SPIRITUALITÀ
Maggio con Charles de Foucauld: alla ricerca di Gesù-Amore
dal Numero 17 del 1 maggio 2022
di Padre Ambrogio M. Canavesi

Il prossimo 15 maggio Charles de Foucauld sarà finalmente proclamato santo. Per cogliere maggiormente la grazia dell’evento, nei numeri di maggio, dedicheremo alla sua splendida figura alcuni articoli che ne illustreranno: il percorso biografico e spirituale, la marianità, il concetto di “fraternità universale”.

«Quando si parte dicendo che si va a fare una cosa, non bisogna tornare senza averla fatta». Così scriveva san Charles de Foucauld nel gennaio del 1884 alla sorella ma, al contrario di quanto potremmo pensare, qui non si parlava della sua partenza per la vita religiosa, né della sua ricerca radicale – a tratti forsennata – di uno stile di vita autenticamente evangelico. Nel gennaio del 1884 la sua conversione era ben al di là da venire, quando il rampollo dei visconti de Foucauld – travestito da mercante ebreo dell’est Europa – era nel bel mezzo di un viaggio geografico nel cuore del Marocco, per tracciare una mappa di quei territori ancora inesplorati. Eppure quella determinazione era qualcosa di insolito per il giovanotto mondano, obeso, lussurioso e vizioso che aveva trascorso anni mediocri e di pura noia nelle caserme di Francia e dell’Africa francese... l’unica parentesi positiva era stata quella della guerra vera e propria, contro le tribù di Bou Amama nell’Orano, quando si era dimostrato soldato intrepido e ufficiale preparato. Per il resto le sue lettere ben trasmettono chiaramente il suo stato di animo nell’esercito: «Ci annoiamo più che mai e ci annoiano più che mai», scriveva qualche anno prima dal prestigioso collegio militare di Saint-Cyr. La sua vita fino ad allora era stata come una noiosa passeggiata pomeridiana tra i boulevard dell’insoddisfazione esistenziale, molto simile a quella “nausea” di cui acutamente, ma drammaticamente, scriverà qualche decennio dopo Jean Paul Sartre.

Il de Foucauld per capacità e doti naturali poteva essere tutto, ma non era in realtà riuscito a essere ancora niente. La sua vita non era che una serie di occasioni gettate all’aria: un nobile che vive da spiantato e un soldato che non fa la guerra... in altre parole un fallito. Ma quel viaggio avventuroso fu l’inizio del suo riscatto esistenziale, un riscatto esistenziale prima nel nome dell’avventura e dell’esplorazione, poi della ricerca geografica e dell’attività letteraria, ma che piegò infine in una decisa scelta di vita: ritrovare posto nella sua anima per Dio. 

Guidato dai consigli della virtuosa cugina Maria de Bondy, il trentottenne Charles de Foucauld nel 1886 in pochi mesi si ritrova dal deserto ambientale del Sahara al deserto spirituale di Parigi, ma come il primo non era stato un ostacolo al suo passaggio, così il secondo non fu un ostacolo alla sua conversione. Nel novembre del 1886 chiede a un dotto sacerdote, l’abbé Huvelin, di istruirlo nella fede paterna, ma ciò che successe fu del tutto inatteso: «Chiedevo che mi desse qualche lezione di religione, ed egli mi fece inginocchiare e confessare, quindi mi mandò, seduta stante, a ricevere la Comunione».

Alla ricerca di Gesù di Nazareth

Per un’anima così ardente e decisa la conversione e l’inizio di un serio itinerario di santità fu un tutt’uno. In una lettera alla cugina Maria de Bondy scrive: «Non appena credetti che c’era un Dio, compresi di non poter fare altro che vivere solo per Lui; la mia vocazione religiosa risale allo stesso momento della mia fede: Dio è così grande! Vi è una tale differenza tra Dio e tutto ciò che non è Lui...». 

