogni giorno ad essere umile nell’orazione. “L’orazione” è l’umiltà dell’uomo che riconosce la sua profonda miseria e la grandezza di Dio. La preghiera umile è quella che sa attendersi tutto da Lui e nulla da se stesso. È con la preghiera che l’anima cristiana recupera la pace, vince le preoccupazioni, ritorna al cuore della sua chiamata.   

 

Note

1) Pelagio (354ca.-427ca.), monaco britannico, sviluppò l’eresia che prende il suo nome: Pelagianismo. L’eresia si affermò nel V secolo e nega il peccato originale e sostiene la possibilità di salvarsi con le sole opere senza la necessità della grazia.

2) Imitazione di Cristo, libro III, cap. 49, n. 6.

3) Imitazione di Cristo, libro III, cap. 49, n. 5.

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