L’abbé Huvelin lo guida con mano salda nel discernimento vocazionale e pretende che il novello figliolo compia un pellegrinaggio in Terra Santa, per calcare con i suoi piedi la terra toccata da Gesù: mai intuizione fu più geniale! Per Charles il pellegrinaggio in Terra Santa non è un viaggio qualsiasi ma un intenso e impareggiabile itinerario di crescita spirituale in cui comprende la potenza di grazia dei luoghi santi, tanto da voler far corrispondere la permanenza in un luogo con il periodo liturgico del mistero che vi si celebra. In tal modo a Natale è a Betlemme, per gustare «l’indicibile dolcezza di pregare in quella grotta, dove erano risuonate le voci di Gesù, Maria e Giuseppe», e – concluso il periodo natalizio – si reca a Gerusalemme, per vivere i misteri della Santa Pasqua. Sarà però soprattutto Nazareth a colpire nel vivo il suo spirito appassionato. La grotta della Natività e l’altura del Calvario rimangono i misteri principali della vita di Gesù e si innalzano come irraggiungibili vertici dell’ascesa dell’anima umana, ma in mezzo a questi due c’è la vita nascosta e laboriosa «che ho intravisto, percepito camminando per le strade di Nazareth che furono calpestate dai piedi di Nostro Signore, povero artigiano, sprofondato nell’abiezione e nell’oscurità». Ed è proprio il desiderio di condividere con Nostro Signore la vita oscura e laboriosa di Nazareth che lo spinge in convento, anzi non in un qualsiasi convento: dopo aver girato diversi monasteri, sceglie la Trappa di Nostra Signora delle Nevi a Clamart. In una meditazione più tarda ricordava a Nostro Signore che a tale decisione lo aveva spinto «il desiderio di cercare una vita conforme alla tua, in cui possa condividere completamente la tua abiezione, la tua povertà, il tuo umile lavoro, il tuo seppellimento, la tua oscurità». E all’epoca non c’era un ordine più austero dei trappisti che potesse assicurare al giovane cuore ardente una dimora all’altezza dei suoi desideri... ma l’entrata nella Trappa il 16 gennaio del 1890 non fu che l’inizio del suo viaggio.

Alla ricerca di Gesù evangelico

La santità fu fin da subito per Charles de Foucauld – divenuto trappista con il nome di fra’ Alberico – come la perfetta imitazione della vita di Gesù. «Il Vangelo – scrisse il Santo – mi mostrò che il primo comandamento è amare Dio con tutto il cuore e che tutto va racchiuso nell’amore; ognuno sa che l’amore ha come primo effetto l’imitazione. Mi sembrava che niente rappresentasse meglio questa vita che l’abbazia trappista». 

Vita religiosa, imitazione di Cristo, Vangelo: sono questi i cardini della sua spiritualità, tutta appassionatamente rivolta a Gesù Cristo, il Verbo Incarnato. Nella Trappa però il nostro Santo scopre anche un’altra dimensione, più intima e mistica, della vita spirituale: l’unione con Gesù. «Cos’è questa pace, questa consolazione? Non è nulla di straordinario, è un’unione di tutti gli istanti nella preghiera, il lavoro, in tutto con Nostro Signore». Ma la vicinanza quotidiana con Gesù, in un certo senso, non placa il suo cuore anzi lo rende progressivamente inquieto: stare vicino a Gesù, specchiarsi in Lui, rivela tutti i punti di dissomiglianza con il divino Maestro e lo porta persino a dubitare della strada intrapresa. È soprattutto la povertà in questo momento a divenire per lui il termine di paragone con la vita di Gesù, ed è proprio in questa che si sente assai lacunoso nell’imitare Gesù. Per questo ottiene di traslocare dall’abbazia francese alla Trappa di Cheiklè in Siria – fondazione estera della medesima abbazia – sicuro di poter lì trovare una vita più povera e più oscura. 

Nonostante descriva la Trappa come «un complesso di casette fatte di assi e di terriccio, coperte di stoppia, in una valle deserta», anche qui l’ambizione di essere come Gesù lo rende insoddisfatto. Ai superiori confessa di non voler studiare per il Sacerdozio, mentre preferisce fiaccare il suo corpo – troppo spesso accarezzato precedentemente – «restando tutto il giorno fino al collo in mezzo al grano e nei boschi». Nonostante questo, si piega sempre all’obbedienza, anche quando gli viene comandato di iniziare gli studi di Teologia e persino di recarsi a Roma per continuarli: e tutto questo per essere come Gesù... ma per essere come Gesù capisce anche che la Trappa non basta. 

Negli anni della Trappa – e poi negli anni successivi a Nazareth – san Charles si tuffa nel Vangelo per conoscere Gesù: scrive commenti e meditazioni molto intime, raccoglie sentenze e racconti evangelici intorno alle virtù del Salvatore, spesso si lascia andare a elevazioni mistiche e preghiere di intensità indescrivibile. Ma la vita di quel Gesù che contempla nel Vangelo è tanto lontana dalla sua: «Noi siamo poveri agli occhi dei ricchi, ma non poveri come lo era Nostro Signore, non poveri come lo ero io in Marocco, non poveri come lo era san Francesco [...]. Amo Nostro Signore Gesù Cristo e non posso sopportare di condurre una vita diversa dalla Sua. Non voglio attraversare la vita in prima classe, quando Colui che amo l’ha attraversata in ultima classe». 

Nella sua mente e nel suo cuore si apre la prospettiva di una vita diversa dalla Trappa, austera come la Trappa ma più semplice, più povera, più raccolta... in altre parole, più nazaretana. 

Alla presenza di Gesù Eucaristia 

Ed è proprio a Nazareth che si stabilisce nel 1897, dopo 6 anni di vita religiosa: mantiene i legami con i superiori della Trappa e con l’abate Huvelin, ma si stabilisce come eremita nella foresteria delle clarisse di Nazareth, in una capanna fatta di assi, fuori dalla clausura.

«Il buon Dio mi ha fatto trovare qui quello che cercavo: povertà, solitudine, abiezione, lavoro umilissimo, oscurità completa, imitazione perfetta nella misura del possibile di ciò che fu la vita di Nostro Signore in questa stessa Nazareth... ho abbracciato l’esistenza umile e oscura di Dio, operaio di Nazareth». 

Lavoro sacrificato e sacrificale per l’intera giornata, lavoro di servizio al monastero delle clarisse, lavoro senza una retribuzione che non fosse per la mera sopravvivenza... una vita tanto simile a quella che fu la vita di Gesù, umile lavoratore nella bottega di Nazareth. Poi alla sera, dopo le fatiche della giornata, ecco immergersi nella lettura del Vangelo, per imprimere nel proprio cuore le virtù di Gesù, affinché non solo l’esteriorità ma anche l’interiorità fosse simile a quella del divin Maestro. 

Tramite la corrispondenza epistolare, l’abate Huvelin – seppur lontano – non gli fu mai così vicino nel dirigere i suoi passi ed evitare l’errore di accettare proposte allettanti, ma non conformi alla volontà di Dio. Nell’anima di Charles infatti si fa largo la convinzione di dover fondare una piccola congregazione «il cui scopo sarebbe di condurre più esattamente possibile la stessa vita di Nostro Signore, vivendo unicamente del lavoro delle mani». È ancora la povertà l’idea trainante della sua spiritualità, una povertà non ostentata ma vissuta nella durezza dell’esistenza quotidiana: «Non posso concepire l’amore senza un bisogno, un bisogno imperioso di conformità, di rassomiglianza e soprattutto di partecipazione a tutte le pene, a tutte le difficoltà e tutte le durezze della vita». L’amore e l’esigenza di conformità si interiorizzano però sempre di più e, grazie anche ai consigli della superiora delle clarisse di Gerusalemme, comprende come la conformità a Gesù possa essere lacunosa senza il sacramento dell’Ordine sacro. 

Scrive nel 1899 al direttore spirituale: «Il sacerdote imita più perfettamente Nostro Signore, sommo sacerdote, che ogni giorno offriva se stesso. Io devo collocare l’umiltà nel posto in cui l’ha collocata Nostro Signore, praticarla come l’ha praticata Lui, e perciò praticarla nel sacerdozio, secondo il suo esempio». E accanto al Sacerdozio scopre l’importanza dell’Eucaristia, della Santa Messa e dell’adorazione solitaria e silenziosa del Santissimo Sacramento. Nel suo progetto la fraternità che avrebbe fondato non avrebbe dovuto adottare lo stile monastico, con l’attenzione alla liturgia ben curata e alla centralità della recita corale del salterio, bensì avrebbe dovuto concentrarsi sull’Adorazione eucaristica silenziosa e solitaria, nel lavoro umile e nell’assistenza caritativa al prossimo. 

«La vita a cui penso – scrive al direttore spirituale nel 1898 – è molto più semplice di quella della Trappa: alleggerita da quella moltitudine di preghiere vocali che la opprimono, c’è maggiore povertà e lavoro; ci vedo un grande snellimento delle cerimonie esterne per dare molto alla preghiera e alla vita interiore e praticare la carità verso il prossimo in tutte le occasioni che il buon Dio fornisce». 

Sacerdote sì, ma sacerdote nascosto e adorante, sacerdote che passa il tempo tra i lavori umili dell’officina e la solitudine della cappella, ristorato dalla sola presenza del Santissimo Sacramento. E accanto all’Eucaristia un nuovo sole sorge nel firmamento spirituale di fratel Charles de Foucauld: il Sacro Cuore di Gesù, ovvero il vincolo di amore che tiene insieme il servizio di Dio nella preghiera e nell’adorazione e l’amore sacrificale per il prossimo. E proprio a questo nuovo sole spirituale il Santo avrebbe voluto consacrare la sua fondazione: gli eremiti o piccoli fratelli del Sacro Cuore.

Come Gesù...

Ancora un dettaglio però mancava al completo sviluppo del suo progetto di santità, una santità costruita nel tempo e tra molti cambiamenti, ma non per questo meno stabile nella sua essenza, ovvero la perfetta sequela di Cristo. «Siamo troppo filosofi – scriveva ad un amico – per figurarci che al mondo ci sia qualcosa di definitivo». E in effetti san Charles ebbe due impareggiabili guide nel suo itinerario di santificazione: da una parte le circostanze, che di volta in volta gli indicavano dove spingere i suoi passi. Dall’altra, il sempre maggior approfondimento – direi la sempre maggior interiorizzazione – della sequela di Cristo: una sequela di Cristo iniziata con l’attrazione per la vita povera di Gesù, ma portata avanti nella più perfetta configurazione del proprio cuore al Cuore di Gesù, al Cuore eucaristico e sacerdotale di Gesù. 

Dopo il fallimento del progetto di comprare il Monte delle Beatitudini in Terra Santa e ivi fondare la sua comunità, san Charles de Foucauld comprese che altro esigeva da lui la volontà di Dio. Un ritiro lungo un anno alla “sua” abbazia di Nostra Signora delle Nevi in Francia gli permise di arrivare all’Ordinazione sacerdotale, conseguita il 9 giugno 1901 a Vivièrs, ma fu la conoscenza di mons Guerin, prefetto apostolico del Sahara, a indicargli esattamente su quale nuova strada dirigersi. Sacerdote sì, e anche missionario, ma missionario secondo il Cuore di Gesù. Se Gesù aveva scelto gli umili e gli abbandonati, ora il richiamo interiore di Charles lo spingeva tra gli infedeli, gli infedeli musulmani o anche pagani che abitavano i deserti inaccessibili del Nord Africa.

In un rapido riassunto del suo itinerario spirituale a un compagno di liceo scrisse: «Ho passato quattro anni come eremita in Terra Santa, vivendo del lavoro delle mie mani come Gesù sotto il nome di “fratel Charles”, sconosciuto da tutti e povero e godendo profondamente dell’oscurità, del silenzio, della povertà, dell’imitazione di Gesù. [...] Prete dal mese di giugno scorso, mi sono sentito chiamato subito ad andare verso le “pecorelle smarrite”, verso le più perdute, verso le anime più abbandonate, le più trascurate, per compiere verso di loro quel dovere di amore, comandamento supremo di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi, da questo si riconoscerà che siete miei discepoli”». 

Con l’appoggio del prefetto apostolico e dell’esercito francese, appena giunto in quelle terre, fratel Charles nel giugno del 1901 costruì l’eremo della sua fraternità a Beni-Abbès, piccola oasi del Sahara al confine tra Marocco e Algeria. Ma non era tanto l’ubicazione geografica ad interessarlo quanto piuttosto il fatto di essere l’unico sacerdote cattolico nel raggio di 400 chilometri. Questo comunque non lo distaccò dal suo progetto iniziale: la sua vita, e la sua futura fraternità, sarebbero state incentrate sull’Adorazione eucaristica del Santissimo Sacramento, in modo che anche in quelle terre ostili al Cristianesimo il Cuore di Gesù fosse onorato e amato e che Gesù, «dal fondo del tabernacolo, prenda possesso del suo regno e diffonda le sue grazie». Eppure il contatto con il Cuore eucaristico di Gesù lo rese vieppiù sensibile alle miserie fisiche e morali dei cuori umani. Come lo era stato per Gesù, anche per Charles la vita quotidiana divenne una vita pienamente contemplativa di notte e totalmente attiva di giorno. Così come “amava la veglia e la preghiera notturna solo perché l’aveva amata Gesù”, incominciò ad amare le opere di misericordia perché anche Gesù le aveva praticate. Non era tanto l’evangelizzazione diretta però a essere nelle mire del sacerdote francese, anzi in alcuni contesti fratel Charles la considerava persino dannosa ai fini della conversione. Nel suo impeto di amore per questi fratelli traviati e abbandonati la via doveva piuttosto essere l’attività caritativa, per mostrare nella pratica cosa fosse l’amore del Cuore di Gesù verso l’umanità ferita e smarrita. 

...esattamente come Lui

A questo punto, come in molte delle repentine svolte già descritte, si potrebbe accusare il nostro Santo di incostanza, ma egli stesso si era già difeso da questa accusa affermando che “la sua incostanza non era altro che la costanza nel seguire l’ideale della vita di Cristo”. Anche Beni-Abbès non poteva essere abbastanza per un’anima che voleva così ardentemente imitare Cristo: pur non abbandonando definitivamente il suo eremo – che di tanto in tanto nel corso degli anni continuerà a visitare – Charles de Foucauld accettò l’invito dell’amico tenente Laperrine a recarsi tra il misterioso popolo dei tuareg, abitatori delle zone inaccessibili del Sahara.

Dopo un primo viaggio nel 1903, nel 1905 il nostro Santo decise di stabilire la sua dimora a Tamanrasset nell’Hoggar, oltre duemila chilometri a sud della precedente abitazione, in mezzo ai tuareg più ostili al Cristianesimo. Non visse però questo spostamento come uno sviluppo della sua attività apostolica e della sua fondazione religiosa, bensì come una discesa, come una necessaria discesa tra uno dei popoli più reietti della terra. Alla Terra Santa, allettante per i ricordi della vita di Gesù, egli preferiva di gran lunga queste terre deserte che non avevano ospitato il corpo di Gesù ma verso cui tendeva sicuramente il Cuore del Redentore. Visse questa scelta come un vero e proprio sacrificio, in quanto molto dovette sacrificare per stare in mezzo ai tuareg: una vita più tranquilla, una vita più raccolta, una vita più monastica e, talvolta, dovette sacrificare persino la celebrazione della Santa Messa per iniziare ad approcciare questo popolo così lontano dalla fede. Un Natale – con molta tristezza – non poté nemmeno celebrare la Santa Messa – in quanto le rigide regole di allora impedivano la celebrazione senza fedeli – e non raramente potevano passare anche sei mesi senza ricevere corrispondenza né vedere alcun ospite occidentale, si trattasse di un soldato o di un ecclesiastico. 

Nell’orizzonte spirituale di Charles il desiderio di far regnare e trionfare il Sacro Cuore di Gesù si tinse così di colore rosso, del colore del Sangue di Gesù: solitudine, annientamento, croce e sacrificio furono le nuove parole d’ordine di questo singolare missionario-eremita che amava definirsi “schiavo del Sacro Cuore di Gesù”. E d’altronde non poteva essere diversamente, considerando che Gesù non aveva redento l’umanità predicando e sanando gli infermi, ma morendo in croce per essi, anzi annientandosi per essa». Il suo ideale di imitazione di Cristo si arricchì così di nuovi e inediti particolari: «Silenziosamente, di nascosto come Gesù a Nazareth, oscuramente, come Lui, “passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte”... poveramente, laboriosamente, umilmente, con mitezza, facendo come Lui, “transiens bene faciendo” [cf. At 10,38], disarmato e muto dinanzi all’ingiustizia come Lui, lasciandomi, come l’Agnello divino, tosare e immolare senza far resistenza né parlare, imitando in tutto Gesù a Nazareth e Gesù sulla Croce». 

Non abbandona la preghiera né l’Adorazione eucaristica, e la Messa rimase sempre il centro della sua giornata, ma la sua vita divenne sempre più schiettamente evangelica, fino quasi a mettere da parte tante delle regole monastiche che dalla Trappa aveva portato nel suo eremo per vivere con più purezza e senza filtri il Vangelo. In questi anni dedicava tante ore ai tuareg – ai poveri ma anche ai ricchi – aiutandoli nelle loro difficoltà, comunicando loro nozioni igieniche e alimentari basilari ma anche nel tentativo di conoscere meglio la loro lingua e di rendere loro accessibile il tesoro del Vangelo. Ma più le regole si assottigliano, più dal volto di Charles traspare il Volto di Cristo, un Cristo che ha accettato anche la sofferenza, l’abbandono, il tradimento pur di dimostrare il suo amore folle per l’umanità traditrice. Desidera sempre fondare una fraternità, ma nessun candidato bussa alla sua porta, così come nessuno tra i tuareg si converte alla sua fede... molti si avvicinano ma è ancora troppo presto per quel passo. Lo schiavo che aveva liberato, più volte lo abbandona e più volte ritorna, non tanto per affetto quanto per mancanza di mezzi di sussistenza. «Preferirei per me l’insuccesso totale e la perpetua solitudine, e i fallimenti in tutto. Elegi abjectus esse [cf. Sal 84,11]. C’è in questo un’unione all’abiezione e alla Croce del nostro divino Beneamato che mi è parsa sempre desiderabile tra tutte».

Tra Tamanrasset, Beni-Abbès e la sua terza abitazione sull’altipiano dell’Asekrem, a 2600 metri di altezza, san Charles de Foucauld avrebbe trascorso altri quindici anni, anni in cui lo sforzo quotidiano non fu altro che quello che gli aveva fatto fin da subito muovere i propri passi: «L’imitazione – scrive a un amico – è inseparabile dall’amore, tu lo sai, chiunque ama vuole imitare: è il segreto della mia vita: ho perduto il cuore per questo Gesù di Nazareth crocifisso 1900 anni fa e passo la mia vita a cercare di imitarlo per quanto possa la mia debolezza». 

Gesù-Amore

Eppure l’imitazione perfetta di Cristo non può prescindere dalla Croce e quando si parla di Croce non si parla di una metafora ma della cruda realtà della morte redentrice, dalla morte per mano di coloro per i quali si era sacrificato e i quali aveva costantemente beneficato. Tanti anni prima a Nazareth fratel Charles aveva scritto: «Pensa che devi morire martire, spoglio di tutto, disteso a terra, nudo, irriconoscibile, coperto di sangue e di ferite, violentemente e dolorosamente ucciso... e desidera che questo accada oggi». Forse pochi scrittori cristiani hanno descritto in una maniera così cruda la realtà del martirio, ma ciò dimostra ancor di più quanto concreto e sensibile fosse l’amore di Charles. E forse proprio il pensiero del martirio sfiorò il suo pensiero il mattino del 1° dicembre 1916, quando scrisse sul suo taccuino: «Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e per fare il bene delle anime». Forse fu proprio così, dato che in quello stesso venerdì 1° dicembre, alle sette della sera, il momento supremo raggiunse fratel Charles. Dei predoni senussiti – divenuti sempre più arditi dopo lo scoppio della Prima Guerra mondiale – lo ingannano e lo trascinano fuori dal suo eremitaggio fortificato, ma poi, per paura dell’arrivo di una rappresaglia francese, gli sparano alla testa e abbandonano il suo corpo. Di lì a poco gli stessi tuareg che per tanti anni aveva servito e aiutato razziano e spogliano il suo corpo, per poi gettarlo impietosamente in una fossa. 

In quella mattina il de Foucauld, nelle sue intenzioni della giornata, aveva ribadito la sua volontà di rimanere in mezzo ai tuareg, nonostante la guerra, e come intenzione speciale di preghiera segnalava “la conversione dei musulmani”. Non un freddo cadavere giaceva in realtà in quella fossa, ma un cuore ardente, un cuore che tanto era riuscito ad assomigliare a quel Sacro Cuore che portava sulla tonaca e la cui più perfetta definizione era solito vergare all’inizio di ogni sua lettera: «Jesus Charitas – Gesù Amore».

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